Nella giornata della grande e importante manifestazione No TAV che ha attraversato nel pomeriggio Torino, il capoluogo piemontese è stato teatro, durante la mattinata di sabato, di un’altra iniziativa che potrebbe avere già dai prossimi mesi una certa risonanza nel panorama cittadino.
Redazione Contropiano Torino
Nella sede Usb di Corso Tassoni si è svolto infatti
un primo momento di incontro tra la struttura sindacale, Noi Restiamo
Torino e una parte dei disoccupati, inoccupati e precari contattati nei
mesi scorsi, dalle stesse organizzazioni, di fronte ai Centri per
l’impiego.
Un lavoro, quello dei banchetti, che aveva mostrato disponibilità e interesse in quell’ampia fetta della popolazione, giovanile ma non solo, esclusa sempre più dal mondo del lavoro, rispetto ad un percorso di mobilitazione che nel frattempo, anche grazie all’esperienza fatta in altre regioni, ha cominciato, come diremo, a precisarsi.
La questione dei fondi europei attraversa da tempo la riflessione dell’Usb. La ragione è duplice, una di natura pratica ed una di natura teorica. Quella pratica l’ha ricordata durante l’incontro Guido Lutrario, dell’esecutivo nazionale Usb, quando ha detto che il sindacato si sta indirizzando su quei fondi perché al momento sono gli unici disponibili sulla piazza e almeno apparentemente destinati al miglioramento delle condizioni di vita di lavoratori e territori. Quella teorica attiene ad una riflessione che riguarda il ruolo dell’Unione Europea nell’attuale fase, nei paesi della periferia produttiva, come causa alla quale attribuire in ultima analisi il peggioramento delle condizioni di vita di gran parte della popolazione. Rispetto a quest’ultimo processo – che passa attraverso le scellerate riforme del lavoro e della pubblica amministrazione, ad esempio, o il pareggio in bilancio inserito nella Costituzione, o tutti quei provvedimenti che il “Pilota automatico” (come Mario Draghi lo definì con una lucidità demistificante e disarmante rispetto a un processo che molti ancora non vogliono vedere) prende per noi – bisogna rendersi conto che i Fondi Europei (FSE, Fondi sociali europei, quelli che più riguardano il nostro discorso) riguardano solo una parziale e obbligata nei modi redistribuzione che serve a diminuire il grado di esplosività sociale del processo di integrazione europea. Vi togliamo tutto e vi restituiamo, come fosse una generosa elargizione, qualcosa, purché siate disposti a stare in perenne e spesso insensato movimento (questo significa la ormai onnipresente espressione “politiche attive”, come ricordava Lutrario), perché a nessuno venga più in mente che lo Stato possa o debba darvi lavoro e diritti.
Questa logica perversa, tuttavia, come sempre accade, non è altro che il terreno di una contraddizione che ci porta, mentre critichiamo ferocemente l’Unione Europee e ne evochiamo la rottura, a porci come organizzatori di parti di un blocco sociale diviso, disperso e tuttavia mobilitabile intorno ad alcune parole d’ordine. I fondi sono in parte destinati alla disoccupazione di lungo corso? Porteremo di fronte alle Regioni (in questo caso il Piemonte) centinaia di disoccupati a rivendicare reddito e lavoro, chiedendo un tavolo permanente che imponga un’agenda sociale ad una distribuzione di ingenti somme che si incanalano normalmente in percorsi non molto chiari, di dubbia utilità, o finiscono per non essere spesi per incapacità conclamate nella progettazione!
Enzo Miccoli, del Coordinamento regionale confederale Usb Piemonte, nella sua introduzione all’incontro, dopo avere individuato nel terreno del lavoro negato uno degli ambiti in cui il sindacato esce da sé e dalle sue forme tradizionali per farsi sociale (Confederalità sociale), ha parlato della disponibilità della struttura sindacale ad organizzare una lista di disoccupati e a mettere loro a disposizione organizzazione ed esperienza per una vertenza abbastanza particolare ma potenzialmente di massa ed in grado di fare uscire una parte del blocco sociale dalla condizione di isolamento e disperazione individuale verso percorsi collettivi.
Massimo Gabella, di Noi Restiamo Torino, è entrato nel merito di alcuni passaggi del POR regionale, sottolineando ambiguità e mistificazione di una programmazione sulla destinazione dei fondi che pensa di risolvere il problema della disoccupazione di massa con inviti all’impresa individuale e alla sperimentazione di start up! Mentre decine di migliaia di piccole imprese falliscono ogni anno in Italia, e due terzi delle start up non superano i primi mesi di vita, l’ideologia dominante non riesce a proporre nulla di diverso da un affidamento all’estro o all’inventiva di lavoratori che hanno perduto il lavoro e che tramite magari percorsi di formazione tutti da verificare dovrebbero trasformarsi in creatori d’impresa.
