I venti dal Pacifico soffiano la polvere del deserto di Chihuahua sulla “cicatrice sanguinante” che a nord di Juárezsepara la miseria dall’opulenza consumistica.
pane-rose.it Lorenzo Ghetti
Gli atroci miasmi prodotti dalle maquiladoras
alitano su baraccopoli insalubri attraversate da rivoli nocivi,
terribili discariche a cielo aperto dove il rifiuto umano convive con
quello radioattivo. Un muchachito del luogo può mostrarti con
orgoglio la sua casa in lamiera e cartone, «Mira elreloj!» «Mira la
lampara!» «Oh, mira la flor!», indicando un’iconografia della Vergine di
Guadalupe appesa alla parete. Con ilvolto bruno di Benito Juárez
incastonato tra le lamiere metalliche del “muro de lavergüenza”, la Heroica Ciudad,
una delle più tormentate al mondo, tenta disperatamente di gettare i
suoi occhi dall’altra parte del muro, ma deve fare i conti con qualcosa
di più grande. Dalla città della “TiaJuana” a Matamoros, una barriera di
circa 3.000 chilometri segna il confine tra Messico e Stati Uniti
d’America, la “cicatriz” che secondo Carlos Fuentes separa due
filosofie del vivere, due opposte concezioni dell’esistente, due mondi
contrapposti che inevitabilmente finiscono per attrarsi. Ciudad Juárez è
la sintesi perfetta di questa opposizione tra società compenetrate e
assolutamente interdipendenti, espressione di un Paese sfortunatamente “lontano da Dio e troppo vicino agli Stati Uniti”.
Una città tenuta sotto scacco dai narcotrafficanti, tristemente famosa
per essere “la più pericolosa al mondo”, dove il tasso di femminicidi è
terribilmente inquietante. Dietro tutto questo non c’è la casualità, ma
un sistema radicato di sfruttamento e abusi la cui matrice si trova
oltreconfine. Si tratta dell’inferno prodotto dalle maquiladoras, e
Ciudad Juáreznon è altro che il suo anfratto più oscuro.
IL SISTEMA DELLA MAQUILA
Il termine “maquila” deriva dall’arabo “makíla”, vocabolo le cui origini probabilmente andrebbero ricercate nella cultura “moresca” che permeava i conquistadores andalusi. Difatti, veniva chiamata makílala quota in grano da dare al proprietario del mulino per l’uso della macina. Oggi le maquiladoras
sono industrie di assemblaggio possedute e controllate da soggetti
stranieri, ubicate soprattutto nelle zone di frontiera del nord del
Messico, come Ciudad Juárez, Tijuana, Nogales e Reynosa. Qui arrivano,
esenti da tasse, materie prime e componenti che vengono assemblati e
rispediti ai paesi d’origine. Secondo la legge messicana, i rifiuti
prodotti dalle lavorazioni nelle maquiladoras dovrebbero essere
rimpatriati nel Paese da cui provengono le materie prime, ma in realtà
finiscono sempre nel Rio Bravo o seppelliti nel deserto, a strettissimo
contatto con sobborghi operai come Rancho Anapra, Valle Dorado o Lomas
de Poleo. Dal 1994, anno in cui è stato stipulato il Trattato di Libero
Commercio (NAFTA) tra Messico, Stati Uniti e Canada, le maquiladoras
hanno avuto un grande incremento e hanno attirato un’immigrazione
proveniente soprattutto dal sud del Paese e dall’America Centrale.
Spinti dal sogno di “cruzar la linea” andando oltre frontiera o dai mediocri salari promessi dalle maquiladoras,
molti immigrati, nonostante tutto, partirono con la convinzione di
trovare condizioni di vita migliori rispetto alla povertà e al regime di
isolamento che vivevano nei loro villaggi. Oggi tutti hanno ben chiaro
come funziona il meccanismo da quelle parti, e chiunque potrà dirvi,
amareggiato, che «el capital es inteligente» e sa benissimo come e dove
muoversi per ridurre i costi e aumentare i profitti. Ed è proprio quel
bacino di popolazione in cerca di fortuna che tuttora costituisce la
quasi totalità della forza lavoro all’interno delle maquiladoras.
