«Alcuni mi dicono: ma tu così vuoi fare politica! E io rispondo: sì, voglio fare politica!». Questa frase, pronunciata all’Assemblea dei metalmeccanici di Cervia, potrebbe sembrare quella che tutti cercano: l’ammissione di Maurizio Landini, finalmente. Che dirada le nebbie della «coalizione sociale», diventata quasi il sacro Graal della sinistra, per buttarsi in politica. Eppure no, non ci siamo ancora. Per vincere le accuse di ambiguità, il segretario Fiom cerca allora di spiegare l’origine della «coalizione sociale», e anche il suo significato, con esempi di vita quotidiana. Innanzitutto la genesi. Dobbiamo risalire agli anni Settanta, e poi spostarci velocemente al settembre scorso.
«Cosa facevamo quando negli anni Settanta chiedevamo che l’1% degli utili di impresa non andasse al nostro salario, ma a costruire servizi sociali? Non chiedevamo asili e mense non solo per i lavoratori, ma per tutti i cittadini? Non era quello un punto di vista generale? Il problema è che abbiamo smesso di farlo, non che qualcuno voglia farlo oggi». E ora, sì: «Alcuni mi dicono: ma tu così vuoi fare politica! E io rispondo: sì, voglio fare politica!».
Frase che nel suo contesto si comprende meglio. Quindi Landini riporta quell’esempio a oggi: «A Pomigliano metà lavorano e metà no. Allora con Libera abbiamo creato un fondo, che si alimenta con gli straordinari di chi lavora ma anche con altre donazioni, e potrà servire a chi non riesce a pagare le bollette, a chi rischia lo sfratto».
La «coalizione sociale» esce dai cancelli delle fabbriche e va a incontrare i problemi delle fasce deboli, ovunque esse siano, che lavorino o no. L’esegesi ci porta poi al settembre scorso: «Nel documento che proprio qui, da Cervia, lanciava la manifestazione del 25 ottobre con la Cgil, scrivevamo che la coalizione sociale ‘unifica le lotte per il lavoro e i diritti sociali, ed è fatta di lavoratori, studenti, precari, disoccupati, migranti’».
La «coalizione sociale» esce dai cancelli delle fabbriche e va a incontrare i problemi delle fasce deboli, ovunque esse siano, che lavorino o no. L’esegesi ci porta poi al settembre scorso: «Nel documento che proprio qui, da Cervia, lanciava la manifestazione del 25 ottobre con la Cgil, scrivevamo che la coalizione sociale ‘unifica le lotte per il lavoro e i diritti sociali, ed è fatta di lavoratori, studenti, precari, disoccupati, migranti’».
Per concretizzare Landini non cita la classica tuta blu. «L’altra sera all’Autogrill la ragazza che ci ha servito il caffè mi ha spiegato che è un ingegnere elettronico, e che lavora per 700 euro, con un contratto che scade tra 14 giorni. Se non me lo rinnovano, mi ha detto, vado all’estero». Un’assistente per gli anziani, racconta poi, «prima ha rifiutato lavori per 3,5 euro l’ora, poi per 3. Ma alla fine, quando l’hanno chiamata per 2,5, non ce l’ha fatta: ‘Devo accettare — mi ha detto — ho una figlia piccola e il marito in cassa’. Ecco, queste persone qui, come le rappresento?».
Ci penserà, appunto, la coalizione sociale. Che legherà diverse figure, di lavoratori e non, movimenti, associazioni, lo stesso sindacato. E che un giorno potrebbe avere uno sbocco politico, perché no, come Syriza o Podemos, ma per ora Landini glissa: «I politici fanno i politici, e magari si confronteranno con le mobilitazioni che vengono dal basso». Lo spazio c’è, perché «nonostante il genio di Firenze e Grillo, l’astensionismo aumenta».
Quindi si parte da «cose molto sindacali»: «Il nuovo Statuto dei lavoratori, un referendum per abrogare il Jobs Act, le raccolte di firme per gli appalti e per cancellare il pareggio di bilancio in Costituzione». Ma poi la lotta si allarga, e allora chissà: «Ci batteremo con altri per la difesa dei diritti, per la casa, la salute, la legalità, per reinvestire i beni confiscati alle mafie».
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