Negli anni cinquanta era andato a vivere in Perù e partendo aveva scritto questo testo, Mamma Roma, addio!, da molti considerato un inno alla fuga da Roma.
“Me ne andavo da quella Roma addormentata, da quella Roma puttanona, borghese, fascistoide, da quella Roma del ‘volemose bene e annamo avanti’, da quella Roma delle pizzerie, delle latterie, dei Sali e tabacchi, degli Erbaggi e frutta, quella Roma dei maritozzi con la panna, senza panna, quella Roma dei mostaccioli e caramelle, quella Roma dei supplì, dei lupini, delle mosciarelle…
Me ne andavo da quella Roma dei pizzicaroli, dei portieri, dei casini, delle approssimazioni, degli imbrogli, degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali, dei pagamenti che non vengono effettuati, quella Roma degli uffici postali e dell’Anagrafe, quella Roma dei funzionari dei ministeri, degli impiegati, dei bancari, quella Roma dove le domande erano sempre ‘già chiuse’, dove ci voleva una raccomandazione…
Me ne andavo da quella Roma dei pisciatoi, dei vespasiani, delle fontanelle, degli ex voto, della Circolare destra, della Circolare sinistra, del Vaticano, delle mille chiese, delle cattedrali fuori le mura, dentro le mura, quella Roma delle suore, dei frati, dei preti, dei gatti…
Me ne andavo da quella Roma ‘con gli attici con vista’, la Roma di piazza Bologna, di via Veneto, di via Gregoriana, quella dannunziana, quella barocca, quella eterna, quella imperiale, quella vecchia, quella stravecchia, quella turistica, quella di giorno, quella di notte, quella dell’orchestrina a piazza Esedra, la Roma fascista di Piacentini…
Me ne andavo da quella Roma che ci invidiavano tutti, la Roma caput mundi, del Colosseo, dei Fori imperiali, dell’altare della Patria, dell’Università di Roma, quella Roma sempre col sole – estate e inverno – quella Roma che è meglio di Milano…
Me ne andavo da quella Roma dove la gente pisciava per le strade, quella Roma fetente, impiegatizia, dei mezzi litri, della coda alla vaccinara, quella Roma dei ricchi bottegai: quella Roma dei Gucci, dei Iannetti, dei Ventrella, dei Bulgari, dei Schostal, delle Sorelle Adamoli, di Carmignani, di Avenia, quella Roma dove non c’è lavoro, dove non c’è una lira, quella Roma del ‘core de Roma’…
Me ne andavo da quella Roma del Monte di pietà, della Banca commerciale italiana, di Campo de’ fiori, di piazza Navona, di piazza Farnese, quella Roma dei ‘Che c’hai una sigaretta?’, ‘Imprestami cento lire!’… quella Roma del Coni, del Concorso ippico, quella Roma del Foro che portava e porta ancora il nome di Mussolini…
Me ne andavo da quella Roma di merda! Mamma Roma, addio!”.
Remo Remotti
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