lunedì 18 luglio 2016

Classe dirigente. Roma, le partecipate sono sull'orlo del crac.

Roma, le partecipate sono sull'orlo del crac Atac ha cumulato in nove anni 
1,4 miliardi di perdite. All’Ama il Comune versa oltre due milioni al giorno. E sul loro risanamento la nuova amministrazione Raggi si gioca la faccia.

L'Espresso Giuseppe Oddo  
 
Pende come una spada di Damocle sul futuro della capitale. Il dissesto delle partecipate del Comune di Roma rappresenta il principale banco di prova per la giunta a Cinque Stelle guidata da Virginia Raggi. Un’emergenza non più rinviabile: per l’ammontare del disastro e per l’affarismo trasversale ai partiti che ha sempre determinato la gestione di queste aziende e le scelte del Campidoglio.
Se rappresentiamo su un grafico le imprese di pubblica utilità di tutti i Comuni italiani in base ai risultati degli ultimi nove anni, troviamo in penultima ed ultima posizione le romane Ama e Atac. Ama è la prima azienda per raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti; Atac, una delle prime in Europa nel trasporto pubblico locale. Il loro primato, però, si ferma al numero dei dipendenti: 8.000 quelli di Ama, 11.900 quelli di Atac. Quando dai dipendenti si passa ai conti il primato crolla.


I dati che seguono, dell’ultimo bilancio depositato, sono stati riclassificati da R&S-Mediobanca. Ama chiude il 2014 con 851 milioni di fatturato, di cui 770 erogati dal Comune per il contratto di servizio, pari a un corrispettivo giornaliero di oltre 2 milioni. La quota di fatturato coperta dalla tassa sui rifiuti è di un’ottantina di milioni, segno che i romani continuano in larga misura a non versarla e la società a non riscuoterla.

Da parte sua Atac fattura 860,5 milioni, di cui 445,5 incassati per il contratto di servizio e 92 come contributo della Regione Lazio. L’azienda, in sostanza, riceve dalla mano pubblica circa un milione e mezzo al giorno. La vendita dei biglietti copre solo un terzo dei suoi ricavi, sia per il fenomeno dell’evasione, stimata intorno al 30 per cento, sia per i «70 milioni di ticket falsi, stampati da società che avrebbero finanziato partiti politici», riferisce Michele Frullo, dell’Unione sindacale di base.

Preoccupanti sono anche i bassi livelli di redditività. Ama presenta nel 2014 un margine operativo netto positivo di 34 milioni, ma è in perdita per 17 e ha un ritorno sul capitale netto (il Roe) negativo del 6 per cento. Tra il 2006 e il 2014 la società ha cumulato un "rosso" di oltre 300 milioni, ma al netto di accantonamenti per perdite straordinarie attese di cui ha dovuto farsi carico il Comune per evitarne la bancarotta. Tra queste figurano i 90 milioni per l’arbitrato con la Colari di Manlio Cerroni, da cui Ama è uscita perdente e il cui giudizio pende ora in Cassazione, scrivono Daniele Frongia e Laura Maragnani in "Io Pago", un saggio sui costi della capitale più corrotta e inefficiente d’Europa, uscito in aprile. Nel frattempo Frongia è entrato nella nuova giunta come vicesindaco.

I principali indicatori di Atac indicano una situazione prefallimentare: il margine operativo netto è -102 milioni, il risultato netto -141 milioni. E negativo è anche il ritorno sul capitale netto: -70 per cento. Tra il 2006 e il 2014 la società ha cumulato 1,4 miliardi di perdite, una colossale distruzione di valore. Per di più il Comune dovrà mettere in gara entro il 2019 la concessione dei servizi di mobilità. E Atac oggi non è in grado di affrontare la scadenza, soprattutto perché ha già preannunciato la partecipazione alla gara un gigante come Ferrovie dello Stato.

Quanto alla produttività, il costo medio di un lavoratore è di 52 mila euro per Ama e di 45 mila per Atac. Un dipendente di Ama genera però in media un valore aggiunto netto di 56mila euro, contro i 36mila di un dipendente Atac. Ma a beneficio di chi, se la città è sporca e il costo di raccolta dell’immondizia è di 250 euro pro-capite, il 51 per cento in più della media nazionale?

Oggi, dopo la chiusura della discarica di Malagrotta, il 45 per cento dei rifiuti è raccolto in modo differenziato. Però il sudiciume non diminuisce, anzi. Un veterano del settore abbozza una spiegazione: «Per potenziare la differenziata hanno indebolito i turni di spazzamento delle strade, e il potere d’interdizione dei sindacati frena la riorganizzazione del lavoro. C’è poi il malcostume degli scioperi indetti per un giorno, per consentire l’accumularsi dell’immondizia e giustificare il giorno dopo il ricorso massiccio allo straordinario».

