sabato 14 novembre 2015

"Quello che l'Occidente non riesce a confessare se stesso".

La lettura delle prime analisi, commenti, valutazioni sui fatti di Parigi desta un’impressione di complessiva superficialità e di espressione di manicheismo nel dividere con nettezza il bene dal male, il giusto dall’ingiusto determinando le parti da assegnare attorno ad un recupero pieno dell’idea di Samuel Huntington sullo “scontro di civiltà”.
Questa impressione di superficialità e di tendenza a sfuggire i nodi veri delle questioni globali che ci si trova davanti in questa fase proviene un po’ da tutti i campi politici e culturali: naturalmente questo stato di cose fa gioco alla destra razzista che tutto ha da guadagnare dallo stato di panico e dalla proclamazione di condizioni di emergenza (vere o presunte).
Appaiono, invece, omessi alcuni elementi che dovrebbero far parte dell’analisi di questo complicato e drammatico frangente.
A livello planetario è in atto, infatti, un processo di ridefinizione dell’insieme delle relazioni geopolitiche al centro del quale vi è il tema della supremazia in materia energetica.

Materia energetica che si trova al centro di uno scontro che pure dovrà trovare soluzione circa il modello da seguire per il futuro, in particolare rispetto al peso che il petrolio dovrà continuare ad avere nell’economia mondiale e a livello di produzione di ricchezza nelle prospettive dell’egemonia del capitalismo.
Sono questi due fattori determinanti nella contesa planetaria che portano anche a riflettere sul fatto che, a seconda dell’esito di questo scontro, necessiteranno nuovi gruppi dirigenti dotati di una cultura diversa da quella che ha contraddistinto le diverse leadership almeno dalla crisi del 73-74.
Non è poi difficile per chi dispone di enormi mezzi e può far leva sulla disperazione di popolazioni povere, sulla rabbia di uno stuolo di immigrati messi ai margini all’interno dei paesi colonialisti, su di una massa facilmente manovrabile, allestire tragedie in nome di un’identità religiosa o di un riscatto nazionale e/ di etnia, per combattere questo scontro seminando il terrore fra le popolazioni.
Un modo diverso di definire la “prima linea” da ciò che accadde nella seconda guerra mondiale.
Il pericolo vero che stiamo correndo è quello di un conflitto globale, magari mascherato nella sua definizione concreta, ma in realtà destinato a decidere un nuovo livello di potere mondiale, terminata la fase della logica dei blocchi contrapposti e anche quella del solitario “gendarme del mondo”.

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