domenica 29 novembre 2015

Rossana Rossanda: Se la guerra possa essere ingiusta ma utile.

Vedo che la «guerra giusta» di Norberto Bobbio, contro la quale ci eravamo battuti, riappare travestita da guerra «utile», ma non è una gran trovata.
Utile per chi? Ogni guerra è sempre utile a una delle due parti in causa, almeno a breve termine, quindi il giudizio di valore va sempre spostato sulla causa del conflitto, mentre il metodo di risolverlo con una guerra va sempre rifiutato. Ricordiamoci di come apparve la seconda guerra mondiale a Gandhi e a molte parti del mondo non occidentale; se si è contro la guerra, non è possibile una guerra giusta, la guerra va misurata non nei termini dei rapporti di forza che ha prodotto, ma va rifiutata sempre per la quantità di vittime che produce. Non è semplice, perché - per esempio - io non tendo a definire «ingiusta » la seconda guerra mondiale perché i milioni di morti da ambedue le parti l’hanno subita; eppure, per la mia generazione, sulla vita dei cittadini i governi non dovrebbero aver potere di vita o di morte (come nel caso della soppressione della pena di morte).

In verità, per le guerre questo potere gli è lasciato - e non dovrebbe esserlo - con l’argomento per cui Daesh non si potrebbe danneggiare o sconfiggere in altro modo, anche perché si tratta di un nemico diffuso e meno esposto di quanto non sia un paese con il suo stato, con un territorio preciso dove si dispiegano eserciti, fortificazioni, industrie militari, sistemi di trasporto. In realtà, anche Daesh è più presente e concentrato in certi territori e, soprattutto, i mezzi militari gli sono forniti nientemeno che dall’Occidente, al più attraverso la mediazione di un altro paese. Nel caso della Turchia questa mediazione non è necessaria perché nella coalizione internazionale contro Daesh nessun altro stato partecipa alla guerra contro i curdi, che per Ankara sono il principale nemico. Il lancio di un missile turco contro l’aereo militare della Russia, che è in guerra contro Daesh ma non contro i curdi, ne è un segnale minaccioso, tranquillamente sopportato dall’Occidente.
In verità, la guerra nel Medio Oriente ha presentato e presenta sovente, a partire dall’Afghanistan, diversi fronti, anche in parte nascosti, aspetto che non è l’ultima delle sue specificità; essa mette in rilievo le ragioni per cui il più vasto movimento pacifista dei tempi recenti le è nato contro. E non solo i civili ne sono regolarmente le vittime (a ogni attacco, specie aereo) ma, come in tutti i conflitti con una forte componente ideologica, le parti non corrispondono nettamente a un territorio ben definito. Insomma, il carattere particolarmente brutale e non giustificabile delle guerre è qui singolarmente evidente.
La Francia, non contenta del disastro senza via di uscita provocato in Libia dall’ignoranza di Sarkozy, reitera errore e vittime in Siria attirandosi addosso – a proposito di guerre «utili» - l’attacco di quella parte del Daesh come movimento che filtra anche sul territorio dell’Europa occidentale, figlio non soltanto (anche se in buona parte) del disagio sociale, ma di una disperazione più interiorizzata e profonda che ha portato sinora giovani francesi e belgi a concludere le azioni omicide attivando le cinture esplosive e togliendosi la vita. Non ci si racconti che attendevano di essere accolti nell’aldilà da centinaia di vergini vogliose, disperavano della vita in terra, senza nulla che le dia un senso umano o sovrumano. Manca nel nostro mondo il solo elemento in grado di sconfiggere Daesh, cioè un senso umano o oltre umano che non sia il successo nel denaro, che non a caso essi bruciano, o lo spettacolo inteso in senso proprio come distrazione dal reale.


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