giovedì 11 febbraio 2016

Diplomazia a 90 gradi.

Risultati immagini per Giulio RegeniC’è voluto l’assassinio di Giulio Regeni per far scoprire ai media italiani, quindi ai politici italiani, chi è il nostro prezioso alleato Abd al-Fattah al-Sisi, il generale golpista egiziano salito al potere il 3 luglio 2013 dopo avere rovesciato il presidente regolarmente eletto Mohamed Morsi che non piaceva all’Occidente e alla casta militare perché espressione dei Fratelli Musulmani.


di Marco Travaglio,  il Fatto Quotidiano
Da allora, come abbiamo raccontato con Stefano Citati e Guido Rampoldi, il Pinochet d’Egitto ha avviato uno sterminio di massa di oppositori, culminato nella mattanza in piazza Rabi’a del 14 agosto 2013 (chi dice 638 morti, chi addirittura 1.150) e accompagnato dalla messa al bando dei Fratelli Musulmani, dalla condanna a morte di 1200 loro dirigenti, dall’arresto di almeno 16mila (altri parlano di 40mila) oppositori islamisti, laici e socialisti. Le organizzazioni umanitarie testimoniano di migliaia di desaparecidos, torture, arresti arbitrari, stupri legalizzati, detenuti uccisi da parte delle varie forze di sicurezza egiziane, che hanno mano libera sia dal governo sia dagli alleati occidentali con la scusa della lotta al terrorismo. Reporter Sans Frontières colloca l’Egitto di al-Sisi al secondo posto nel mondo per il numero di giornalisti imprigionati. È in questo contesto di terrorismo di Stato che si colloca il probabile arresto, con torture e sevizie, di Giulio.

Chissà se Matteo Renzi ripeterebbe oggi le incredibili dichiarazioni dei mesi scorsi. Tipo quando, ad agosto, andò al Meeting di Cl a pavoneggiarsi come il primo premier occidentale a incontrare al-Sisi. O quando lo definì “un grande statista” che “ha il merito di avere ricostruito il mediterraneo” (addirittura). O quando lo esaltò su Al Jazeera come “un grande leader”, “l’unico che può salvare l’Egitto”, dunque “Italia ed Egitto sono e saranno sempre insieme nella lotta al terrorismo” e “sono orgoglioso della nostra amicizia e lo aiuterò a proseguire nella direzione della pace”. O ancora quando si spinse, dandogli del tu come a un vecchio compagno di scout, a dirgli “la tua guerra è la nostra guerra, la tua stabilità è la nostra stabilità”. Parole che nessun leader occidentale ha mai pronunciato e che fanno impallidire i baciamano e i salamelecchi di B. a Gheddafi, che comunque al confronto di al-Sisi era una mammoletta. Sapeva, Renzi, chi aveva di fronte quando erigeva quei monumenti di saliva al Pinochet del Cairo? Sapeva quel che stava dicendo? Ha mai consultato non dico i dossier segreti della Farnesina, ma almeno Wikipedia?

Ha mai riflettuto sul fatto che il terrorismo islamista prospera e prolifera anche perché il mondo arabo è governato dagli al-Sisi, dagli Assad e dagli altri tiranni che noi mettiamo o teniamo su da decenni? Pare di no. A meno che non parlasse come capo del governo a nome del popolo italiano, ma come piazzista dell’Eni e delle altre superlobby in affari col Cairo. Come fa quando va a leccare il turbante agli sceicchi sauditi per strappare appaltoni e orologini. O quando si posa come la mosca cocchiera sulle mostrine di Putin, infischiandosene dei diritti umani violati. Ora il governo italiano reclama “tutta la verità” sulla morte di Giulio. Troppo tardi, troppo falso. Non avremo nessuna verità, perché al-Sisi sa di tenerci in pugno: senza di lui, la strombazzata missione in Libia, che ci serve per frenare ai profughi nel Mediterraneo e per i nostri interessi petroliferi e finanziari, ce la scordiamo. Tra qualche giorno, non appena l’attenzione mediatica sulla terribile fine di Giulio sarà scemata, ci berremo le verità ufficiali – cioè le menzogne – di un regime che non può certo confessare al mondo i suoi crimini e ricominceremo a farci affari. Con l’avallo dei politologi che la sanno lunga, dei Machiavelli de noantri sempre pronti a giustificare col cinismo i silenzi complici del governo in nome della ragion di Stato, della realpolitik e degli interessi superiori. Almeno finché al-Sisi non verrà scaricato dagli Usa per essere rimpiazzato con qualche altro massacratore “moderato”. Come avvenne con Gheddafi e Saddam, prima preziosi alleati, poi acerrimi nemici da bombardare e rovesciare.

È solo questione di tempo e finirà così anche al-Sisi. E allora chi avrà mantenuto un minimo di prudenza sarà più credibile agli occhi del popolo egiziano, dunque avvantaggiato a discapito di chi si era spalmato a zerbino sotto i suoi stivali. Se con Gheddafi ci fossimo limitati a un rapporto laico, senza sposarcelo fino a siglare il famigerato “Trattato di partenariato, amicizia, consultazione e alleanza militare” (votato da destra e Pd, salvo Furio Colombo, Andrea Sarubbi, radicali, Idv e Udc), non ci saremmo trovati così a malpartito in Libia quando la primavera araba lo spazzò via con l’aiuto dei cacciabombardieri di Usa, Francia e Italia.

Per carità, siamo tutti uomini di mondo e sappiamo quanta ipocrisia si celi dietro la parola “d iplomazia”. Rompere con l’Egitto, come con la Russia, la Cina, la Turchia, l’Iran, l’Ara bia, gli Emirati e gli altri Paesi che ignorano i più elementari diritti civili e umani, ci costerebbe troppo caro. Ma c’è una bella differenza fra la diplomazia a 360 gradi e quella a 90. Esiste una via di mezzo tra il baciare la pantofola e anche il culo ai peggiori dittatori e il rompere le relazioni diplomatiche e finanziarie con i loro Paesi. Una via di mezzo praticata da governi più prudenti e dignitosi del nostro che mantengono una posizione eretta davanti ai Putin, agli al-Sisi, ai Rouhani e ai vari sceicchi arabi. I nostri, da B. a Renzi, sono talmente deboli, provinciali e servili da non conoscere altra postura che la genuflessione. Cioè la prostituzione.

(7 febbraio 2016)

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