Le
ultime vicende parlamentari hanno portato al centro del dibattito
politico il tema dello spostamento dell’asse di governo assumendo come
dato acquisito la centralità del rapporto tra il PD e tre formazioni che
alle elezioni del 2013 si erano presentate come parte degli
schieramenti concorrenti: NCD e ALA quali componenti del Popolo delle
Libertà dal quale si sono staccate generandosi per scissione e Scelta
Civica soggetto residuale dell’area che, nelle stesse elezioni, si era
presentata autonomamente rivendicando il sostegno alla continuità con il
governo Monti.
Ultimo esempio la votazione della fiducia in Senato sul tema de
lle Unioni Civili (tema sul quale è stata forzata la derivazione parlamentare del disegno di legge, trasformandolo ancora una volta in un atto di diretta emanazione governativa attraverso il passaggio “emendamento – voto di fiducia) realizzata attraverso uno schieramento affatto diverso da quello presentato alle elezioni e che era composto da uno schieramento formalmente di centro – sinistra (si omette a questo punto, per ragioni di economia del discorso di entrare nel merito dei contenuti per limitarci a un discorso di appartenenze parlamentari) composto da PD e SeL.
Uno stato di cose davvero “border line” non tanto rispetto alla Costituzione che formalmente è stata rispettata: anche se è bene ricordare che questo Parlamento è stato eletto attraverso l’utilizzo di una legge poi giudicata incostituzionale dell’Alta Corte soprattutto sotto due aspetti decisivi, nomina dei parlamentari e premio di maggioranza, che ne inficiano direttamente la validità politica.
Del resto era già stato considerato “border line” il comportamento del presidente Napolitano nell’occasione della caduta, nel novembre 2011, del governo Berlusconi IV con la nomina preventiva di Mario Monti a senatore a vita e il suo successivo incarico, fuori dalla prassi parlamentare.
Salta fuori, a questo punto, la questione del rapporto Governo / Parlamento e anche questo costituisce un altro punto di riflessione in materia di analisi di funzionamento costituzionale, dopo decenni di presunto “decisionismo”, di caduta della produzione legislativa da parte delle Camera e di crescita esponenziale nel numero di conversioni di decreti governativi.
In realtà il limite vero che sta incontrando il sistema politico italiano è quello di una credibilità complessiva del sistema e dell’insieme dei rapporti tra – appunto – il sistema politico e la società nel suo insieme.
Un limite che rischia di mettere in difficoltà la stessa tenuta democratica.
Una progressiva separazione tra il sistema e le stesse forme di democrazia liberale intese nella Costituzione repubblicana in cui il “caso italiano” si specchia in quello che è stato definito deficit democratico europeo.
Non è tanto la questione, pur molto importante (assai di più di quanto non pensino molti cultori dell’allineamento alle cosiddette “democrazie mature”) della precipitosa diminuzione che si registra occasione per occasione nella partecipazione al voto, a prescindere dal tipo di elezione. Un tempo sotto quest’aspetto vigeva una precisa gerarchia d’importanza: adesso la personalizzazione ha confuso tutto sotto il manto delle ambizioni personali e dell’individualismo competitivo. Si leggono così interviste incredibili ai candidati più improbabili.
Tutto questo però non è soltanto frutto di un cedimento episodico avvenuto sul piano politico, ma prima di tutto di una cedimento strutturale alla mercificazione della cultura cui l’ esercizio della politica è risultato subalterna subendone l’egemonia.
A questo punto l’incrocio tra la confusione imperante sotto il cielo della politica e l’affermarsi di un’evidente “liquidità sociale” sulla quale fanno premio soltanto la gestione autoritaria delle lobbie non solo ha divelto gli antichi legami dell’appartenenza politica ma ha esaltato la trasversalità di un meccanismo d’opinione all’interno del quale appare difficile rintracciare coordinate di riferimento nei valori generali di una società in veloce trasformazione.
