Il Tar Emilia Romagna, con la sentenza 166/2016, ha annullato le delibere che autorizzavano la benedizione pasquale in orario extrascolastico in un plesso bolognese, l’Istituto Comprensivo 20. In verità, la benedizione aveva già avuto luogo: nel turbolento clima pre elettorale a Bologna la scuola prescelta – riferimento naturale della borghesia “che conta” in quella città – non avrebbe dovuto, nelle previsioni, destare difficoltà.
Marina Boscaino Insegnant
Invece 18 insegnanti e studenti dell’istituto, sostenuti dal Comitato Bolognese Scuola e Costituzione e dall’Uaar,
hanno presentato ricorso contro l’iniziativa; frettolosamente la
pratica è stata comunque svolta, per evitare di incappare in una
sentenza che rappresentasse un passaggio importante nei confronti di
un’ingerenza (si veda l’intervento di Bagnasco a proposito del ddl
Cirinnà) continua, asfissiante, raramente ostacolata, della Chiesa sulle
questioni che riguardano lo Stato. Come – appunto – è la scuola
pubblica.
Non può “la scuola essere
coinvolta nella celebrazione di riti religiosi che sono essi sì
attinenti unicamente alla sfera individuale di ciascuno – secondo scelte
private di natura incomprimibile – e si rivelano quindi estranei ad un
ambito pubblico che deve di per sé evitare discriminazioni”. Come ha
rilevato l’Uaar, la sentenza porta con sé molte preziose indicazioni:
“Intanto ammette la legittimazione al ricorso degli insegnanti della
scuola, contestata dall’Avvocatura dello Stato in difesa del Miur citato
in giudizio insieme all’IC20. Legittimazione riconosciuta perché la
richiesta non riguardava la disponibilità di locali per attività di
culto “aperta alla generalità dei praticanti cattolici”, ma aveva lo
scopo specifico di “coinvolgere nel rito (…) fruitori e componenti
dell’istituzione scolastica”, fra alunni insegnanti e personale non
docente. Coinvolgimento peraltro auspicato e regolamentato dalla stessa
dirigente scolastica (consigliera comunale pd del capoluogo emiliano)
nelle delibere nelle quali queste benedizioni sono autorizzate come
“senza fini di lucro”.
Furibonde le reazioni alla
sentenza, in prima fila Pd e sindaco. “La benedizione pasquale cattolica
è un rito religioso, come dice il codice canonico. La sentenza è
lineare, mi indignano i commenti. E’ la reazione rabbiosa di questi
pretesi tolleranti che trovo inaccettabile. Il problema è che confondono
un atto di culto con la dimensione culturale e formativa, di cui
possono far parte le nostre tradizioni culturali, come il presepe. Mi
meraviglia anche che i credenti rubrichino la benedizione sotto la voce
‘tradizioni’ così banalizzano un rito, lo riducono a folclore. La
benedizione è come la messa: un atto di culto. E non lo dico io, ma il
codice canonico. E già nel ’93 una sentenza del Tar di Bologna disse che
non si potevano celebrare messe a scuola”. Sono parole di Milli Virgilio,
avvocato simbolo di importanti battaglie in difesa della scuola della
Costituzione pluralista, democratica e laica, in prima fila anche ai
tempi del referendum bolognese per affermare che del gettito fiscale dei cittadini possono beneficiare solo le scuole pubbliche.
Referendum vinto, ma disatteso nell’esito. A sottolineare come nel
nostro Paese la continua evocazione della volontà popolare è ormai solo
un espediente retorico, dietro il quale si nascondono arbitrio ed
autoritarismo. È ora di invertire la rotta.
Coloro che guardano con
sufficienza o risentimento all’ostinazione con cui una parte della
scuola pubblica continua a difendere le proprie prerogative
costituzionali – tra cui la laicità – dovrebbero osservare che una
simile forma di vigilanza si colloca in quello spazio comune e
universale che si chiama “interesse generale”. La tutela preventiva di
qualsiasi forma di discriminazione: la scuola pubblica,
in quanto tale, non può rappresentare il luogo in cui si svolgono riti
privi di universalità, perché destinati ad una parte della comunità
scolastica. Se la scuola, come dice il primo comma dell’art. 34 della
Costituzione, “è aperta a tutti”, essa non può essere altro che un
centro di promozione culturale e sociale per tutti, nessuno escluso, e
non di indottrinamento di un auditorio selezionato.
Il possibile appello al
Consiglio di Stato da parte del Miur non preoccupa l’avvocato Virgilio:
“Il Consiglio di Stato si è già pronunciato sulla distinzione fra rito
religioso e attività formativa. L’appello dovrebbe sostenere che non è
un atto di culto”.
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