Può il “privato” realizzare opere infrastrutturali di interesse pubblico? Da oltre 25 anni (si firmarono allora gli accordi di Maastricht) il punto interrogativo è stato persino cancellato. Il “privato” ha sempre ragione, fa meglio tutto, è più efficiente, quasi quasi anche più giusto ed etico. Poi, tanto, se fallisce ci pensa il “pubblico”, che invece non sa far nulla (tranne salvare il privato” quando annega, vedi Montepaschi, Ilva, banche venete, Alitalia, Banca Etruria e le altre, ecc).
Se si parla di nuove tecnologie, poi, non c’è neanche da osar fare una domanda: solo il “privato” può affrontare certi rompicapo…
Tutto falso, ovviamente. Solo che se a dirlo siamo noi – comunisti e dunque “pregiudizialmente” ostili al profitto privato – non vale nulla. Prendiamo perciò i ati Infratel-ministero Sviluppo economico pubblicati ieri, relativi al grado di copertura del territorio nazionale con rete in fibra ottica.
L’ Agenda digitale 2020 stabiliva che cui tutta l’Italia doveva essere coperta con banda ultra larga fissa (quella da 1 Gigabit) entro il 2020, l’unica considerata valida sul lungo periodo. A due anni mezzo da quella data solo una cosa è certa: solo l’8% delle unità immobiliari sarà raggiunta dallafibra ottica, e meno del 24% dalla cosiddetta banda larga, con buona pace della “competitività” del paese.
Il “merito” di questo fallimento è tutto dei “privati”.
E dire che a costruire questa infrastruttura “concorrono” fra loro ben due società, l’Enel (con Open Fiber) e Tim, che stanno stendendo due reti alternative. Oddio, teoricamente alternative, perché in realtà vanno a coprire quasi esattamente le stesse aree. Quali? Beh, i piani di investimento futuri dei due operatori non lasciano dubbi. Sono ovviamente quelle dove il rientro dell’investimento sarà più sicuro e veloce. Ossia quelle in cui la popolazione è molto concentrata, dunque le aree metropolitane e i capoluoghi di provincia. Il resto si diverta – se può – con quello che passa già ora il convento…
E’ apena il caso di ricordare che il progetto banda larga è stato sbandierato in toni trionfalistici da tutti i governi degli ultimi 15 anni, senza distinzioni. E tutti avevano fatto dell’affidamento ai “privati” la garanzia del successo in tempi rapidi.
Un’infrastruttura qualsiasi – banda larga, ferrovie, autostrade, acquedotti, rete elettrica, ecc – è per definizione un “interesse pubblico”. Serve cioè al paese, come si usa dire, ossia alla sua popolazione organizzata nella produzione e nella vita associata. E perché questa vita sia anche “efficiente” occorre che le infrastrutture connettano fra loro sia le aree a grande concentrazione (in cui si addensano produzione industriale e servizi) che quelle più diffuse ma egualmente vitali (agricoltura, allevamento, turismo, produzioni di qualità, ecc).
Ma per un “privato” l’interesse pubblico non esiste affatto. Ha come obiettivo solo il ritorno economico e la massimizzazione dei profitti. Dunque non può che costruire infrastrutture fisiologicamente sbilanciate sulle grandi concentrazioni, lasciando nell’abbandono tutto il resto. Qualcosa del genere si può vedere nell’evoluzione delle Ferrovie dello Stato da “servizio pubblico” ad azienda orientata al profitto: grande attenzione all’alta velocità (che connette solo aree metropolitane) e dismissione progressiva dei collegamenti locali, quelli usati dai pendolari per andare al lavoro. Insomma, il profitto di una sola azienda che va a toccare la funzionalità di tutte le altre (quei lavoratori pendolari hanno dovut cambiare residenza oppure essere sostituiti con altri abitanti più vicino).
Per la rete a banda larga, oltretutto, non sono mancati i problemi regolamentari e tecnologici. Per esempio – ed è l’argomento cui si aggrappa Tim (ormai azienda privata, anzi addirittura non più in mani italiane, visto che l’azionista di riferimento è la francese Vivendi) – le regole europee non considerano più come “fibra ottica” le coperture fatte in wireless 4G nell’ultimo tratto (la fibra otticaarriva fino all’armadio stradale nei pressi dell’unità immobiliare). Restano tali solo quelle in cui l’ultimo tratto è coperto con il filo di rame. Ossia solo l’8% del totale.
Divertente, ma solo fino ad un certo punto, dover sottolineare che questo risultato viene raggiunto solo con la costruzione di una rete di proprietà “pubblica” (la parte costruita da Enel-Open Fiber, con un secondo lotto di lavori da assegnare a breve termine), perché altrimenti la situazione sarebbe ben peggiore.
Come deve ammettere il rapporto Infratel, “si registra la sostanziale assenza di crescita nelle intenzioni di investimento a 100 Mbps (23,07% al 2018 vs 23,7% al 2020)”.
Privatizzate, privatizzate…
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