“Lobbie” che si muovono di volta in volta sulla base di una sorta di “nicchia di specificità consumistica” che mai s’incrocia all’interno di un progetto di carattere generale.
Progetto generale che meno che mai deve essere caratterizzato da un riferimento e da un’appartenenza politica storicamente determinata.
L’appartenenza politica storicamente determinata appare prima essere considerata come un inutilizzabile ferrovecchio.
Il tutto si riduce in una perenne attualità e nell’unico parametro della vittoria e della sconfitta che ciascheduno misura di volta in volta con il proprio metro.
Siccome la trasversalità dei riferimenti pone la necessità di affrontare questioni di grande e drammatica importanza privi di adeguate capacità di espressione culturale in ogni senso si verifica un fenomeno tipico di questa fase a tutti i livelli: quello della separazione tra la decisionalità e la democrazia.
Verificata l’inoppugnabilità del valore specifico assunto dal “comando unico” l’esito è quello di un sostanziale autoritarismo esercitato all’interno di un quadro politico ritornato, esaurita la funzione dei partiti di massa, a una sorta di esercizio di notabilato magari realizzato attraverso il web oppure seguendo il metodo delle primarie quale momento di esaltazione di quell’individualismo competitivo cui si è già fatto cenno.
All’autoritarismo già presente pare contrapporsi una sorta di “ribellismo latente” che assume la forma del disincanto nichilista e dell’abbandono.
Le espressioni possibili di questo disincanto potrebbero risultare molto pericolose aprendo la strada ad una reazione di inasprimento della logica del comando dall’alto che si calerebbe in una situazione di sostanziale neghittosità della galassia sociale, come sta accadendo del resto in questi giorni dove si notano attive soltanto quelle già definite come “minoranze rumorose” attive soltanto nell’espressione o nella difesa conservativa di interessi particolari.
Servirebbe la messa in azione di una vera e propria ripresa politica, difficile da promuoversi nell’assenza di adeguate soggettività.
Queste considerazioni si concludono del tutto sprovviste di una qualche indicazione politica nella coscienza che si tratta di mere indicazioni di testimonianza relativa a un inquietante processo di vero e proprio arretramento storico e di degrado politico – culturale in base del quale rischia seriamente di degenerare la stessa convivenza civile.
lle Unioni Civili (tema sul quale è stata forzata la derivazione parlamentare del disegno di legge, trasformandolo ancora una volta in un atto di diretta emanazione governativa attraverso il passaggio “emendamento – voto di fiducia) realizzata attraverso uno schieramento affatto diverso da quello presentato alle elezioni e che era composto da uno schieramento formalmente di centro – sinistra (si omette a questo punto, per ragioni di economia del discorso di entrare nel merito dei contenuti per limitarci a un discorso di appartenenze parlamentari) composto da PD e SeL.
Uno stato di cose davvero “border line” non tanto rispetto alla Costituzione che formalmente è stata rispettata: anche se è bene ricordare che questo Parlamento è stato eletto attraverso l’utilizzo di una legge poi giudicata incostituzionale dell’Alta Corte soprattutto sotto due aspetti decisivi, nomina dei parlamentari e premio di maggioranza, che ne inficiano direttamente la validità politica.
Del resto era già stato considerato “border line” il comportamento del presidente Napolitano nell’occasione della caduta, nel novembre 2011, del governo Berlusconi IV con la nomina preventiva di Mario Monti a senatore a vita e il suo successivo incarico, fuori dalla prassi parlamentare.
Salta fuori, a questo punto, la questione del rapporto Governo / Parlamento e anche questo costituisce un altro punto di riflessione in materia di analisi di funzionamento costituzionale, dopo decenni di presunto “decisionismo”, di caduta della produzione legislativa da parte delle Camera e di crescita esponenziale nel numero di conversioni di decreti governativi.