Per il capitale straniero significa manodopera a bassissimo costo,
mentre per i lavoratori e le lavoratrici vuol dire ricevere quattro
dollari americani al giorno per turni che vanno dalle dieci alle dodici
ore lavorative. E questo è nulla senza contare i metodi violenti di
sfruttamento, compresi abusi sessuali, violenze fisiche, sterilizzazioni
forzate e torture d’ogni genere. Il sistema della “maquila” ha
riportato le condizioni degli operai indietro di due secoli, gli stessi
che rischiano l’immediato licenziamento se solo si azzardano a
rivendicare diritti sindacali. In una città dove il 14% della
popolazione non ha ancora un accesso diretto all’acqua potabile, la
maggior parte del rifornimento idrico cittadino è utilizzato dalle maquiladoras
che scaricano i liquidi putrescenti nei canali di irrigazione, per
molta gentele uniche fonti possibili di approvvigionamento idrico.Ciudad
Juárez è, a tutti gli effetti, la rappresentazione più turpe della
contraddizione capitalistica sul globo terrestre. È lo specchio di
Dedalo nel quale ogni giorno gli Stati Uniti d’America possono ammirare
la loro vera immagine. È l’inciviltà applicata del “mondo civilizzato”al
di là del fiume più celebrato dalla cinematografia a stelle e strisce. È
il cadavere martoriato di una giovane donna sul selciato sabbioso,
lasciato ai bordi di una di quelle strade che non portano mai a niente.
IL DRAMMA DEI FEMMINICIDI
Ogni settimana, a Ciudad Juárez, almeno una donna sparisce senza
lasciare alcuna traccia, a meno che i rapitori non decidano di fare
apparire il suo corpo senza vita con chiari segni di brutali torture,
violenze carnali e asportazioni di parti del corpo. Le vittime sono
quasi tutte giovani operaie delle maquiladoras, di età compresa
tra i quindici e i venticinque anni. Provengono tutte da famiglie
povere di immigrati e costituiscono la maggior parte della forza lavoro
all’interno delle industrie di assemblaggio. Al loro interno le maquiladoras
sono luoghi asettici e asfittici, vere e proprie “cliniche
dell’abbandono” in cui il lavoro è senza pause e senza pietà. Ma il vero
inferno inizia fuori. Negli ultimi vent’anni sono seicento le ragazze
che non sono più tornate a casa dal lavoro, ma i dati ufficiali sono
approssimativi e si potrebbe trattare di un numero decisamente maggiore.
Nella maggior parte dei casi, i corpi ritrovati portano le tracce delle
violenze estreme subite: stupro, morsi ai seni, segni di
strangolamento, pugnalate, crani fracassati. Spesso il viso appare
massacrato e irriconoscibile agli stessi familiari e in alcuni casi il
corpo bruciato. Alcuni cadaveri sono stati ritrovati nei quartieri del
centro cittadino, altri abbandonati ai cigli delle strade, tra terreni
incolti in mezzo al deserto. Dietro questi efferati omicidi si celano i
moventi più assurdi. Ad oggi, si ritiene che uno dei principali motivi
di questi massacri sia da individuare nel fenomeno degli “snuffmovies”,
filmati con donne torturate e uccise lautamente ricompensati. Ma,
soprattutto, questi omicidi rivelano i legami tra gli ambienti criminali
e il poterepolitico ed economico. Molte testimonianze dimostrano che
alcuni omicidi di donne sono stati commessi durante orge sessuali da uno
o più gruppi di individui, fra cui alcuni assassini protetti da
funzionari di diversi corpi di polizia in combutta con personaggi
altolocati a livello locale. Fino ad oggi questi crimini sono rimasti
impuniti e a preoccuparsi di cercare le ragazze desaparecidas
sono solo piccoli gruppi di operai autorganizzati, mentre gli omicidi e
le sparizioni continuano in un clima di intollerabile inerzia del
governo locale che fa finta di nulla e minimizza gli accaduti. In questa
porzione di globo le nefandezze e le conseguenze nefaste di un’economia
di mercato senza scrupoli sono sotto gli occhi di tutti, ma la
differenza sostanziale continua ad essere nella prospettiva da cui si
decide di guardare il mondo e con quali occhi si sceglie di farlo. Lorenzo Ghetti
Rete per l'Autorganizzazione Popolare - http://campagnano-rap.blogspot.it
Pagine
- Home
- L'associazione - lo Statuto
- Chicche di R@P
- Campagnano info, news e proposte
- Video Consigliati
- Autoproduzione
- TRASHWARE
- Discariche & Rifiuti
- Acqua & Arsenico
- Canapa Sativa
- Raspberry pi
- Beni comuni
- post originali
- @lternative
- e-book streaming
- Economia-Finanza
- R@P-SCEC
- il 68 e il 77
- Acqua
- Decrescita Felice
- ICT
- ECDL
- Download
- हृदय योग सारस
martedì 7 aprile 2015
Ciudad Juárez, Messico: l’inferno silenzioso sotto gli occhi del mondo.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento