venerdì 22 luglio 2016

Gli Olgettini.

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Dunque i giudici che stanno processando Silvio Berlusconi e uno stuolo di Olgettine per corruzione in atti giudiziari non potranno utilizzare 11 intercettazioni indirette fra il Cavaliere e due delle sue girl, Iris Berardi e Barbara Guerra.

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 O meglio: potranno usarle contro le due ragazze, presunte corrotte, ma non contro B., presunto corruttore. E utilizzatore finale dei loro silenzi prezzolati e delle loro bugie retribuite. L’ha deciso l’altroieri il Senato a maggioranza, dieci mesi dopo la richiesta del Tribunale, con comodo. E l’ha fatto sostenendo di fatto che B. è un perseguitato politico, perché solo in quel caso le Camere possono negare alla magistratura l’autorizzazione a usare indizi e prove raccolte su un imputato intercettandolo mentre parla con un parlamentare. Che, nella fattispecie, è pure l’imputato principale. Il trucchetto escogitato per il salvataggio del Caimano è presto spiegato. Secondo la maggioranza di Palazzo Madama, quando intercettavano le Olgettine, i pm di Milano sapevano benissimo che quelle parlavano con B. Dunque avrebbero dovuto smettere di intercettarle, sennò l’intercettazione indiretta dell’interlocutore non sarebbe più stata casuale e dunque lecita, ma intenzionale e dunque illegittima secondo l’art. 68 della Costituzione.

In pratica questi manigoldi che si fanno chiamare rappresentanti del popolo sostengono che, se un mafioso o un terrorista sospettato di organizzare una strage viene intercettato mentre parla ripetutamente con un onorevole, il giudice deve staccare immediatamente la registrazione e rinunciare così a scoprire dove, quando e contro chi avverrà la strage, per non violare le sacre prerogative del deputato amico dello stragista. È in base a questo assunto demenziale, anzi criminale e criminogeno, che la scorsa settimana i deputati del Pd e di Sel-SI hanno unito i propri voti a quelli del centro e della destra per negare ai giudici di Napoli l’uso delle intercettazioni che incastrano (anzi incastravano) il deputato forzista Luigi Cesaro, detto Giggino ‘a Purpetta, in un processo per presunte tangenti sulla raccolta rifiuti. La prova generale per la sceneggiata dell’altroieri al Senato, dove i franchi tiratori pidini, all’ombra del voto segreto, hanno salvato B. Le cronache riferiscono che Fedele Confalonieri, gran ciambellano dell’inciucione e vedovo inconsolabile del Nazareno (che – a vedere le reti Mediaset – pare tutt’oggi in corso), aveva telefonato a decine di senatori per raccomandare il salvataggio del Capo.
E,come sempre, dai tempi dei decreti Berlusconi e della legge Mammì di craxiana memoria, il Parlamento s’è messo al servizio del partito Fininvest-Mediaset. Siccome i manigoldi non hanno neppure il coraggio delle proprie azioni, hanno subito puntato il dito contro i 5Stelle, che non si capisce bene che cosa c’entrino (anche se vengono incolpati di tutto), visto che non hanno la maggioranza né alla Camera né tantomeno al Senato. Il pretesto è l’errore – subito corretto in tempo reale – del senatore M5S Airola, che ha votato pro anziché contro lo scrutinio segreto (peraltro doveroso, in casi “personali” come questo). Lo stesso errore, peraltro corretto diverse ore dopo, hanno commesso 4 senatori Pd, ma neppure questo significa nulla. Come non ha alcun senso ipotizzare uno scambio FI-5Stelle per dare l’insindacabilità al senatore pentastellato Giarrusso in un processo per diffamazione a Catania (infatti ieri gli è stata giustamente negata dall’aula, con i voti dei suoi stessi compagni di Movimento). Per capire chi ha regalato voti al centro e alla destra per salvare B., basta riepilogare l’iter della richiesta del Gup di Milano da quando, quasi un anno fa, approdò in Senato. Fin da principio, nella giunta per le immunità, il Pd e il presidente-relatore Dario Stefàno (Sel) proposero di negare l’autorizzazione per 8 telefonate su 11, ritenendo che solo 3 fossero casuali e le 8 successive intenzionali, dunque persecutorie, mentre i 5Stelle (più il Pd dissidente Casson) hanno sempre votato per autorizzarle tutte. Il senatore del Pd Enrico Buemi era addirittura per respingerle tutte.
Le stesse ambiguità si sono riprodotte in aula, in perfetta continuità col precedente di Giggino ‘a Purpetta. Ma a tagliare la testa al toro c’è un altro dato di fatto: siccome le intercettazioni risalgono al 2012, quando B. era deputato (divenne senatore nel febbraio 2013), a occuparsene non doveva essere il Senato, ma la Camera. La giunta di Palazzo Madama avrebbe dovuto rispedirle al mittente, facendo notare al Gup che aveva sbagliato indirizzo e doveva inoltrarle a Montecitorio. Invece, arrogandosi poteri non suoi e calpestando le prerogative dell’altro ramo del Parlamento, il Senato s’è tenuto il dossier. Il motivo è semplice: alla Camera il Pd ha la maggioranza da solo, dunque non avrebbe potuto salvare B. e scaricare la colpa sui 5Stelle. Al Senato invece i numeri sono ballerini e lo scaricabarile è più facile, grazie anche a una stampa indecente che finge di non sapere ciò che tutti sanno, specialmente dopo lo straziante appello di Napolitano per un “patto per l’Italia”, cioè per un nuovo inciucione Pd-FI. E cioè che il Pd le sta provando tutte per riacchiappare il Caimano, in cambio dei voti di FI per modificare l’Italicum, tenere buona la minoranza interna e sventare la terrificante prospettiva di una vittoria dei 5Stelle; e anche in cambio dell’appoggio delle reti Mediaset al Sì per il referendum. Per riuscire finalmente a scassinare la Costituzione, gli olgettini della maggioranza hanno cominciato allegramente a calpestarla. Questa sì che è coerenza.

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