martedì 19 luglio 2016

Dopo Nizza: a chi giova lo “scontro di civiltà”.

Dopo la strage di Nizza, mentre si andava chiarendo il profilo dell'assassino Mohamed Bouhlel, abbiamo avuto una lunga scia di dubbi e incertezze sul contesto e sui fini del gesto, com'era inevitabile. E' però partita ugualmente la gara a chi tracciava il quadro a tinte più fosche: attacco all'Europa, progetti di guerra civile, appelli ai musulmani, guerra di religione, previsioni luttuose sul futuro della nostra civiltà.



micromega di Fulvio Scaglione
 
Sembra un problema dei giornali e dei giornalisti ma è un problema di noi tutti. Da decenni, ormai, siamo immersi in una visione del mondo che sente disperatamente il bisogno di un “noi” e un “loro” chiaramente divisi. Noi (il bene, l’innocenza, la buona volontà) contro loro (il male, la malignità, la mala fede). Applicato al terrorismo islamico, questo stato d’animo si è tradotto nel cosiddetto “scontro di civiltà”: abbiamo dei problemi perché l’islam è cattivo per natura, si abbevera al Corano che insegna la violenza e alla fin fine vuole solo distruggerci. Teorie prodotte negli Usa e da lì diffuse nel mondo, giusto in tempo per far da base filosofica al Progetto per il nuovo secolo americano (ovvero: qualunque sistema è buono per garantire la supremazia Usa, cioè la vittoria del bene) e poi all’azione politica dei neocon, invasione dell’Iraq per prima.

Non ci rendiamo nemmeno conto che facciamo, in termini di propaganda, la stessa operazione che fanno gli ideologi del peggiore islamismo, i quali specularmente pensano che il male stia sul nostro lato della barricata e che cattivi per natura siamo noi. Chiunque la usi, l’idea dello scontro di civiltà è perfetta per la cattiva politica. Smaterializza tutto, trasforma le vecchie seccature legate al denaro, al potere, alla politica, nel Signore degli Anelli. Che t’importa se Saddam Hussein non ha le armi di distruzione di massa, visto che in ogni caso è dalla parte del male? E come dice Tony Blair, che t'importa se sono morte centinaia di migliaia di persone e il Medio Oriente è in fiamme, visto che eravamo comunque dalla parte della ragione?

Uscire dal Signore degli Anelli. Troppo difficile. Meglio l'idea del “grande complotto anti-occidentale”, comunque molto meno costosa che affrontare la realtà. Quella che emerge ogni volta che affrontiamo seriamente il problema e che ci imporrebbe scelte difficili e costose. Prendiamo le famose 28 pagine del Rapporto del Congresso Usa sull’11 settembre, rimaste secretate per 14 anni. Dicono che alcuni degli attentatori (dei quali 15 su 19 erano sauditi) si incontrarono molte volte, prima degli attentati, con uomini d’affari sauditi, imam sauditi e diplomatici sauditi in California, negli stessi luoghi dove andava a raccogliere denaro e sostegni, all’epoca della jihad contro i sovietici, Abd Allah Yussf al-Azzam il mentore di Osama bin Laden. Poi prendiamo tutti gli studi più seri sul finanziamento del terrorismo islamico (quelli, per esempio, del Council on Foreign Relations o della Brookings Institution, mica roba da sito Internet alternativo) e prendiamo nota di quanto ci dicono. E cioè, che la rete di finanziamento di Al Qaeda, fatta di fondazioni caritative, moschee e donazioni private, è passata sana sana all’Isis, sotto lo sguardo benevolo delle monarchie del Golfo Persico.

E chiediamoci se, invece di maledire Maometto o i suoi eredi, o fare guerre imperialiste e colonialiste che rendono le cose sempre più drammatiche, non sarebbe più proficuo intervenire laddove c’è la cassaforte del terrorismo. Visto anche che Franco Roberti, il procuratore nazionale antimafia, non cessa di ripetere (l’ultima volta all’East Forum 2016, qualche giorno fa) che “non c’è atto terroristico che non sia preceduto da un vorticoso giro di denaro”.

Non è complicato. Anzi, è molto meno complicato che immaginare di mettere a cuccia un miliardo di musulmani, o spiegar loro che devono smettere di leggere il Corano per non diventare cattivi. Poi, certo, se uno crede che il denaro, il potere e la politica abbiano ancora un senso, si spiega molte cose. Dà una ripassata ai documenti segreti del Dipartimento di Stato che nel 2010 Julian Assange, con i suoi Wikileaks, ha regalato al mondo. Legge che Hillary Clinton, allora segretario di Stato, nel 2009 scriveva ai collaboratori (cablo 131801) che “l’Arabia Saudita resta una base decisiva di supporto finanziario per Al-Qaeda, i talebani… e altri gruppi terroristici, compreso Hamas” e che “i donatori privati dell’Arabia Saudita costituiscono la più significativa fonte di finanziamento per i gruppi del terrorismo sunnita nel mondo”.

Nota che pochi mesi dopo Barack Obama e la Clinton vendettero 62 miliardi di dollari di armi agli stessi sauditi. E che la Fondazione Clinton ha tra i principali sponsor proprio donatori sauditi. Osserva la coda dei primi ministri europei che si forma ogni volta che Ryad segnala di aver qualche miliardo da investire. E capisce subito a chi, e a che cosa, serve il Signore degli Anelli.

(18 luglio 2016)

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