Guido Lutrario, a partire dall’esperienza di mobilitazione sugli stessi temi e avente come controparte la regione Lazio, dopo avere mostrato la filosofia comune che regge questa gestione dei fondi europei ed il jobs act (ricollocazione senza limiti, trasformazione di posti di lavoro sicuri in posti di lavoro insicuri, facilitazioni al licenziamento e poi provvedimenti di apparente tutela ma vere e proprie gabbie), ha detto chiaramente che se il piano di analisi è quello che si è cercato di ricostruire in questo articolo, il livello pratico-politico, che poi è quello della relazione con il blocco sociale, è un piano d’azione. Si tratta, e su questo la platea dei presenti sembrava essere abbastanza convinta e consapevole, di costruire lotta per lavoro e reddito, proponendo per quei disoccupati delle attività e dei servizi di utilità pubblica, in enti, aziende, settori lavorativi socialmente utili che sono ad esempio in carenza di organici, dai trasporti alla nettezza urbana, dal verde pubblico alle biblioteche con carenza di personale, incrociando la rivendicazione di chi chiede lavoro con quella di chi è sottoposto a intensificazione di ritmi e sfruttamento.
Bisogna rivendicare, ha detto ancora il dirigente USB, formazione e riqualificazione retribuita e assorbimento dentro aziende dove il fabbisogno c’è - anche tramite cooperative.
Patrick Kondé, responsabile in Piemonte del settore migranti, ha tradotto i temi della discussione ai tanti migranti presenti, parte di quell’eterogeneo mondo del non lavoro che varia per età, provenienza geografica, percezione di sé e esperienza di mobilitazione; eppure, ci è sembrato, in grado di comprendere e di poter riconoscere che gli elementi di vicinanza con gli altri soggetti di questa lotta sono molto più forti delle suddette differenze.
Un gruppo di lavoro del sindacato e di Noi Restiamo, esteso ad alcuni lavoratori che hanno dato la loro disponibilità, continuerà in queste settimane a lavorare sulla documentazione, spesso inutilmente prolissa e farraginosa, prodotta dalla Regione, in vista di un primo appuntamento di lotta: un presidio, che si terrà il 13 marzo alle h. 14.00 davanti alla regione Piemonte, e che sarà preceduto da momenti di diffusione e banchetti informativi nelle prossime settimane.
Un cammino difficile, che richiederà continuità, intelligenza e soprattutto sviluppo esponenziale dei soggetti attivi, ma che si pone il problema di creare percorsi possibili in un blocco sociale che non si raggiunge ideologicamente o sul livello del ragionamento politicista e astratto, ma nell’organizzazione dei bisogni concreti.
Un lavoro, quello dei banchetti, che aveva mostrato disponibilità e interesse in quell’ampia fetta della popolazione, giovanile ma non solo, esclusa sempre più dal mondo del lavoro, rispetto ad un percorso di mobilitazione che nel frattempo, anche grazie all’esperienza fatta in altre regioni, ha cominciato, come diremo, a precisarsi.
La questione dei fondi europei attraversa da tempo la riflessione dell’Usb. La ragione è duplice, una di natura pratica ed una di natura teorica. Quella pratica l’ha ricordata durante l’incontro Guido Lutrario, dell’esecutivo nazionale Usb, quando ha detto che il sindacato si sta indirizzando su quei fondi perché al momento sono gli unici disponibili sulla piazza e almeno apparentemente destinati al miglioramento delle condizioni di vita di lavoratori e territori. Quella teorica attiene ad una riflessione che riguarda il ruolo dell’Unione Europea nell’attuale fase, nei paesi della periferia produttiva, come causa alla quale attribuire in ultima analisi il peggioramento delle condizioni di vita di gran parte della popolazione. Rispetto a quest’ultimo processo – che passa attraverso le scellerate riforme del lavoro e della pubblica amministrazione, ad esempio, o il pareggio in bilancio inserito nella Costituzione, o tutti quei provvedimenti che il “Pilota automatico” (come Mario Draghi lo definì con una lucidità demistificante e disarmante rispetto a un processo che molti ancora non vogliono vedere) prende per noi – bisogna rendersi conto che i Fondi Europei (FSE, Fondi sociali europei, quelli che più riguardano il nostro discorso) riguardano solo una parziale e obbligata nei modi redistribuzione che serve a diminuire il grado di esplosività sociale del processo di integrazione europea. Vi togliamo tutto e vi restituiamo, come fosse una generosa elargizione, qualcosa, purché siate disposti a stare in perenne e spesso insensato movimento (questo significa la ormai onnipresente espressione “politiche attive”, come ricordava Lutrario), perché a nessuno venga più in mente che lo Stato possa o debba darvi lavoro e diritti.
