Lei è a Bologna per una serie di
seminari all’università sul tema “Sovranità, movimenti sociali e il
diritto alla città”. La prima domanda è: come vede la traiettoria del
capitalismo? Più specificamente, c’è ancora una tendenza verso la
globalizzazione? O stiamo assistendo a un periodo di chiusura, un
ritorno al protezionismo e in generale a un aumento della competizione
tra macro-aree capitaliste?
David Harvey. Forse
possiamo iniziare disaggregando la globalizzazione del capitale, perché
il capitale esiste in tre forme: una sono le attività produttive, la
seconda sono le merci e la terza è il denaro. Ciascuna ha una differente
capacità di mobilità geografica: la produzione è molto lenta da
muovere; le merci possono essere spostate, e oggi anche molto
velocemente; ma quella che può essere spostata in nanosecondi è
sicuramente il denaro. Quando si parla di porre un freno a ciò che si
muove, la maggior parte delle restrizioni sono dirette alla forma merce,
e in certa misura alla forma produzione: la difficoltà è porre una
qualunque restrizione al flusso di denaro. Così quando Trump parla di
accordi commerciali e di cambiare le cose, parla delle merci, di
acciaio, ma non c’è alcun modo che possa toccare la fluidità globale del
denaro.
Ecco,
io penso che negli ultimi quarant’anni circa ci sia stata una vera e
propria separazione tra quello che Marx chiamava produzione del valore,
che è il lavoro socialmente necessario mobilitato per fare e creare le
cose, e la rappresentazione di questo valore nella sua forma monetaria.
Esisteva una restrizione in quanto la forma monetaria era sostenuta
dalla riserve d’oro, ma nel 1971 il Gold Standard venne abolito, e da
allora il denaro è fuggito a ogni tipo di controllo rispetto al suo
valore, e il risultato è che il sistema monetario oggi è diventato
dominante.
Quindi,
se questo è il caso, la globalizzazione non è finita, ma ora si regge
su un terreno instabile, perché la domanda: è quale è il valore che
supporta tutto quel denaro là fuori? Ed è probabile ci sarà una crisi
monetaria di qualche tipo, infatti vediamo continue increspature di
questa crisi monetaria, e questa crisi monetaria avrà molti gravi
effetti, tra cui sulla domanda, che a sua volta avrà effetti si quella
che potremmo chiamare “economia reale”, e che causerà disoccupazione
globale di massa, quindi c’e sempre questo rischio . Adesso la maniera
con cui questo è stato gestito sono le banche centrali che creano ancora
più moneta, tramite il quantitative easing e cose del genere. Ma questo
denaro in più, dove va? Buona parte di questo va in cose come la
speculazione immobiliare, e il risultato è che i prezzi delle case in
quasi tutte le principali città mondiali sono arrivati a un punto per il
quale quasi nessuno si può permetter di pagarli. Così c’è una crisi di
case a prezzi accessibili, e c’è una generazione di effetti collaterali
della successiva monetarizzazione dell’economia e della fuga del sistema
dei prezzi e monetario, a causa della perdita de controllo da parte
della produzione reale che risale al abbandono del Gold Standard nel
1971.
In
questo contesto, qual è il ruolo dell’UE? È corretto dire che forse
stiamo osservando nella politica europea una continuazione del
neoliberismo che potrebbe essere in contrasto con quello che sta
accadendo negli USA?
