Si è concluso venerdì il dodicesimo round della negoziazione sul Ttip. Eppure nessuno sa cosa ci sia nel testo: i contenuti sono segreti anche per i Parlamenti. E l'Italia rischia un vero disastro: le produzioni di massa a basso prezzo saranno favorite rispetto alle tipicità della Penisola.
Nelle aule di liceo che frequentai molto tempo fa era celebre la risposta di uno studente alla domanda di letteratura greca sul poeta Callino: “Di Callino non si sa quasi niente”. Null’altro seppe aggiungere, ma era la verità: infatti sono giunti sino a noi soli pochi frammenti dei suoi versi. La risposta purtroppo sarebbe la stessa se la domanda fosse fatta oggi sul Trattato Transatlantico (Ttip) che per noi, a nostra insaputa e forse contro di noi, stanno discutendo a Bruxelles i negoziatori della Commissione Ue e quelli degli Usa. Sono ormai tre anni che i negoziati procedono e in questi giorni, fino a venerdì, hanno luogo nuovi incontri.L’ampiezza degli argomenti e la profondità delle conseguenze che il Ttip potrà avere sulla nostra vita sono enormi: questo trattato commerciale non riguarderà questo o quel prodotto, ma praticamente tutti i prodotti e anche certi servizi, farà cadere non solo tutte le residue barriere doganali, ma anche le limitazioni che si frappongono a motivo di regolamentazioni diverse, frutto di anni di modifiche e messe a punto a volte sapienti. Si avrà un’area di libero scambio e per questo le regole sulle due sponde dell’Atlantico dovranno essere o unificate o armonizzate e questo non si può fare se non trascurando le peculiarità delle singole produzioni: saranno favorite le produzioni di massa, cioè le grandi aziende, e l’omologazione verso il basso della qualità, ossia il basso prezzo.
I danni prevedibili per le produzioni di qualità, le tipicità di cui il nostro Paese va orgoglioso, e da cui trae molto in termini economici, sono praticamente incalcolabili. Già ora la concorrenza a nostro danno è falsata in mezzo mondo da prodotti agricoli che echeggiano, nel nome e nella presentazione, i sapori del nostro territorio. L’Italian sounding è un fenomeno che danneggia le nostre esportazioni e rischia di trovare un consolidamento se non verranno trovati giusti modi di rispetto. Eppure, più che il trattato stesso sconcerta il modo con cui vengono condotte le trattative. Una carenza di trasparenza studiata scientificamente, in cui viene negata la conoscenza dell’effettivo procedere dei testi non solo al comune cittadino, ma perfino ai rappresentanti del popolo eletti democraticamente.
Per loro è stata studiata una severa procedura di ingresso a una “sala di lettura” in cui possono accedere su domanda, ma senza alcuno strumento che consenta la trascrizione dei testi, perfino carta e matita. Questo grado di segretezza è degno di una organizzazione carbonara e non di una istituzione come la Commissione europea. Purtroppo queste procedure possono esistere grazie all’indifferenza dell’opinione pubblica, tenuta all’oscuro quanto è possibile. Esistono, è vero, movimenti contrari, che hanno manifestato più volte in tutta Europa: in Italia, però, siamo parecchio indietro, nonostante gli sforzi dei volenterosi.
La minaccia peggiore che potrebbe venirci dall’approvazione del Trattato, almeno per quel poco che se ne sa, potrebbe venire da una specie di mordacchia che il Trattato potrebbe imporre alle legislazioni nazionali: il Ttip, una volta approvato dall’Europarlamento e ratificato dai Parlamenti nazionali, entrerebbe in vigore e darebbe luogo a regolamenti europei vincolanti per il legislatore nazionale. Fin qui tutto normale, potrebbe dirsi. Se non fosse che esiste una clausola particolare, quella denominata ISDS, che prevede l’istituzione di un tribunale speciale accessibile all’investitore estero che si ritenga danneggiato dalla nuova regolamentazione nazionale.
Potrebbe agire direttamente contro lo Stato che non abbia “rispettato” il Trattato ed esigere multe astronomiche, caso che già si è verificato in analoghi Trattati che prevedono questa clausola. Si comprende bene che questa è una prospettiva del tutto favorevole alle già potentissime società multinazionali, capaci di operare su grandi aree geografiche, con bilanci talvolta superiori a quelli degli Stati in cui sono presenti. Sarebbe troppo facile ricordare i danni sociali generati da analoghe circostanze in altre parti del mondo, magari in Chiapas, Messico.
Sul tema di questi negoziati è sconcertante il silenzio dei media, preoccupante il disinteresse che mostrano le istituzioni, avvilente la non conoscenza da parte di gran parte dell’opinione pubblica. Un tema grave è lo sbilanciamento degli interessi in seno ai negoziatori. Oltre alla commissaria Ue per il Commercio, Cecilia Malmstroem, decisamente favorevole, e al capo dei negoziatori, Ignacio Maria Bercero, ci sono i negoziatori dei vari direttorati di Bruxelles interessati al Ttip, e bisognerebbe sapere quali sono gli atteggiamenti. Di certo gli esperti scelti per la consulenza hanno una provenienza decisamente sbilanciata verso il nord-ovest dell’Europa. Siamo ancora in tempo per rimediare: è bene non aspettare che la Commissione ci confezioni un pacco di soluzioni dalle conseguenze imprevedibili, un pacco che i Parlamenti potranno solo prendere o lasciare. La democrazia ridotta allo zerbino fuori dalla porta di casa.
di Giovanni Bottazzi
da Il Fatto Quotidiano del 24 febbraio 2016
Nessun commento:
Posta un commento