Abbiamo già segnalato la discutibile prassi seguita da talune aziende, che utilizzino il criterio numerico delle assenze/presenze dei dipendenti per valutarne la prestazione, facendo rientrare nel computo anche criteri discriminatori quali quelli legati ad assenze per maternità e paternità, per malattia, permessi ex L. n. 104/92 o permessi sindacali.
Area pro labour Giuristi per il lavoro di Davide Bonsignorio* e Monica Rota**
Ed ecco che giunge la notizia che anche nel pubblico impiego le assenze dei dipendenti potrebbero avere un peso nel determinare l’attribuzione del tanto discusso bonus scuola, introdotto dall’art. 1 commi 126 e 127 della L. n. 107/2015, rubricata “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”.
Il legislatore ha istituito presso il Miur un apposito fondo (200 milioni annui a decorrere dal 2016), ripartito a livello territoriale e tra le istituzioni scolastiche in proporzione alla dotazione organica dei docenti, per la valorizzazione del merito del personale docente di ruolo.
I sindacati avevano peraltro sollevato una questione di illegittimità della norma in quanto discriminatoria sotto il profilo della violazione del principio di non discriminazione del personale a tempo determinato, ma sul punto il Tar del Lazio è intervenuto con una recentissima pronuncia, destinata a fare discutere, che ha affermato la legittimità di tale esclusione.
Prosegue in ogni caso il dibattito, oltre che sulla composizione del comitato per la valutazione dei docenti, proprio sui criteri – che nell’ambito della cosiddetta autonomia scolastica – lo stesso deve adottare allorché deve stabilire la platea dei soggetti meritevoli.
La legge sulla “buona scuola” infatti si limita genericamente a sancire che detti criteri saranno individuati sulla base:
a) della qualità dell’insegnamento e del contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico degli studenti;
b) dei risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche;
c) delle responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico nella formazione del personale; lasciando quindi spazio ai singoli istituti di introdurre criteri del tutto eterogenei e discutibili, tanto da indurre alcuni docenti a sottoscrivere la “dichiarazione di indisponibilità a ricevere il bonus”.
Da più parti ci giungono tuttavia notizie circa l’inserimento tra i criteri di scelta di un limite massimo di assenze per potere accedere al bonus, a qualsiasi titolo queste siano dovute (con i limiti più vari quanto al numero massimo di assenze tollerate, talora 30 giorni ovvero addirittura soli 15 giorni nel corso dell’anno), criterio questo che risulta discriminatorio anche sotto il profilo della tutela della parità di genere, posto che penalizza maggiormente le docenti assenti per maternità o per malattia del figlio.
Anche il conteggio a tal fine delle assenze per malattia può risultare in determinati casi discriminatorio, qualora la malattia, determinando per un lungo periodo di tempo una menomazione fisica, mentale o psichica tale da ostacolare la effettiva partecipazione alla vita professionale, sia assimilabile ad una vera e propria disabilità ai sensi della direttiva europea 2000/78.
La Corte di giustizia europea ha infatti elaborato una nozione sociale e dinamica di disabilità: “(omissis) la direttiva 2000/78 deve essere interpretata nel senso che essa include una condizione patologica causata da una malattia diagnosticata come curabile o incurabile, qualora tale malattia comporti una limitazione, risultante in particolare da menomazioni fisiche, mentali o psichiche che in interazione con barriere di diversa natura possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori e tale limitazione sia di lunga durata”.
C’è dunque il serio rischio che vengano escluse e penalizzate le persone più deboli e quelle che – proprio in ragione dell’assenza prolungata – avrebbero maggiormente bisogno di investire nella formazione e nell’aggiornamento. E’ vero che tali esclusioni potrebbero essere contrastate con apposite iniziative del docente, tuttavia sarebbe opportuno che, fin dalla fase di elaborazione dei criteri, si ponesse attenzione a evitare che questi possano avere effetti discriminatori.
* Giuslavorista, socio Agi (Associazione giuslavoristi italiani). Esercito la professione di avvocato dalla parte dei lavoratori e dei sindacati; ho collaborato con diverse riviste specializzate del settore. Vivo e lavoro a Milano.
** Avvocato giuslavorista, socia AGI (Associazione Giuslavoristi Italiani). Esercito la professione di avvocato dalla parte delle lavoratrici e dei lavoratori. Ho collaborato con la Consigliera Provinciale di Parità e ora con la Consigliera Regionale di Parità.
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