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Le cifre son fredde, seppure impressionanti.
Inorridiscono solo gli animi più sensibili che di fronte al sangue, all’odore
di carne bruciata non ce la farebbero a sopportare come fanno i volontari di
certe Ong. Non riuscirebbero a operare, salvando quel che si riesce a salvare
come accade ai dottori di Emergency e
Médicins sans frontières, se non
diventano anch’essi bersagli. E per crimini di guerra che non verranno mai
dichiarati tali, lo diventano come a Kunduz nello scorso ottobre. I dati
dell’Umana divulgati proprio in concomitanza con l’ultima grande strage di
civili avvenuta in Afghanistan - seppure questi civili siano diventati
bersaglio perché avevano assunto una funzione di attivisti con la pacifica
protesta rivolta al governo Ghani - parlano di 5.166 cittadini colpiti nei
primi sei mesi di quest’anno. 1.601 di loro non ce l’ha fatta, 3.565 sì. Ma con
quali conseguenze è un discorso a parte. Chi ama la vita ci rivelò che preferiva
camminare con le grucce, invece d’esser finito sottoterra come alcuni parenti,
comunque onorati dall’uomo non più bipede. E’ l’altra faccia di quella che si
definisce vita: sono i freddi numeri dei sopravvissuti tramutati nel mucchietto
di pelle e ossa che se ne sta accartocciato in qualche angolo polveroso di
Kabul, aiutato dall’elemosina che è pur sempre il terzo pilastro dell’Islam.
E poi taluni dottori, fisioterapisti, tecnici
compiono miracoli con protesi sempre più sofisticate. Restano, certo, le
cicatrici dell’anima, ma quelle stazionano profonde nella psiche prima che nel
corpo e non scompaiono più. Neppure nell’amico Alì, uno che ce l’ha fatta. Le
cifre dell’agenzia Onu, dunque, testimoniano un incremento del 4% della
distruzione di vite e persone dal 2009 a oggi. Quel periodo è una sorta di
confine dell’oblìo perché negli anni precedenti, egualmente orribili, i calcoli
erano più incerti, i tragici conteggi approssimativi. Dal 2009 63.934 afghani
sono stati uccisi o feriti. 22.941 e 40.993, seconda la statistica che nella
sua spietata esattezza ricorda al mondo occupato in altro, quanta morte viene
seminata, senza probabilmente farlo riflettere sul tema. Le strutture
umanitarie per antonomasia più sensibili, riportano dati riferiti a bambini
(1.509 in totale, con 388 vittime e 1.121 feriti) e donne (130 contro 377). E
proseguendo coi numeri già il sentimento sembra scemare, perché non regge il
confronto con l’immagine che, quando arriva, parla sempre meglio di cento dati
e di mille parole. Ma non è più drammatico racconto se i pruriti del
fermo-immagine non inducono a riflessione. Medita sui freddi numeri una nota dei
funzionari Onu: le cifre sono pur sempre sottostimate poiché, nonostante gli
sforzi compiuti, ancor’oggi molte vittime afghane si tramutano in polvere,
senza lasciare traccia.
Ha dichiarato Tadamichi Yamamoto, Segretario
generale della rappresentativa in Afghanistan e responsabile dell’Unama, nel
comunicato che accompagnava i dati che “…
dietro ciascun caso di quelli riportati fra morti e feriti c’erano persone che
lavoravano, pregavano, studiavano, erano ricoverate in ospedale”. Era
l’esercito pacifico di gente che ha forza e coraggio, desiderio e disperazione,
ha la lucida follìa di continuare a condurre un’esistenza sulla terra degli avi
mentre tutt’attorno si muovono truppe e cannoni, esplosivo, kamikaze, kalashnikov
e dal cielo piovono missili. Non è fiction, né villaggio globale, è la cruda
realtà con cui deve fare i conti la quarta generazione nata sotto una guerra.
Secondo il documento il 60% di questo scempio è compiuto dalle forze resistenti
considerate terroriste dal governo kabuliota, ma, dati alla mano l’Onu dice che
il 23% dello strazio sui civili è compiuto da soldati di casa agli ordini
dell’esecutivo Ghani-Abdullah, e sale al 47% se comparato allo stesso periodo
del 2015. Un quadro desolante. Si calcolano poi 157.987 abitanti che dalle zone
in conflitto abbandonano quei luoghi e vagano. Vagano da sfollati all’interno
del Paese, fuggono spesso oltre i confini orientali, ma soprattutto occidentali
alimentando la rotta di profughi e rifugiati. Chissà se i nostri ottocento
militi che vivono blindati a Camp Arena leggeranno mai il rapporto. E
soprattutto se daranno un senso alla loro presenza con quella divisa.
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