il manifesto Giorgio Airaudo, Giulio Marcon
In Grecia Syriza è stata capace di
vincere le elezioni aggregando intorno a un partito aperto le
esperienze di auto-organizzazione sociale emerse dalla crisi. Podemos
in Spagna ha saputo trasformare la protesta degli indignados in
una forza politica radicalmente nuova. In Italia le lotte della Fiom
e lo sciopero generale di Cgil e Uil del dicembre scorso hanno
ridato spazio a una protesta sociale troppo a lungo soffocata in
questi sette anni dall’inizio della crisi.
Sono segni di risveglio sociale,
tuttavia ancora frammentati, senza una cornice che trasformi le
mobilitazioni in risposta politica.
Sul piano sociale pesano anni di silenzi
— con la Fiom spesso lasciata sola — e pesano movimenti che – almeno
dopo la vittoria ai referendum contro la privatizzazione
dell’acqua nel 2011 – sono stati incapaci di produrre egemonia. La
società italiana ha reagito alla crisi piegandosi su se stessa,
senza produrre una adeguata dimensione dell’agire collettivo
e politico.
Matteo Renzi, con la la “scalata” al
governo, ha completato la mutazione genetica del Pd, assumendo
buona parte del progetto berlusconiano ed ereditandone il blocco
d’interessi. Questa trasformazione politica ha rotto l’orizzonte
dell’alleanza di centro-sinistra, ma ha anche aperto un enorme spazio
per la costruzione del opposizione. La scelta di Sel di condurre una
rigorosa opposizione e di contribuire alla nascita della lista
Tsipras alle europee è stata una svolta importante in questa
direzione.
La ricostruzione di una politica del
cambiamento deve partire dalla capacità di parlare con le persone,
interpretandone le inquietudini provocate dalla crisi,
costruendo un senso comune diverso. Serve innanzi tutto una politica
che sia popolare, che costruisca un argine al populismo –a quello
impotente di Grillo e a quello becero di Salvini, come a quello
“dall’alto” di Matteo Renzi, che si è distinto domenica scorsa in un
vergognoso attacco a Landini.
L’espressione politica delle spinte
sociali al cambiamento è stata bloccata in Italia dalla
frammentazione e dalle divisioni tra le forze politiche del paese –
le varie opposizioni dentro il Pd, Sel, Rifondazione, l’esperienza
importante ma non sviluppata appieno della Lista “Un’altra Europa
con Tsipras” alle elezioni europee del 2015, la dispersione dei
verdi tra Green Italy e altre organizzazioni. Le proposte più
recenti – quella di Nichi Vendola a Human Factor, le iniziative di
allargamento sociale e sindacale proposte dalla Fiom, la
discussione proposta da Rodotà – sono segnali di disponibilità
a mettere in comune energie e progetto politico. Ma fanno fatica
a convergere in una cornice comune, effettivamente condivisa.
Quale può essere la “via italiana” a una politica del cambiamento
che ci avvicini ai risultati di Syriza e Podemos?
La risposta dev’essere un processo di
convergenza che ricomponga la divisione che abbiamo ereditato tra
“coalizione sociale” e “coalizione politica”. Syriza vince anche
perché ha trasformato le sedi di partito in mense dei poveri
e ambulatori sociali. Serve pari dignità tra lavoro sociale e di
movimento e lavoro politico.
Serve un nuovo modello di aggregazione
politica e sociale: potremmo chiamarlo “Fronte Pop”. La cosa che gli
assomiglia di più è il Fronte popolare che nell’Europa degli anni
trenta resse l’urto dei fascismi anticipando il progetto di welfare
che si affermò poi nel dopoguerra. Ora un “Fronte Pop” — ma
qualunque altro nome va bene — può offrire la convergenza
necessaria per far sentire dentro lo stesso progetto di
cambiamento chi vota contro Renzi in Parlamento e chi sta alla
mensa della Caritas, l’ecologista che lavora alla prossima
conferenza sul clima di Parigi e chi si oppone alle guerre ovunque,
chi difende i diritti del lavoro e quelli dei migranti, le donne
discriminate e i giovani senza futuro. Questo percorso potrebbe
nascere da una convenzione di soggetti e persone che assumono un
progetto comune di cambiamento, guidato da un gruppo dirigente in
cui siano rappresentati tutti, mantenendo la propria autonomia
d’azione in una forza di cambiamento della politica. Proprio come
sono riuscite a fare – in forme diverse — Syriza e Podemos.
Il “Fronte Pop” potrebbe muoversi
e crescere sulle gambe di cinque campagne comuni a tutti. L’Europa
da cambiare e la fine dell’austerità. Il lavoro da difendere e i
diritti dei lavoratori da ricostruire. L’ambiente e la
riconversione ecologica dell’economia. La democrazia, i diritti
civili e di cittadinanza, con la difesa della scuola e del welfare.
La pace contro l’interventismo militare. Potrebbe essere un’agenda
entusiasmante, non credete?
Nessun commento:
Posta un commento