sabato 29 luglio 2017

Economia Circolare. Una strada per essere leader in Europa grazie all'economia circolare.

La strategia si chiama "Verso un modello di economia circolare per l'Italia", il documento ha un'importante doppia firma: Ministero dell'Ambiente (Mattm) e Ministero dello Sviluppo Economico (Mise). Avviato il 12 luglio scorso alla consultazione pubblica – aperta fino al 18 settembre – rappresenta una buona premessa per parlare di economia circolare, tema per definizione a cavallo fra politiche ambientali e industriali.


Lo spunto del documento è rappresentato dagli importanti impegni internazionali assunti dall'Italia in materia di uso efficiente delle risorse: Agenda 2030 delle Nazioni Unite, COP 21 di Parigi, fino al recente pacchetto economia circolare approvato dal Parlamento Europeo e in fase di negoziazione finale al Consiglio Europeo.
Se la componente "energia" di questa strategia di lungo periodo sta dentro la Strategia Energetica nazionale (Sen), la componente "materia" è oggetto di questo documento, il primo nel suo genere nella storia italiana.
Il documento affronta il tema dell'uso efficiente della materia nei suoi due lati fondamentali: upstream (produrre meglio, usare meno materia e progettare prodotti riciclabili e riusabili) e downstream, (riuso e riciclaggio dei prodotti a fine vita).
La novità metodologica di questo documento è rappresentato dall'approccio integrato all'uso e al consumo di materia e ai flussi di materia che attraversano il Paese. In questo nuovo approccio i "rifiuti" non sono altro che la parte terminale di questo flusso, mentre le politiche di uso efficiente devono invece considerare tutta la filiera di vita di materiali e prodotti.
Finalmente prende corpo nel dibattito pubblico un dato di solito poco noto: in Italia ogni persona consuma annualmente circa 10 tonnellate di materia, di cui circa 600 kg diventano rifiuti urbani e 2800 rifiuti speciali. Un terzo dei materiali che consumiamo finisce nei rifiuti. Un valore importante anche se l'Italia presenta un consumo di materia pro capite fra i più bassi d'Europa e del mondo.

