Un nuovo report della ong Oxfam rivela come Giordania, Turchia, Libano, Pakistan, Sud Africa insieme al Territorio Palestinese Occupato ospitino più della metà dei migranti di tutto il mondo, quasi dodici milioni. Mentre i sei più ricchi tra cui Stati Uniti, Cina, Regno Unito e Germania ne accolgono appena il 9 per cento.
Il “tormentone” si ripete puntuale quando si parla di migranti: «Sono troppi, non ce la facciamo più». Eppure basta un semplice confronto a smontare ogni pregiudizio: i sei paesi più ricchi nel mondo - Stati Uniti, Cina, Giappone, Germania, Francia e Regno Unito – campioni dell’economia globale e produttori di ricchezza ospitano solo il nove per cento dei rifugiati.Mentre altri sei paesi, ben più poveri ma vicini alle peggiori aeree di crisi, si fanno carico di metà dei rifugiati e richiedenti asilo di tutto il mondo.
La diseguaglianza è la protagonista principale della geopolitica dei flussi migratori, dove a contendersi il territorio libero dalle guerre, violenze e povertà sono i vecchi e nuovi arrivati.
Ed è anche la tesi del report della ong Oxfam “ La misera accoglienza dei ricchi del mondo ”. Mettendo in fila dati e numeri si scopre l’ovvio: l’anno scorso i G6 hanno ospitato complessivamente due milioni e centomila rifugiati e richiedenti asilo.
Nulla se paragonato allo sforzo di Giordania, Turchia, Libano, Sud Africa, Pakistan e Territorio Palestinese Occupato che ne hanno accolti quasi 12 milioni. Ecco come economie fragili (tutti insieme sono il 2 per cento della ricchezza mondiale) si sobbarcano le conseguenze delle battaglie, carestie, atrocità ed enormi diseguaglianze economiche.
Il dovere di garantire ai rifugiati riparo, cibo, assistenza sanitaria, ma anche lavoro e istruzione, rischia di compromettere la stabilità interna di questi paesi, spesso già im difficoltà a rispondere ai bisogni dei propri cittadini.
La guerra civile divampata in Siria nel 2011 è tra le principali cause di questa situazione, ma ci sono altri conflitti che costringono le persone a fuggire, come in Burundi, Repubblica Centrafricana, Iraq, Nigeria, Sud Sudan e Yemen.
Ogni giorno migliaia di persone si mettono in viaggio per cercare di raggiungere l’Europa, sfiadando le polizie e le leggi più restrittive. Sognano una vita migliore, ma spesso finiscono tra le mani dei trafficanti o in centri di detenzione.
Il recente accordo tra l’Unione europea e la Turchia ha lasciato migliaia di uomini, donne e bambini in Grecia, in condizioni critiche e in assenza di certezze sui propri diritti. Un patto che rischia di innescare un effetto domino.
Sulla stessa linea politica il Kenya ha annunciato la chiusura del campo profughi di Dadaab, il più grande del mondo con oltre 300mila profughi somali in fuga dal conflitto.
Come criticare Nairobi quando Bruxelles fa lo stesso?
Così il presidente Uhuru Kenyatta ha fatto sapere che se l’Europa può permettersi di non accogliere i siriani, allora il suo governo può fare altrettanto con i somali.
Problemi globali si intrecciano a flussi locali. Dal Messico alle Filippine oltre 65 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case: 40 milioni e 800 sono gli sfollati interni, 21 milioni e 300 mila i rifugiati in altri paesi e 3 milioni e 200 mila quelli che aspettano risposta alla loro richiesta d’asilo nei paesi più economicamente avanzati. Ecco come sia arriva al numero monstre di oltre 24 milioni di migranti.
In questo scenario ci sono paesi che cercano di chiudere le frontiere e chi invece pensa sia una grande opportunità: la Germania dello slogan “Refugees Welcome” da sola accoglie 736.740 persone, mentre Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina e Giappone insieme ne ospitano 1 milione e 400mila.
L’Italia, pur impegnata in prima linea con 134.997 persone ospitate (lo 0,6 per cento del totale) è ancora lontana dalle cifre raggiunte oltre frontiera da Berlino.
«Questo flusso epocale di persone che fuggono da situazioni in cui non si può sopravvivere deve trovare maggiore accoglienza da parte di tutti i paesi e sono le maggiori potenze economiche in primis, a dover moltiplicare il loro impegno» afferma, Maurizia Iachino a capo di Oxfam Italia: «Sono uomini, donne, anziani e bambini, troppo spesso obbligati a rischiare la propria vita per raggiungere un luogo sicuro. Siamo di fronte a una sfida complessa che richiede una risposta globale ben coordinata e responsabilità condivise».
I prossimi 19 e 20 settembre a New York si terranno due vertici fondamentali per definire come far fronte alla crisi migratoria globale e cercare di invertire la rotta della diseguaglianza.
In vista di questo doppio appuntamento Oxfam ha lanciato la petizione Stand As One, insieme alle persone in fuga: un appello per chiedere ai leader mondiali di garantire sicurezza, protezione, dignità e futuro ai milioni di persone costrette a lasciarsi tutto alle spalle.
«Nel nostro Paese osserviamo quotidianamente all’arrivo di tante persone che hanno compiuto drammatici viaggi della speranza alla ricerca di un rifugio sicuro», conclude Maurizia Iachino: «Chiediamo al nostro governo l’impegno a proteggere la vita di queste persone e assicurare loro un trattamento dignitoso e il diritto di chiedere protezione, confermando la propria volontà di investire nello sviluppo dei paesi più poveri e nella risoluzione dei conflitti, a partire dai prossimi appuntamenti di New York e nel momento in cui l'Italia assumerà la presidenza del G7».
Nessun commento:
Posta un commento