domenica 29 novembre 2015

Chi ci porta in guerra, e perché i giornali non lo rivelano

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Mille cisterne di petrolio dell’Isis, dirette in Turchia, distrutte in pochi giorni dai caccia russi. Poi l’abbattimento del Sukhoi-24, col mitragliamento di uno dei piloti mentre scendeva col paracadute. E il ministro degli esteri turco che dice al collega russo Lavrov che i militari di Ankara, quei pasticcioni, non avevano capito che l’aereo sul confine turco-siriano fosse russo. Una farsa pericolosa, su cui Obama si è limitato a dire che “la Turchia ha il diritto di difendersi”, come se il bombardiere Su-24 stesse minacciando la sicurezza turca. Conseguenze? Imprevedibili. Secondo Pepe Escobar, Mosca potrebbe chiudere i rubinetti del gas (da cui la Turchia dipende), armare segretamente i separatisti curdi dell’Anatolia e, intanto, spedire gli “Spetznaz” – i temibili reparti speciali – in missione punitiva tra le montagne dove si annidano i guerriglieri turcomanni, quelli che hanno mitragliato il paracadutista compiendo un crimine di guerra particolarmente odioso, sanzionato dalla Convenzione di Ginevra del 1977. Il “colpo alla schiena” sferrato a Putin ci spinge verso una guerra più vasta?
Inquietante la regia che sembra sovrintendere agli eventi: la Russia, intervenuta per sostenere il pericolante regime di Assad – l’unico che, nella regione, abbia resistito alle primavere arabe e ai golpe che hanno travolto i governi di Tunisia, Egitto, Libia Il Sukhoi Su-24 abbattuto tra Siria e Turchiae Yemen – ha messo a nudo il vero problema: l’Isis sta in piedi solo grazie a rifornimenti occidentali, garantiti attraverso paesi Nato come la Turchia e petromonarchie “alleate”. Il cacciabombadiere russo – un aereo progettato per colpire obiettivi a terra volando a bassa quota – non era scortato dai caccia, non immaginando di poter essere attaccato. E’ stato abbattuto, da fuoco teoricamente “amico”, a pochi giorni dalla strage di Parigi del 13 novembre, di cui svariati osservatori hanno indicato, al di là del paravento jihadista, l’inequivocabile cifra simbolica, riconducibile a un’ispirazione massonica. Gioele Magaldi (“Massoni, società a responsabilità illimitata”) ricorda che, per i massoni, il “venerdì 13” è quello dell’ottobre 1307, la data di inizio della persecuzione dei Templari ordinata giusto in Francia dal sovrano, Filippo il Bello. E un altro massone, Gianfranco Carpeoro, aggiunge che esattamente il 13 novembre di quell’anno alcuni “cavalieri del tempio” riuscirono a fuggire da Parigi riparando in Scozia, dove si unirono alle logge dei “liberi muratori”, costruttori di cattedrali, per poi fondare, in futuro, la massoneria moderna.

