In questo blog si è già di recente parlato della proposta di legge di iniziativa popolare CGIL denominata Carta dei diritti universali del lavoro (o Nuovo Statuto dei lavoratori) evidenziandone, tra l’altro, la finalità di estendere diritti e tutele senza più distinzione tra lavoratori subordinati, precari, autonomi.
Area pro labour Giuristi per il lavoro di Alberto Piccinini *
L’importanza di una simile
iniziativa risiede, a mio parere, proprio nel suo carattere innovativo e
propositivo, che vede finalmente le organizzazioni dei lavoratori non
limitarsi a cercare di arginare l’attacco ai diritti che ha
caratterizzato la legislazione del lavoro di questo secolo, ma assumere
un ruolo progressista e riformatore.
Se si intende però
rinforzare i diritti e individuarne di nuovi, è necessario fornire agli
stessi gambe su cui camminare e fare quindi i conti con gli ostacoli che
leggi e sentenze frappongono all’effettività delle tutele; non è
sufficiente avere dei diritti, ma è anche necessario avere la
possibilità di farli concretamente valere nel processo senza subire
ingiuste penalizzazioni.
A questo proposito la Carta per prima cosa ribadisce la gratuità dell’accesso alla giustizia,
messa in dubbio da una tassa sugli atti giudiziari (denominata
“contributo unificato”), proporzionata al valore della causa, introdotta
da oltre dieci anni, dalla quale il lavoratore non è, normalmente,
esentato. Prevede poi la deducibilità ai fini fiscali degli oneri
affrontati per la tutela dei diritti: in altri termini si potrà
finalmente scaricare la parcella degli avvocati, i quali saranno sollecitati dai clienti alla massima trasparenza nella fatturazione.
Stabilisce la competenza
territoriale del Tribunale ove ha avuto luogo la prestazione di lavoro e
quella del domicilio del lavoratore (o collaboratore) se viene chiamato
in giudizio dal datore di lavoro. Sempre in tema di competenza, il
giudice del lavoro decide anche nelle cause in materia di rappresentanza
sindacale e di contrattazione collettiva ed in quelle che riguardano i rapporti di lavoro dei soci di cooperativa (comprese
le questioni che riguardano il rapporto associativo), oggi
paradossalmente assegnate al giudice ordinario, con grave penalizzazione
processuale, in questi ultimi casi, proprio delle fasce più deboli e
spesso più sfruttate.
Si interviene poi su due
aspetti che rendono i processi insostenibili o inutili: i tempi
eccessivamente lunghi e la difficoltà di ottenere un’esecuzione
effettiva dei provvedimenti una volta ottenuti.
Sul primo fronte viene
stabilito il diritto del lavoratore a ottenere un provvedimento,
quantomeno provvisorio, entro tre mesi dalla proposizione della domanda;
sul secondo, che il giudice possa disporre che il datore tenuto al
pagamento di compensi o condannato ad un obbligo di fare
(reintegrazione, assegnazione di mansioni non dequalificanti) versi una
somma di denaro per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento.
Viene abolito il “Rito Fornero”,
che ha provocato solo duplicazione di cause (con duplicazione di costi)
e enormi complicanze e incertezze interpretative. Per salvaguardare,
però, l’esigenza di un processo celere in caso di licenziamenti con
domanda di reintegrazione, si stabilisce che per questa materia siano
riservati particolari giorni nel calendario delle udienze, e che il
lavoratore possa comunque promuovere un procedimento d’urgenza senza
dover dimostrare l’esistenza di un danno grave e irreparabile.
Stessa regola per le impugnazioni di trasferimento e per le richieste di
trasformazione di contratti precari in contratti di lavoro subordinato.
Un’ultima questione di cui si è già parlato in questo blog è relativa alla reinserita possibilità per il giudice di non
condannare il lavoratore che perde la causa al pagamento delle ingenti
parcelle. Riscrivendo una norma del codice di procedura civile (l’art.
92) il legislatore ha stabilito, dal novembre 2014, che la compensazione
delle spese (ognuno paga il proprio avvocato) può essere disposta solo
in casi rarissimi, di assoluta novità della questione trattata o di mutamento della giurisprudenza
rispetto a questioni determinanti. In tutti gli altri il dipendente che
ha osato rivolgersi alla giustizia e perde la causa oggi viene sempre e
inevitabilmente condannato a pagare migliaia di euro all’avvocato
avversario. La Carta prevede invece che il giudice possa compensare le
spese in relazione alle condizioni delle parti, alla differente
posizione economica e sociale, alle scarse informazioni a disposizione
per valutare l’esistenza di circostanze che devono essere provate dal
datore di lavoro, o per altre giuste ragioni. Sul punto c’è stato anche un appello presentato alle istituzioni da numerosi giuristi, ed un rinvio alla Corte Costituzionale da parte del Tribunale di Torino.
*Sono avvocato
giuslavorista a Bologna dalla parte dei lavoratori. Ho seguito, con il
collegio di difesa FIOM, il contenzioso contro la FIAT e il licenziamento dei tre operai di Melfi. Ho
scritto numerosi articoli in riviste specializzate e qualche libro in
materia di licenziamenti individuali e collettivi e di comportamento
antisindacale (oltre a un paio di romanzi e una raccolta di racconti)
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