Adesso che è stata approvata la riforma della responsabilità civile dei magistrati, ci tocca assistere ad un diluvio di banalità che fanno eco alla legge, intonate sul ritornello: chi sbaglia paga. Addirittura sul tg di Sky è stato promosso un sondaggio che propone ai telespettatori la seguente domanda: “I magistrati dovranno rispondere dei loro errori? Sei d'accordo?”.
Quello che stupisce in questo sondaggio non è che l'86% ha risposto di essere d'accordo, ma che il 14% si è espresso in disaccordo. Se si pone la domanda in questi termini il 100% degli intervistati dovrebbe rispondere sì. Non a caso in un tribunale una domanda del genere non sarebbe stata ammessa. Il codice infatti vieta di porre ai testimoni domande che tendono a suggerire la risposta.
In effetti la divulgazione della riforma sulla responsabilità civile ai magistrati, più che far conoscere al pubblico i contenuti del provvedimento, tende a trasmettere dei messaggi rassicuranti all'opinione pubblica. D'ora in poi i cittadini saranno maggiormente tutelati rispetto agli abusi dei magistrati.
Ma è proprio vero?
In realtà le modifiche alla disciplina della responsabilità civile dei magistrati implicano che la domanda sia rovesciata, la domanda giusta da porre ai cittadini è: indebolire il giudice, rafforza la giustizia?
Se pensiamo alla funzione giurisdizionale come qualcosa che dovrebbe riparare ai torti, riconoscere ai deboli i diritti negati, consentire alle pubbliche autorità di contrastare il crimine, indebolire il giudice, esponendolo maggiormente a persecuzioni private, indubbiamente non rafforza la giustizia. Se invece guardiamo alla funzione giurisdizionale come una fastidiosa limitazione all'esercizio dei poteri privati o all'uso privato del potere da parte di uomini che esercitano funzioni pubbliche, allora indebolire il giudice nell'esercizio dei suoi poteri di controllo, è cosa buona e giusta. Ma non ha niente a che vedere con la giustizia.
Per capire in quale direzione va la riforma, occorre fare un breve accenno alla novità introdotte ed al funzionamento pratico del sistema.
La legge prevede che chiunque ha subito un danno ingiusto per un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni. Se l'azione ha successo, nel senso che venga accertato che il cittadino ha subito un danno ingiusto, allora lo Stato si può rivalere contro il magistrato con una azione di rivalsa con il limite di un terzo dello stipendio annuo del magistrato responsabile (aumentato dalla riforma alla metà) salvo in caso di dolo, per il quale – ovviamente – non vi sono limiti.
La riforma ha conservato il sistema dell'azione indiretta contro il magistrato (respingendo la tesi di Lega e Forza Italia che propugnavano la facoltà di chiunque di aggredire il proprio giudice), ma ha introdotto due significativi cambiamenti: ha eliminato il filtro di ammissibilità della domanda (previsto dalla vecchia normativa) ed ha introdotto, ex novo, nel concetto di colpa grave l'ipotesi di travisamento del fatto o delle prove, estendendo la risarcibilità anche ai provvedimenti cautelari reali (sequestri e confische).
In questo modo è stato creato un meccanismo infernale che può portare ad una crescita abnorme del contenzioso con effetti paradossali. Facciamo un esempio: un soggetto tratto a giudizio per rispondere di un reato, condannato in primo grado ed in appello può fare ricorso per cassazione dolendosi che i giudici del merito hanno sbagliato a condannarlo per travisamento del fatto o delle prove. Se la Cassazione respinge il ricorso giudicando che non c'è stato alcun travisamento del fatto o delle prove, cionondimeno il condannato può avviare un'azione giudiziaria contro lo Stato dolendosi di travisamento del fatto o delle prove. Ed un altro giudice dovrà fare il processo al processo per valutare se il soggetto ha subito un danno ingiusto per travisamento del fatto o delle prove.
Non essendoci più un filtro di ammissibilità coloro che vogliono condizionare il loro giudice possono esercitare una caterva di azioni civili, senza correre alcun rischio perché non sono previste sanzioni per le domande temerarie. Anche qualora venissero respinte tutte le azioni infondate di responsabilità proposte contro un determinato magistrato, rimarrebbe, comunque, un effetto di intimidazione perché per tutta la durata dei giudizi, il magistrato resterebbe sottoposto al pericolo di una azione di rivalsa.
Un magistrato che prendesse dei provvedimenti sgraditi nei confronti di un soggetto forte, per es. ordinando alla Coca-Cola di riassumere dei dipendenti illegittimamente licenziati, si troverebbe esposto alle azioni ritorsive di una multinazionale che avendo molto denaro e molti avvocati a sua disposizione potrebbe bersagliare il magistrato scomodo con centinaia di azioni civili pretestuose. Certo si tratta pur sempre di azioni indirette che, molto probabilmente, sarebbero respinte, ma è difficile che non producano un effetto psicologico pregiudicando la libertà del giudicare e favorendo un riflesso di conformismo.
Sul piano formale l'indipendenza della magistratura non viene direttamente pregiudicata, proprio perché l'azione risarcitoria è indiretta, però l'unico effetto che questa riforma può sortire è quello di diminuire il livello di indipendenza “reale”, accrescendo nei giudici il timore di emettere provvedimenti sgraditi ai potenti.
Allora la domanda giusta che dobbiamo porci è questa: se si indebolisce il giudice, chi ne potrebbe trarre giovamento? A parte la Coca-Cola!
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