Penso
che prima di tutto dobbiamo chiederci che cosa si intenda per
neoliberismo, la mia definizione è che si tratti di un progetto di
classe per accumulare più ricchezza e più potere nelle mani di coloro
che sono già ricchi e potenti, e che è stato così per gli ultimi 40 anni
e non penso che questo progetto sia scomparso. Penso che la sua
legittimità sia stata messa in discussione, la maggior parte della
popolazione di molti paesi ora lo vede come una frode, il che ha portato
qualcuno come Trump ad essere eletto perché lo ha chiamato una frode,
su cui tutti concordiamo e che lui avrebbe lavorato al riguardo… Per cui
io penso che Trump abbia catturato questo aspetto. Non ho visto molto
di questo succedere nell’Unione Europea, ossia considerare il commercio
una frode, la mia impressione è che qui si pensi sia l’immigrazione che
viene considerata il più grande pericolo, il che è un altro aspetto
della globalizzazione, non la globalizzazione del capitale ma quella
della popolazione, cioè i flussi migratori che si stanno creando, che
per quanto li si provi a fermare sembrano infermabili, e questa è una
cosa sorprendente. Si costruiscono muri, si mettono leggi, ma questo non
sembra fermare il flusso. Magari verranno meno persone, ma
continueranno a provare a venire, e questo mi sembra un flusso
infermabile. La cosa curiosa riguardo all’Europa è che questo
probabilmente è una buona cosa, perché a causa delle tendenze
demografiche la carenza di offerta di lavoro in Europa è tale che, con
l’eccezione di alcuni paesi dell’Est come la Polonia, servono migranti
se l’economia deve continuare a funzionare in una qualche maniera
bilanciata. Perciò io penso che la risposta europea alla globalizzazione
sia provare a far continuare a far funzionare le cose, ma non
necessariamente tramite lo sviluppo economico, ma continuando il
processo che permette alle aziende di diventare sempre più potenti, ai
finanziari di diventare sempre più potenti, permettendo alle più grandi
istituzioni della classe capitalista oligarchica di accumulare perfino
più ricchezza, influenza o potere.
In
questo contesto, cosa dovrebbero fare i movimenti anticapitalisti?
Sembra esserci una divisione fra chi accetta la globalizzazione e chi
invece vede in certe forme di sovranità l’unico possibile strumento di
riappropriazione democratica.
Bè,
non penso che questo attualmente sia la domanda principale, almeno non
per me. La questione non è la globalizzazione, personalmente io sono a
favore di un mondo cosmopolita dove ci si possa muovere liberamente
attorno al mondo, ecc. Quello che mi preoccupa è l’immensa
concentrazione del potere economico, politico e monetario attorno ad un
gruppo di persone molto piccolo, e la creazione di quelle istituzioni
che effettivamente gestiscono tutto in funzione di questo piccolo gruppo
di persone. Sto pensando ad istituzioni come la BCE, la FED, tutte le
banche centrali, i dipartimenti del tesoro nella gran parte dei governi,
che di solito lavorano in alleanza con le banche centrali. E abbiamo
visto il tipo di politica che questi gruppi supportano nel caso della
Grecia. Ora, quello che è stato fatto alla Grecia non è affatto
accidentale o strano, ma è come sarà il futuro dell’umanità se queste
persone continuano ad avere il potere che hanno e lavorano nella maniera
in cui stanno lavorando. In questo caso, che tu sia globalizzato o meno
è totalmente irrilevante, perché sei sempre fregato, e alla grande,
come abbiamo visto nel caso della Grecia. Quindi per me la domanda
importante è come dobbiamo organizzarci per affrontare questa
concentrazione enorme di potere politico ed economico che ho chiamato il
nesso stato-finanza. Questo nesso va attaccato in qualche modo, e se
non lo attacchiamo ci saranno dei guai grossi. Poi si potrebbe dire che
l’unico modo per attaccare questo nesso è di provare a creare delle
isole di governo democratico, che possono poi servire come trampolino di
lancia per un assalto a queste istituzioni globali, ma da parte mia non
credo che sia veramente fattibile. Io penso che abbiamo bisogno di
qualcosa di più grande per poter andare veramente alla caccia di questi
centri di potere. Quindi non sono contro le idee che propongono,
diciamo, una ritrattazione da un globalizzazione completamente
svincolata, qualcosa che significherebbe che la sovranità fosse
considerata in maniera più semplice e più facilmente gestibile, più
facilmente configurata democraticamente tramite strutture di assemblee e
simili. Non sono contrario, ma dico che anche se questo può funzionare,
c’è un grande bisogno di un altro livello politico, che possa
affrontare ciò che è il nucleo vero, il cuore della bestia. E io vivo a
New York e quindi vivo molto vicino al cuore della bestia, e vi posso
dire che è una bestia molto bestiale.
Come
possiamo leggere le esperienze dei movimenti sociali che rivendicano il
diritto alla città? Secondo lei la loro efficacia è stata ridotta dal
costante svuotamento della democrazia sia a livello locale che al
livello nazionale?
