venerdì 27 novembre 2015

Lavoro, Poletti: “Laurea a 28 anni con 110 e lode? Non serve a niente, meglio a 21 con 97″.

Lavoro, Poletti: “Laurea a 28 anni con 110 e lode? Non serve a niente, meglio a 21 con 97″Il ministro ha consigliato agli studenti di fare in fretta "per non dover competere con ragazzi che hanno sei anni di meno". Poi ha bocciato il posto di lavoro fisso: "Arrivano mail all'una di notte di sabato, se sono interessanti rispondo. Il lavoro si può fare in mille posti".

Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti non ha dubbi: studiare tanto e laurearsi fuori corso ma con un voto alto non premia. Meglio finire l’università in fretta. “Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21“, ha detto agli studenti durante la convention di apertura di “Job&Orienta”, una mostra convegno sulla formazione e l’orientamento. Il mercato del lavoro non aspetta e “in Italia abbiamo un problema gigantesco: è il tempo”, ha sentenziato il responsabile del dicastero. “I nostri giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo“.
Per Poletti i giovani dovrebbero smetterla di essere ossessionati dal “prendere mezzo voto in più“, perché così facendo buttano via del tempo prezioso che non potranno più recuperare una volta usciti dall’università: “Il voto è importante solo perché fotografa un piccolo pezzo di quello che siamo”, ha detto, ma è necessario adesso rovesciare “radicalmente questo criterio, ci vuole un cambio di cultura”.

Parlando dei cambiamenti del mercato del lavoro, il ministro che ha legato il suo nome al Jobs Act e all’abolizione dell’articolo 18 ha poi criticato la visione tradizionale in base alla quale “per 20 anni si studia, per 30 si lavora e poi si va in pensione“. Così come l’identificazione di un posto fisso materiale in cui svolgere il proprio lavoro. “La storia secondo cui c’è un posto dove si va a lavorare, la fabbrica, è finita. Il lavoro non si fa in un posto: il lavoro è un’attività umana, si fa in mille posti“, ha bisogno di “creatività, consapevolezza, responsabilita, fantasia“. “Faccio spesso un esempio. Arrivano delle mail all’una di notte, se le considero interessanti rispondo. Domanda: è un sabato notte, all’una, e io sono nel mio letto; quello è definibile luogo di lavoro? Per me no, però io sto lavorando, e sto rispondendo a una mail”.

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