Si considerebbero dunque “moderni Templari” le ipotetiche menti del terrorismo progettato a Parigi? Una “firma”, quella affidata alla data fatidica, che servirebbe a siglare il messaggio, indirizzato alla fazione non-reazionaria del vertice mondiale? Una geografia che resta incerta, opaca e complicata: lo stesso Putin sarebbe stato iniziato alla superloggia “Golden Eurasia” insieme ad Angela Merkel, finora recalcitrante di fronte alla spirale bellica aperta con i focolai che si estendono dall’Ucraina alla Mezzaluna Araba. E lo stesso Hollande, dopo la campagna elettorale che l’ha portato all’Eliseo grazie alla promessa di metter fine al disastro sociale dell’austerity imposta dalla Ue a tradizione tedesca, sarebbe stato “ammorbidito” e minacciato, prima ancora che l’anteprima sanguinosa di “Charlie Hebdo” scuotesse Parigi. Sempre nel libro “Massoni”, che costringe a rileggere la storia recente alla luce di sconcertanti rivelazioni, Magaldi scrive che il leader turco Erdogan è parte integrante del network segreto “Hathor Pentalpha”, fondato dai Bush e cresciuto reclutando anche leader europei: da Blair,  inventore delle Sarkozy“armi di distruzione di massa” di Saddam, al francese Sarkozy, protagonista dell’eliminazione di Gheddafi che ha trasformato la Libia in una palestra per jihadisti.
La specialità di questa Ur-Lodge, definita «loggia del sangue e della vendetta», sarebbe la strategia della tensione, incluso l’11 Settembre: il terrorismo di Stato come pratica eversiva sistematica, da Bin Laden all’Isis, per rovesciare equilibri. Tanti gli obiettivi. Innanzitutto, scatenare il lucroso business della guerra: le spese folli per gli armamenti e poi la ricostruzione, in Iraq affidata alla Halliburton fondata dal “confratello” Dick Cheney. E poi, revocare diritti democratici (Patriot Act) grazie all’alibi dell’emergenza. Un copione sempre uguale: fabbricare il nemico, pilotare stragi, scatenare guerra e repressione allo scopo di consegnare le leve del potere in pochissime mani. Col passare dei giorni, tra rituali indagini di polizia ed escalation militare, la stampa mainstream non mette a fuoco che frammenti, senza mai una visione d’insieme. Proibito fare analisi approfondite: gli editori sono tutti prudentemente “embedded”, in un sistema dominato dai manovratori. Per questo, al massimo, giornali e televisioni (invasi da speculazioni fumogene come quella sull’Islam), provano ad aggiornare una mappa provvisoria degli “interessi in campo” attorno al teatro geopolitico siriano: la crisi dell’egemonia Usa e il ritorno della Russia si incuneano nella faglia inter-islamica che oppone sciiti e sunniti, Iran e Arabia Saudita, col contorno di soggetti come Israele e Turchia che, come s’è visto, non stanno certo a guardare.
Tutto, ancora e sempre, rimanda a una regia dietro le quinte. Lo dimostrano i dettagli che coronano l’abbattimento del jet russo: «Tanto bene era stato preparato l’agguato – scrive Roberto Quaglia su “Megachip” – che tra le montagne di Latakia c’erano già appostati i giornalisti per fotografare e riprendere l’abbattimento: l’operatore Erdal Turkoğlu ed il fotoreporter Fatih Aktas del canale turco “Anadolu”». Durante la missione di salvataggio del pilota superstite, un marine russo è stato ucciso a bordo del suo elicottero, centrato da un missile Tow di fabbricazione Nato: episodio puntualmente filmato dai “ribelli”. «L’attacco – ricorda Quaglia – è avvenuto poco dopo che la Russia aveva finalmente interrotto il traffico di petrolio che l’Isis da anni vendeva indisturbata in Turchia, distruggendo 1.000 (diconsi mille) autobotti che chissà perché i satelliti americani erano per anni riusciti a non vedere. La televisione americana “Pbs” è poi riuscita a mostrare al proprio pubblico i video della distruzione di queste autobotti dell’Isis sostenendo con incredibile faccia di tolla che il merito fosse di unErdoganbombardamento americano. Peccato solo per le scritte in cirillico a margine delle immagini, ma pazienza, si sa che l’americano medio non legge comunque».
C’è chi sostiene che uno dei figli di Erdogan fosse personalmente implicato nella gestione del traffico di petrolio, per lucrare sul finanziamento dell’Isis: Quaglia si domanda se siamo di fronte a un caso di “megalomania neo-ottomana”, ma è impossibile non ricordare l’appartenenza del presidente turco alla “loggia del sangue e della vendetta”, creata nel 1980 da Bush padre, sconfitto da Reagan nella corsa alla Casa Bianca. Oggi, quello che emerge è soprattutto lo spaventoso caos innescato da violenze a catena, in una selva di trame visibili e occulte. Conseguenze solo in parte prevedibili, dietro le mosse giocate da poteri che restano nell’ombra. «Non c’è governo al mondo, né Washington né il Cremlino, che non sia condizionato da quei poteri», ammonisce Fausto Carotenuto, già analista militare dei servizi segreti, intervenendo a “Border Nights”, trasmissione radio su web. Lo stesso Carpeoro ribadisce: non esiste un unico “super-vertice del male”, «se ci fosse l’avremmo già colpito». La caccia all’Uomo Nero – Isis, Bin Laden – è esattamente quello che vuole il super-potere: l’illusione che tutto si possa risolvere eliminando un pugno di terroristi, o di golpisti. «Il dramma – chiosa Carpeoro – è che non siamo di fronte al Nuovo Ordine Mondiale, ma al Nuovo Caos Mondiale, scatenato da nient’altro che una smisurata sete di denaro». Un gioco rischioso, la cui pericosità stiamo toccando con mano giorno per giorno, tra funerali e missili.

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