Per
cominciare, l’idea del diritto alla città è un concetto aperto; è
quello che possiamo chiamare un significante vuoto, e quindi è un
concetto che dipende da chi lo riempie di significato. Il fatto è che
anche gli straricchi anche rivendicano il loro diritto alla città, e
quindi tanti tipi di persone possono rivendicare il loro diritto alla
città. E infatti per molti versi se prendiamo certi principi della
sovranità ecc. le conseguenze sono che tutti hanno lo stesso diritto
alla città, e quindi, come ha detto Marx “tra diritti uguali decide la
forza.” E una delle cose che sono successe è che questa idea è stata
cooptata. Ad esempio, è diventata anche parte del linguaggio dell’ONU,
che vuol dire che essenzialmente è stato cooptato dal mondo delle ONG, e
invece di una chiamata alla rivoluzione è diventato un modo per calmare
i movimenti sociali. Penso che sia molto importante per le diverse
organizzazioni della città che lavorano sui diversi aspetti della vita
urbana, come l’educazione o il diritto all’abitare ecc., cercare di
costruire un programma progressista, o addirittura un programma in
qualche modo rivoluzionario, e che devono cercare di creare alleanze con
altre realtà lavorando in altri campi. Quindi credo che ci debba essere
un’organizzazione ombrello, o un modo per mettere insieme tutti i
movimenti che esistono nella città.
Ad
esempio a Barcellona, credo che l’elezione di Colau a sindaca sia stata
molto importante, abbiamo quindi una sindaca con una prospettiva
progressista, ma questo in se non risolve il problema, funzionerà solo
se avrà un rapporto forte con i movimenti sociali, e se aiuterà a
costruire movimenti sociali ancora più forti, invece di fare come molti
politici che poi tolgono il potere ai movimenti che li hanno eletti. Ma
credo che stia compiendo dei passi per costruire una struttura
assembleare in modo che i movimenti sociali possano esprimersi anche al
di fuori delle stanze del potere municipale. Credo che una mossa come
questa possa essere davvero progressista. Sono contrario all’idea che
una politica concentrata unicamente sullo Stato sia la risposta, ma allo
stesso tempo non possiamo avere una fobia dello Stato, perché credo, e
Colau lo sta dimostrando, che lo stato abbia un ruolo fondamentale nel
supportare i movimenti sociali tale da rinforzarli, e così possiamo
cominciare a immaginare una situazione in cui c’è input popolare nelle
decisioni su come governare una città, su che investimenti devono essere
fatti, che investimenti saranno tollerati, quali attività economiche
saranno promosse.
Quest’anno
ci sono due anniversari importanti: il primo è l’anniversario della
pubblicazione del primo volume del Capitale di Marx; il secondo è
ovviamente l’anniversario della Rivoluzione Russa. La domanda è quindi:
qual’è la rilevanza oggi di questi due anniversari?
Penso
che sia un’opportunità per scrivere una valutazione storica del
significato di questi eventi. E per la sinistra può essere un momento
importante per venire a patti con gli errori che sono stati fatti ma
anche per riconoscere le cose veramente positive che sono state
realizzate, in conseguenza a entrambi gli avvenimenti: la pubblicazione
del primo volume del Capitale e la Rivoluzione Russa. La mia opinione è
che anche se ci furono aspetti negativi, ovviamente, della storia
dell’Unione Sovietica, onestamente, da quando è caduto il muro di
Berlino il mondo non è certo diventato un posto migliore, in nessun
modo. È peggiorato significativamente, e il motivo per cui non è
peggiorato cosi prima e perché esisteva la minaccia del comunismo.
Quando è sparita la minaccia del comunismo, ha lasciato un vuoto in cui
ora regna il capitale, senza l’opposizione di nessuna forza, che ha
portato all’accumulazione velocissima di ricchezza totalmente
sbilanciata da parte di un gruppo minuscole della popolazione. E per me,
l’unico antidoto possibile è ancora la Cina, nel senso che la Cina non è
un paese pienamente capitalista nel senso normale del termine, e non è
ancora chiaro come la Cina agirà.
Insomma,
credo che sia un buon momento per riflettere. Sulle cose positive e
negative dell’esperienza dell’Unione Sovietica e su come leggiamo il
primo volume del Capitale di Marx. Ho appena scritto un libro su questo,
e ci saranno molti altri.
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