E come può essere produttiva un’azienda come Atac che lascia fermi per guasto ogni giorno 850 autobus su un totale di 1.920? Come può funzionare una società i cui mezzi di superficie viaggiano a una velocità commerciale mediamente inferiore ai dieci chilometri l’ora, anche per carenza di corsie preferenziali? Per di più, dice Bruno Spadoni, che ha da poco lasciato il posto di subcommissario governativo alle partecipate,«l’età media degli automezzi supera i dodici anni e le difficoltà finanziarie dell’azienda non consentono il rinnovo del parco. Di recente Atac ha acceso un mutuo di 150 milioni per l’acquisto di autobus di rinforzo per il Giubileo».

Ciononostante, i pullman dell’Opera romana pellegrinaggi, della Santa Sede, usufruiscono di un’autorizzazione speciale del Comune per l’attraversamento dell’Urbe durante gli eventi del Giubileo. «Con il risultato di danneggiare il manto stradale e di deprimere i ricavi di Atac», spiega Frullo.

Altro paradosso: Atac oggi ha in carico 6.068 autisti, 1.800 addetti alla metropolitana, 1.700 operai tra meccanici, carrozzieri e tecnici, 640 controllori, oltre a 1.472 impiegati e a 48 dirigenti. Eppure il personale operativo scarseggia, mentre quello impiegatizio abbonda. E quando non si assumono impiegati, si assumono autisti che, per spinta politica, sono poi trasferiti negli uffici e trasformati in impiegati.

Commenta Pietro Spirito, ex direttore centrale operazioni di Atac: «Per quattro anni e mezzo ho cercato, con un manipolo di persone perbene, di combattere questo sistema. Nell’elenco dei temi che andranno approfonditici metto la costruzione delle metropolitane B1 e C, l’abnormità dei costi per la vigilanza esterna, i meccanismi di promozione interna in mano a sindacati e partiti e l’esistenza di filiere del malaffare che legano esponenti politici, dirigenti interni, quadri e operatori». Il nuovo assessore al Bilancio e alla riorganizzazione delle partecipate, Marcello Minenna, avrà il suo bel daffare.

C’è poi la vicenda di Roma Tpl, società cooperativa a responsabilità limitata che gestisce i servizi di trasporto in periferia. Ne sono soci Umbria mobilità, Vt Marozzi e il consorzio Cotri. Roma Tpl, che ha in corso un contenzioso con il Campidoglio per un credito di 90 milioni, usa i lavoratori come arma di pressione sull’amministrazione comunale: il ritardo con cui paga gli stipendi spinge i dipendenti a continui scioperi a singhiozzo, inducendo i passeggeri all’esasperazione e facendo precipitare la qualità del servizio.

La partecipata con buone performance di redditività è Acea, oltre cinquemila dipendenti, che distribuisce energia e acqua e gestisce impianti di incenerimento e compostaggio dei rifiuti. Acea è tra le utility italiane più redditizie. I suoi utili cumulati tra il 2006 e il 2015 (ultimo bilancio depositato) hanno raggiunto gli 1,2 miliardi. Il Comune, proprietario del 51 per cento del capitale, ci ricava un robusto dividendo e la gestisce con il gruppo Caltagirone e la francese Suez, soci rispettivamente con il 16 per cento e il 12,5 per cento.

Acea registra nel 2015 - secondo R&S - 2,76 miliardi di fatturato, 378 milioni di margine operativo netto, 175 milioni di profitti e un ritorno sul capitale netto del 13 per cento. Ha tuttavia un elevato indebitamento finanziario: 2,9 miliardi in totale, su un patrimonio netto di 1,6 (non parliamo dei pagamenti contabilizzati in bolletta per consumi mai avvenuti, che meriterebbero un’indagine giudiziaria). Ma questo è niente rispetto ai debiti di Ama e Atac. A fine 2014, l’esposizione di Ama superava di due volte e mezzo il suo patrimonio netto e quella di Atac era cinque volte maggiore.

O la giunta Raggi riuscirà a ricondurre queste aziende nell’alveo di una gestione imprenditoriale, disattivando il meccanismo delle tangenti, oppure sarà necessario un altro salvataggio come quello di qualche anno fa per il debito di Roma capitale. Con conseguenze a cascata sul bilancio dello Stato e sui contribuenti.

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