Fortunatamente da anni ormai il tasso di riciclaggio dei rifiuti in Italia è diventato importante e fra i più alti del mondo e d'Europa: circa il 45% dei rifiuti urbani ed il 65% dei rifiuti speciali viene avviato a recupero, prevalentemente di materia. Un buon risultato in un Paese povero di materie prime ma che possiede un'eccellente base produttiva industriale incentrata sul riciclaggio (cartiere, vetrerie, acciaierie, produttori di plastica, scarti tessili, compostaggio, legno, olii, pneumatici, veicoli a fine vita, batterie).
Un distretto industriale che contende ogni anno il primato europeo alla Germania. Una situazione che può essere ulteriormente migliorata sia con una maggiore omogeneità geografica (il Sud ricicla meno del Nord), sia con una maggiore penetrazione produttiva (alcune filiere del riciclo sono mature, altre necessitano ancora di sostegno ed incentivi e di miglioramenti tecnologici, vedi alcuni polimeri plastici, la frazione organica ed i biowaste).
Lo sforzo più grande deve essere ancora fatto in fase upstream. La Strategia nazionale e anche il Piano di azione europeo sottolineano la necessità di superare i problemi in fase di progettazione e realizzazione dei prodotti, oltre che di sostituzione di materia vergine con prodotti di recupero. Una sfida importante per le imprese: ecodesign, processi produttivi a basso tasso di scarto, prodotti disassemblabili e riusabili, facilmente riparabili, e fatti di materiali riciclabili e separabili. Un'attenzione che oggi non è presente nella fase di produzione e che deve essere assolutamente attivata, per evitare di trovarsi a "valle" in condizioni di difficile riutilizzo e riciclo dei prodotti immessi sul mercato.
Per capirsi inutile mettere "obiettivi" di riciclo alti se poi i prodotti non sono riciclabili. E la risorsa idrica deve diventare appieno uno degli elementi di valutazione dell'uso efficiente delle risorse nel produttore di beni, come ci insegna la teoria dell'impronta idrica.
Incentivi per questa "rivoluzione industriale" (possiamo iniziare a considera come "la quinta") sono rappresentati dagli acquisti verdi visto che la pubblica amministrazione genera un volume enorme di acquisti di prodotti e può quindi orientare la produzione, dall'estensione del principio di responsabilità estesa del produttore (come oggi avviene per gli imballaggi) e da regole di command and control (nuova direttiva sull'ecodesign, obblighi di etichettatura, etc.). Anche la rivoluzione digitale può incentivare la nascita di nuovi prodotti ecocompatibili, grazie alle innovative piattaforme di acquisto collettivo e all'attenzione di grandi produttori al "green marketing".
Insomma l'economia circolare non è l'economia del riciclo, anche se le due cose sono integrate fra loro. È una nuova visione. In questo contesto particolare importanza assume la "bioeconomia", quella parte di economia circolare basata sulle risorse rinnovabili (sostanza organica, legno, rifiuti verdi) oggetto di una specifica Strategia nazionale approvata nell'aprile del 2017 dagli stessi Mattm e Mise.
L'importante è che i consumatori percepiscano il contenuto "green" di un prodotto e siano spinti, anche con incentivi e politiche di prezzo e/o di tassazione, a scegliere prodotti "circolari" a prodotti "lineari". Per questo serve una buona norma sull'etichettatura, ma anche un nuovo marketing delle imprese. Serve diffondere le piattaforme di acquisto collettivo o sistemi di distribuzione a basso impatto di imballaggi. Se opportunamente informate, le famiglie sembrano ben orientate in questo senso.
Il documento nazionale finalmente dedica importanti capitoli al tema degli strumenti economici. La transizione da economia lineare ad economia circolare non può avvenire senza interventi pubblici di incentivo e tassazione che, almeno nella prima fase, orientino produttori e consumatori verso i nuovi prodotti. Così come sta avvenendo nella transizione da fonti energetiche fossili a fonti energetiche rinnovabili.
Finalmente il documento parla di nuova tassazione, della necessità di aumentare il differenziale di tassazione fra prodotti "sostenibili" e non sostenibili. Un'operazione tecnicamente non facile ma che va assolutamente avviata. Sistemi di tariffazione dei rifiuti del tipo "pay as you throw" incentivano acquisti intelligenti così come un'estensione del principio di responsabilità estesa del produttore.
Sul lato impresa servono incentivi per l'innovazione tecnologica, anche di natura fiscale, e la diffusione del Green Public Procurement, cui il documento dedica un intero capitolo. La linea guida di fondo rimane quella di spostare carico fiscale da lavoro e imprese alla tassazione ambientale.
Serve infine, ed il documento entra nel merito di un tema caldo, una revisione della normativa (europea e nazionale) che per troppo tempo ha reso inutilmente complesse le operazioni di "recupero" rispetto a quelle di smaltimento. Una tradizione basata sul "sospetto" che dietro a procedure di riciclo e recupero si annidassero "smaltimenti illeciti".
Una paura, pur basata su rischi reali, che però ha disincentivato il diffondersi di sistemi di riuso e riciclo, come dimostra la lunga e complessa genesi delle normative sui sottoprodotti e i materiali "end of waste" o cessazione della qualifica di rifiuto. Su questo punto serve coraggio, per definire un quadro legale che promuova il riuso ed il riciclaggio, semplifichi le procedure e aumenti la tassazione sugli smaltimenti inefficienti (tassa sulla discarica). Per questo occorre un sistema di tracciabilità e di controllo semplice ma efficace.
Occorre dotarsi anche di un sistema di misurazione economica dell'efficienza nell'uso delle risorse per valutare dove e come il mercato continua a preferire materia vergine a materia riciclata, anche in ragione delle forti variazioni di prezzo delle commodities e dei materiali di riciclo. Un caso per tutti l'utilizzo di inerti per opere pubbliche, edifici, strade. Un mercato in cui il costo della materia vergine rischia di essere inferiore al mercato del riciclo in assenza di politiche fiscali ed autorizzative diverse sulla fase estrattiva (cave) e di incentivi ai prodotti di riciclo. Il Ministero dell'Economia ha voluto un capitolo specifico su questo tema nella Strategia nazionale, legato ai meccanismi di contabilità economica ed ambientale della Commissione Europea. L'economia circolare va "misurata" e servono strumenti nuovi.
Si tratta ancora di un "documento di inquadramento" e di "posizionamento strategico". Mancano obiettivi precisi, dotazioni di fondi pubblici, linee di intervento settoriali, che saranno oggetto di un documento operativo prossimo, una volta superata la fase della consultazione pubblica. Un passaggio che andrà fatto rapidamente, pena la trasformazione di queste 54 pagine in un semplice esercizio di raccolta di buone idee.
Ma la base di partenza è buona. E una volta tanto si basa su una constatazione concreta di una buona leadership industriale del Paese rispetto ai competitor mondiali. L'Italia dispone di una dotazione di asset materiali ed immateriali importanti per candidarsi a guidare questa fase mondiale di transizione e quindi incamerare benefici in termini di ricchezza, innovazione ed occupazione dalle prospettive dei prossimi anni.
Una base industriale solida e raggiunta, va detto, senza incentivi, sostegni, politiche industriali e "campioni nazionali", ma basata esclusivamente sull'impresa pubblica e privata, sul mercato e sull'oggettiva mancanza di materie prime.
Un punto di partenza straordinario per guardare al futuro, e immaginare cosa potrebbe fare questa stessa base industriale in un contesto di politica industriale forte, incentivi e tassazione selettiva, sostegno all'innovazione, estensione del perimetro di questi mercati.
L'economia circolare può rappresentare davvero nei prossimi anni uno dei volani essenziali della crescita economica nazionale, se saremo capaci come Paese di disegnare in modo efficace ed equilibrato regole, incentivi, tasse e politiche industriali.

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