mercoledì 5 luglio 2017

Il Jobs Act è il capolavoro del Pd per conto della Ue. Altro che fallimento!

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Si dice che il Jobs Act sia il fallimento del governo di Renzi e del suo prestanome perchè ha aumentato la disoccupazione portandola oltre l’11% (quella giovanile al 37%). Fallimento? L’obiettivo è perfettamente raggiunto, vi assicuro che in Ue stanno battendo le mani all’Italia.
Perchè? C’ è un parametro nei trattati di austerity dell’Unione europea – quella di cui se ne vorrebbe disgraziatamente “di più” – si chiama NAIRU ( il tasso di disoccupazione “naturale”), che per l’Italia prevede una disoccupazione “naturale” tra il 12,7% e il 10,5% da qui al 2020.
Se badate bene, mentre leggete questo fatto agghiacciante sentirete una vocina nell’orecchio: “ce lo chiede l’Europa”, dice la vocina. Sarebbe il momento di dire a voce alta e senza più indugi: “no”. Al Pd, al suo governo e all’Unione europea.
Ogni ulteriore incertezza è un disoccupato in più e contratto precario, ricattabile e sottopagato in più stipulato.
I grandi analisti fanno finta di non capirlo, dopotutto fanno il loro mestiere: ammantano di verità oggettiva quelli che sono bassi interessi di classe (dei padroni, ovviamente).
In questo Paese stiamo assistendo ad un’immensa redistribuzione dei ricchezza pubblica, non verso gli investimenti (“mai sia, prima l’equilibrio di bilancio!”, dice di nuovo la vocina europeista con cadenza tedesca) ma verso i profitti privati: 17 miliardi dati a pioggia alle imprese per assumere con contratti essenzialmente precari e poi licenziare liberamente al termine del rapporto contrattuale e, soprattutto, al termine degli incentivi pubblici per le assunzioni, 10 miliardi circa per salvare Monte dei Paschi di Siena dal fallimento a causa delle sue sofferenze bancarie (fuori dal latinorum economico contemporaneo con cui si cerca di non fare capire mai un accidente a nessuno, mutui non pagati da grandi imprese, di cui non conosciamo i nomi a causa della volontà del PD di tenere segreti i nomi dei titolari dei debiti che con i nostri soldi abbiamo generosamente ripagato (sembra una scena interpretata dal compianto Paolo Villaggio, invece è la realtà), dulcis in fundo, altri 17 miliardi in regalo a banca Intesa per potersi regalare due banche venete (anche qui la tragedia della realtà supera la comicità della finzione). Se avessero speso queste somme per ridurre l’età pensionabile, per abolire i ticket, o fare una qualsiasi azione utile al nostro popolo avremmo ricevuto  il solerte rimprovero dei numi di Bruxelles (quelli che credevano che a fronte di un euro di spesa pubblica corrispondesse un 0,75% di ricchezza prodotta, e sulla base di questo algoritmo hanno distrutto la Grecia. Ciò dovrebbe bastare per dare loro nessun credito)

Oltre a questo, stiamo assistendo ad un cambiamento netto della qualità dei rapporti di lavoro: detta in modo spicciolo, passiamo dal contratto alla schiavitù moderna. Senza andare troppo indietro con l’attacco ai contratti collettivi nazionali in favore dei contratti aziendali, basta guardare il boom dei voucher (fatti usciti dalla porta della legislazione della retribuzione prestazioni di lavoro a gambe levate per paura del referendum, e rientrati dalla finestra di un Parlamento che invece di essere dimora della democrazia se ne fa beffa) o il boom dei contratti in somministrazione (di breve durata, senza tutele, volti ad abbattere i costi di produzione, come al solito, a spese dei lavoratori).
Non sono risparmiati nemmeno i lavoratori anziani: se gli ultimi dati Istat parlano di un piccolo aumento degli occupati ultracinquantenni noi abbiamo poco da festeggiare leggendo questo dato, perché significa che anche per i lavoratori più anziani valgono le oramai le regole della precarietà dell’occupazione, e lo si vedrà certamente con le prossime rilevazioni Istat andando a guardare l’evoluzione di quel dato proprio per i lavoratori ultracinquantenni.
La precarizzazione del lavoro, al pari di un tasso di disoccupazione naturale assurdo, non sono accidenti, frutti del destino cinico. Sono un progetto politico su cui è fondata l’UE. Lo andiamo ripetendo da anni: se non sono possibili nè intervento dello Stato per rilanciare gli investimenti e tantomeno quello dei privati, a causa del contesto economico, la strada obbligata è quella della crescita della produttività sulla palle dei lavoratori, cioè svalutando e rendendo più poveri i salari. A questo punta la disoccupazione di massa, a questo tende la precarizzazione integrale del mercato del lavoro, questo perseguono le proposte di “reddito di cittadinanza” che, al di là del nome suggestivo, altro non è che la variante italiana dei mini job tedeschi: 750 euro (non si sa bene se netti o lordi) per eseguire piccoli lavori.
Quello che queste poche righe hanno l’intenzione e l’ambizione di sostenere, è che le miserie attuali non sono un caso, questi dati non sono frutto di circostanza sfortunate come le carestie e i fenomeni della natura, sono il progetto politico con cui il capitalismo in crisi prova a restaurare se stesso, riscrivendo le relazioni del lavoro, la qualità dei rapporti di lavoro e gli equilibri dei rapporti di forza tra le classi a tutto vantaggio del capitale e a tutto svantaggio del lavoro.
E’ giusto e necessario, prendere in mano questi dati e sbatterli in faccia ai nostri governanti, ma la nostra lotta deve andare un terreno più alto: la contestazione di un progetto politico capitalista e imperialista quale è l’Unione europea. Non ci sono più tabù intoccabili, anche il mantra dell’ “Europa unita” si rompe con le immagini dei carri armati e degli eserciti ai confini di Francia e Austria in queste ore. Chi difende la causa dei popoli, chi difende la causa dei lavoratori di tutta Europa, della solidarietà e del rispetto dei diritti non può che essere contro la UE e per la sua fine.
Fa bene chi evidenzia il rischio concreto di svolte autoritarie e del pericoloso ritorno ad una contrapposizione fra Stati, in diverse forme, anche le più pericolose. Ma bisogna aggiungere che è lo stato di cose presenti che rende ogni giorno effettivamente e, persino, visibilmente questi rischi verosimili e sempre più prossimi alla realtà.
Battiamoci per il lavoro, battiamoci per l’alternativa alla barbarie del capitalismo. Per farlo battiamoci contro il PD, il suo governo e contro la UE.
  • Segretario nazionale della Fgci

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