In realtà il limite vero che sta incontrando il sistema politico italiano è quello di una credibilità complessiva del sistema e dell’insieme dei rapporti tra – appunto – il sistema politico e la società nel suo insieme.
Un limite che rischia di mettere in difficoltà la stessa tenuta democratica.
Una progressiva separazione tra il sistema e le stesse forme di democrazia liberale intese nella Costituzione repubblicana in cui il “caso italiano” si specchia in quello che è stato definito deficit democratico europeo.
Non è tanto la questione, pur molto importante (assai di più di quanto non pensino molti cultori dell’allineamento alle cosiddette “democrazie mature”) della precipitosa diminuzione che si registra occasione per occasione nella partecipazione al voto, a prescindere dal tipo di elezione. Un tempo sotto quest’aspetto vigeva una precisa gerarchia d’importanza: adesso la personalizzazione ha confuso tutto sotto il manto delle ambizioni personali e dell’individualismo competitivo. Si leggono così interviste incredibili ai candidati più improbabili.
Tutto questo però non è soltanto frutto di un cedimento episodico avvenuto sul piano politico, ma prima di tutto di una cedimento strutturale alla mercificazione della cultura cui l’ esercizio della politica è risultato subalterna subendone l’egemonia.
A questo punto l’incrocio tra la confusione imperante sotto il cielo della politica e l’affermarsi di un’evidente “liquidità sociale” sulla quale fanno premio soltanto la gestione autoritaria delle lobbie non solo ha divelto gli antichi legami dell’appartenenza politica ma ha esaltato la trasversalità di un meccanismo d’opinione all’interno del quale appare difficile rintracciare coordinate di riferimento nei valori generali di una società in veloce trasformazione.
“Lobbie” che si muovono di volta in volta sulla base di una sorta di “nicchia di specificità consumistica” che mai s’incrocia all’interno di un progetto di carattere generale.
Progetto generale che meno che mai deve essere caratterizzato da un riferimento e da un’appartenenza politica storicamente determinata.
L’appartenenza politica storicamente determinata appare prima essere considerata come un inutilizzabile ferrovecchio.
Il tutto si riduce in una perenne attualità e nell’unico parametro della vittoria e della sconfitta che ciascheduno misura di volta in volta con il proprio metro.
Siccome la trasversalità dei riferimenti pone la necessità di affrontare questioni di grande e drammatica importanza privi di adeguate capacità di espressione culturale in ogni senso si verifica un fenomeno tipico di questa fase a tutti i livelli: quello della separazione tra la decisionalità e la democrazia.
Verificata l’inoppugnabilità del valore specifico assunto dal “comando unico” l’esito è quello di un sostanziale autoritarismo esercitato all’interno di un quadro politico ritornato, esaurita la funzione dei partiti di massa, a una sorta di esercizio di notabilato magari realizzato attraverso il web oppure seguendo il metodo delle primarie quale momento di esaltazione di quell’individualismo competitivo cui si è già fatto cenno.
All’autoritarismo già presente pare contrapporsi una sorta di “ribellismo latente” che assume la forma del disincanto nichilista e dell’abbandono.
Le espressioni possibili di questo disincanto potrebbero risultare molto pericolose aprendo la strada ad una reazione di inasprimento della logica del comando dall’alto che si calerebbe in una situazione di sostanziale neghittosità della galassia sociale, come sta accadendo del resto in questi giorni dove si notano attive soltanto quelle già definite come “minoranze rumorose” attive soltanto nell’espressione o nella difesa conservativa di interessi particolari.
Servirebbe la messa in azione di una vera e propria ripresa politica, difficile da promuoversi nell’assenza di adeguate soggettività.
Queste considerazioni si concludono del tutto sprovviste di una qualche indicazione politica nella coscienza che si tratta di mere indicazioni di testimonianza relativa a un inquietante processo di vero e proprio arretramento storico e di degrado politico – culturale in base del quale rischia seriamente di degenerare la stessa convivenza civile.
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