Un asino affamato e assetato siede tra due mucchi di fieno. Vicino a ognuno, c’è un secchio d’acqua. Ma non c’è nulla che lo porti ad andare da una parte piuttosto che dall’altra. Perciò, resta fermo e muore. Così l’umanità imita l’asino di Buridano di fronte ai limiti della crescita, limiti che la Terra stessa ci segnala ormai da tempo.
Renzo Rosso Professore ordinario di Costruzioni Idrauliche e Marittime e Idrologia, Politecnico di Milano
La crescita economica asfittica in stile giapponese mina le basi del neo-liberismo, che politici ed economisti hanno esaltato quale teoria razionale e asettica. Un impasto ideologico e fideistico che ha permeato la società, stregando i progressisti di tutto il mondo. Costretto la Terra a svilupparsi come una mega-macchina che massimizza e accumula, sotto forma di capitale e insieme di potere, il valore estraibile sia dagli esseri umani, sia dagli ecosistemi. Luciano Gallino, uno dei pochi pensatori italiani che ha lasciato un segno nella coscienza collettiva di questo secolo, ha scritto che «l’estrazione di valore è un processo affatto diverso dalla produzione di valore. Si produce valore quando si costruisce una casa o una scuola, si elabora una nuova medicina, si crea un posto di lavoro retribuito, […] o si piantano alberi. Per contro si estrae valore quando si provoca un aumento del prezzo delle case manipolando i tassi di interesse o le condizioni del mutuo; si impone un prezzo artificiosamente alto alla nuova medicina; si aumentano i ritmi di lavoro a parità di salario; […] o si distrugge un bosco per farne un parcheggio».
Quasi 50 anni fa, il Rapporto MIT-Club di Roma su I limiti della crescita (che in Italia titolarono I limiti dello sviluppo in modo un po’ canagliesco) dimostrò che la crescita di ogni sistema è regolata da confini intrinsechi e inviolabili, da cui si rimbalza attraverso le catastrofi. L’infinito è un’astrazione leopardiana o la conseguenza di un assioma matematico, ma il mondo è fatto di acqua, terra, vegetazione e carne. La ricerca di combustibili fossili raschia il barile e rasenta la catastrofe ecologica e umanitaria. Il permafrost si scioglie, intriso di idrocarburi. La frantumazione del sottosuolo rischia di inquinare le riserve idriche del Mid-West. I giapponesi vogliono raccogliere gli idrati di metano arando i fondali marini. Grazie alle politiche di land grabbing, le coltivazioni di bio-combustibili aumentano la fame dei paesi poveri. Un mondo finito; ma controllato dal debito, dalla moltiplicazione del denaro e dalla sublimazione del potere gestito da un impero reticolare. Un mondo che cresce spinto dall’illusione che i limiti fisici siano solo una profezia di alcune Cassandre.
La comunità internazionale si comporta come l’asino di Buridano. Sente che qualcosa non va e premia gli scienziati che lanciano l’allarme, ma regola anche i limiti delle emissioni sulle esigenze dei costruttori d’auto. Un colpo al cerchio e uno alla botte, rimanendo esattamente nello stesso punto di prima. Lo stallo sulle emissioni è solo un esempio.
Riuscirà il Cop21 a far qualche passo avanti? Tanto per cominciare, la bufala dello iato climatico è stata definitivamente confutata.
La finanziarizzazione dell’inquinamento ha davvero senso, oltre a quello di creare denaro virtuale? Finora l’unico risultato saliente è il Chicago Climate Exchange che va a gonfie vele.
A quasi vent’anni dalla firma, i caposaldi del Protocollo di Kyoto (Commercio internazionale delle emissioni, meccanismo per uno sviluppo pulito, attuazione congiunta) hanno funzionato?
Ci sono momenti della storia in cui la società, l’economia, le forme istituzionali cambiano. Compito della politica è raccogliere le idee, elaborare le strategie di medio e lungo periodo, orientare la gente verso modelli di sviluppo in grado di evitare rimbalzi disastrosi. Una foresta non è una sommatoria di alberi, come insegnava Fred Morton; così, il benessere di una comunità non è la sommatoria degli interessi individuali, tantomeno di quelli dei monopolisti. La bean machine, un grande pick-up Ford eco-friendly alimentato da fondi di caffè, fa i 100 all’ora consumando un chilo di caffè ogni 5 chilometri. Prende in prestito il nome dal soprannome della quincunx, la macchina che Sir Francis Galton inventò per dimostrare il teorema del limite centrale, uno dei fondamenti del moderno metodo statistico. Vuoi mettere l’aroma del caffè rispetto alla puzza di benzene?
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