Dopo gli ultimi morti al largo di Lampedusa mi tornano in mente alcune righe che mi scrisse, qualche anno fa, il regista Abbas Kiarostami. Mi fa piacere condividerle.
“Questa mattina ho visto nel cielo blu uno stormo di uccelli
migratori andare da un posto all’altro. Mi sono chiesto da dove venivano
quegli uccelli e verso quale terra erano diretti. Li accoglieranno
bene, con benevolenza, gli uccelli di quei luoghi? Mi sembra che nel
nostro mondo turbolento di oggi l’immigrazione sia diventata una
questione di necessità. Le ondate di migrazione umana – escludendo quei
casi in cui la gente si sposta volontariamente in cerca di un ambiente o
di uno stile di vita migliori – sono spesso dettate da forze che sono
al di là del controllo dei profughi stessi. Gli uomini non lasciano
volentieri la loro patria per diventare ospiti indesiderati di un’altra
terra. Sarebbe troppo aspettarsi che gli esseri umani, le cosiddette:
creature di Dio più nobili, si comportino come gli uccelli?”
Dopo gli ultimi morti al largo di Lampedusa penso al
mare che circonda l’isola. Al
silenzio di quel mare. A saperlo ascoltare quel silenzio, ti accorgi, che è pieno di voci. Di urla, come per zattere di salvataggio.
La storia si ripete sempre. Tutto ciò che è già successo torna a ripetersi. Sacrifici. Gommoni. Carrette del mare. Pioggia. Onde alte come montagne. Disperazione. Povertà assoluta che poco chiede e ottiene ancora meno.
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