È venuto a mancare Mario Dalmaviva, animatore di spicco dell’assemblea operai-studenti attiva a Torino e alla Fiat nel lungo autunno caldo tra la fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70.
Era un uomo grande e grosso di indole dolce e affettuosa. Dirigente nel ramo editoriale, fu convinto dal maggio francese a dedicarsi alla pratica sociale.
Con entusiasmo e contagiosa freschezza mise la sua enorme energia e la sua irresistibile simpatia nella costruzione dell’alleanza sociale tra operai e studenti. Ciò gli valse l’odio dei padroni e l’ostilità dei sindacati. L’apparato dello Stato preparava in silenzio la sua vendetta.
Quando alla fine della lotta Fiat si formarono Lotta Continua e Potere Operaio, Dalmaviva era già di fatto un dirigente di quest’ultimo gruppo. Contro di esso, pochi anni dopo, con il “teorema Calogero”, sostenuto dal Partito comunista italiano, scattò l’operazione giudiziaria del “7 Aprile” con l’accusa, infondata, di fiancheggiamento delle Brigate Rosse. Dalmaviva, con molti altri, fu incarcerato. A quel tempo il “garantismo” non esisteva e gli imputati del “7 aprile” scontarono interminabili anni di carcerazione preventiva. Dalmaviva passò più di cinque anni in carcere prima di vedere riconosciuta la sua innocenza.
Affrontò la prova con forza d’animo e si trasformò in vignettista dal carcere. La sua risposta all’oppressione fu l’esercizio instancabile di una mite ironia. Ora, chi non era stato fiaccato da cinque anni di ingiusta detenzione si è arreso a una malattia incurabile.
Molti dei suoi compagni di allora, che a quel tempo con presunzione mal riposta lo consideravano moderato, ormai troppo tardi devono avere l’onestà di dichiarare: Marione sei stato il migliore di noi e avevi ragione tu.
(23 luglio 2016)
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