Deborah Dirani Donna, prima. Giornalista, poi.
Così va a finire che il 25 novembre veniamo tutte travolte da un'onda anomala di indignazione, veniamo invitate a dire "no" a quell'uomo che ci tronca la schiena di mazzate, che umilia la nostra intelligenza, che non accetta la nostra visione delle cose, che ci mette all'angolo della vita. Dal 26, poi, è il caso che ci arrangiamo: le pubblicità coi numeri verdi e rosa ce le hanno fatte vedere "E tira su il telefono, no?".
No, davvero, quest'anno, no.
Quest'anno non ho alcuna voglia di prestare le mie mani a questa lavatrice della pubblica coscienza. Quest'anno le scarpette rosse le lascio nell'armadio: ricomincerò a indossarle da domani, quando le altre scarpette rosse saranno state rimesse al loro posto, in fondo alla scarpiera. Le userò ogni giorno per vivere una vita in cui mi sento essere umano, non una specie da proteggere.
Le calzerò ogni volta in cui incontrerò una donna spaventata, che non crede di poter uscire dalla gabbia di terrore in cui è stata rinchiusa. Le metterò per allungarle una mano, per incoraggiarla, per farle sentire che la sua paura possiamo condividerla e vedere se in due riusciamo a renderla più sopportabile: quel tanto che basta per trovare la forza necessaria a proteggerci.
Camminerò con le mie scarpette rosse ogni giorno dell'anno e cercherò di arrivare in ogni angolo del mondo per spiegare che non esistono leggi in grado di tutelarci se non siamo noi le prime ad avere quell'amore per noi stesse che ci fa reagire al primo ceffone, alla prima umiliazione. Racconterò le mie umiliazioni e i miei ceffoni, mi scartavetrerò anima e faccia per mostrare alle donne che pensano di essere finite in una strada senza uscita, che l'uscita c'è, che il muro che vedono davanti agli occhi si tira giù, un mattone dopo l'altro, un giorno dopo l'altro. Sarò lì, con le mie scarpette rosse, vicino a qualunque donna alzerà gli occhi oltre quel muro e penserà: "Oddio è troppo altro". Cercherò una scala per lei, mi trasformerò io in scala, se necessario. Le regalerò un bel paio di scarpe da ginnastica, magari proprio rosse, per scappare lontano, se questa è l'unica possibile soluzione. Perché non c'è niente di male nella fuga quando significa salvezza.
Farò tutto quello che mi verrà in mente, per quanto poco possa essere, per incoraggiare ogni donna annichilita di paura. Le racconterò favole nuove, favole in cui il "Principe Azzurro" è un uomo per bene, favole in cui il "Principe Azzurro" non arriva a salvare la principessa, perché sennò va a finire che lei non visse felice e contenta, ma dipendente e ingabbiata in una cella di gratitudine. Perché noi donne non dobbiamo avere ancora bisogno di essere protette: non siamo panda. Dobbiamo alzarci da sole imparando che non c'è niente di male nella solitudine se l'alternativa è finire vittime della violenza dell'uomo che amiamo. Dobbiamo imparare che il solo amore necessario per vivere una buona vita è quello per la vita stessa, in primo luogo la nostra. Che non abbiamo niente di sbagliato se non abbiamo una famiglia, un compagno: che quello che ci hanno fatto credere dalla notte dei tempi è una brutta e colossale bugia. Non siamo nate per essere la metà di una mela spaccata: siamo nate complete così come siamo. Non ci manca niente per essere felici, di certo non un uomo.
Possiamo mangiare da sole al ristorante, andare al cinema, in vacanza, possiamo comperarci una casa, una macchina: possiamo fare tutto. Il giorno in cui, in fondo al nostro cuore, sentiremo la verità della nostra libertà avremo la forza di tirare giù ogni muro, di ricominciare oltre quel muro. Non importa per quanti anni ci abbia impedito il passaggio: la vita ricomincia in ogni istante e il passato ha il peso che noi decidiamo di dargli. Non c'è da vergognarsi della prigione di paura in cui si è vissute o, ancora, si vive.
La vergogna paralizza le gambe ancor più del terrore, e a noi servono gambe buone per andare lontano. Non importa quanti anni impiegheremo, quante lacrime verseremo, quanta angoscia saremo state in grado di sopportare. Importa solo avere una certezza: non sarà per sempre. Arriverà per ognuna il giorno, e sarà un giorno apparentemente come un altro, in cui sentiremo che dentro di noi c'è la forza per prendere a testate ogni muro, a partire da quello che fino al giorno prima ci sembrava impossibile da demolire. E arriverà un giorno in cui le nostre figlie cresceranno nutrite del nostro latte e della certezza della loro forza. E quel giorno non sarà un 25 novembre, perché di 25 novembre, allora, il mondo non avrà più bisogno.
Nessun commento:
Posta un commento