Questa logica perversa, tuttavia, come sempre accade, non è altro che il terreno di una contraddizione che ci porta, mentre critichiamo ferocemente l’Unione Europee e ne evochiamo la rottura, a porci come organizzatori di parti di un blocco sociale diviso, disperso e tuttavia mobilitabile intorno ad alcune parole d’ordine. I fondi sono in parte destinati alla disoccupazione di lungo corso? Porteremo di fronte alle Regioni (in questo caso il Piemonte) centinaia di disoccupati a rivendicare reddito e lavoro, chiedendo un tavolo permanente che imponga un’agenda sociale ad una distribuzione di ingenti somme che si incanalano normalmente in percorsi non molto chiari, di dubbia utilità, o finiscono per non essere spesi per incapacità conclamate nella progettazione!
Enzo Miccoli, del Coordinamento regionale confederale Usb Piemonte, nella sua introduzione all’incontro, dopo avere individuato nel terreno del lavoro negato uno degli ambiti in cui il sindacato esce da sé e dalle sue forme tradizionali per farsi sociale (Confederalità sociale), ha parlato della disponibilità della struttura sindacale ad organizzare una lista di disoccupati e a mettere loro a disposizione organizzazione ed esperienza per una vertenza abbastanza particolare ma potenzialmente di massa ed in grado di fare uscire una parte del blocco sociale dalla condizione di isolamento e disperazione individuale verso percorsi collettivi.
Massimo Gabella, di Noi Restiamo Torino, è entrato nel merito di alcuni passaggi del POR regionale, sottolineando ambiguità e mistificazione di una programmazione sulla destinazione dei fondi che pensa di risolvere il problema della disoccupazione di massa con inviti all’impresa individuale e alla sperimentazione di start up! Mentre decine di migliaia di piccole imprese falliscono ogni anno in Italia, e due terzi delle start up non superano i primi mesi di vita, l’ideologia dominante non riesce a proporre nulla di diverso da un affidamento all’estro o all’inventiva di lavoratori che hanno perduto il lavoro e che tramite magari percorsi di formazione tutti da verificare dovrebbero trasformarsi in creatori d’impresa.
Guido Lutrario, a partire dall’esperienza di mobilitazione sugli stessi temi e avente come controparte la regione Lazio, dopo avere mostrato la filosofia comune che regge questa gestione dei fondi europei ed il jobs act (ricollocazione senza limiti, trasformazione di posti di lavoro sicuri in posti di lavoro insicuri, facilitazioni al licenziamento e poi provvedimenti di apparente tutela ma vere e proprie gabbie), ha detto chiaramente che se il piano di analisi è quello che si è cercato di ricostruire in questo articolo, il livello pratico-politico, che poi è quello della relazione con il blocco sociale, è un piano d’azione. Si tratta, e su questo la platea dei presenti sembrava essere abbastanza convinta e consapevole, di costruire lotta per lavoro e reddito, proponendo per quei disoccupati delle attività e dei servizi di utilità pubblica, in enti, aziende, settori lavorativi socialmente utili che sono ad esempio in carenza di organici, dai trasporti alla nettezza urbana, dal verde pubblico alle biblioteche con carenza di personale, incrociando la rivendicazione di chi chiede lavoro con quella di chi è sottoposto a intensificazione di ritmi e sfruttamento.
Bisogna rivendicare, ha detto ancora il dirigente USB, formazione e riqualificazione retribuita e assorbimento dentro aziende dove il fabbisogno c’è - anche tramite cooperative.
Patrick Kondé, responsabile in Piemonte del settore migranti, ha tradotto i temi della discussione ai tanti migranti presenti, parte di quell’eterogeneo mondo del non lavoro che varia per età, provenienza geografica, percezione di sé e esperienza di mobilitazione; eppure, ci è sembrato, in grado di comprendere e di poter riconoscere che gli elementi di vicinanza con gli altri soggetti di questa lotta sono molto più forti delle suddette differenze.
Un gruppo di lavoro del sindacato e di Noi Restiamo, esteso ad alcuni lavoratori che hanno dato la loro disponibilità, continuerà in queste settimane a lavorare sulla documentazione, spesso inutilmente prolissa e farraginosa, prodotta dalla Regione, in vista di un primo appuntamento di lotta: un presidio, che si terrà il 13 marzo alle h. 14.00 davanti alla regione Piemonte, e che sarà preceduto da momenti di diffusione e banchetti informativi nelle prossime settimane.
Un cammino difficile, che richiederà continuità, intelligenza e soprattutto sviluppo esponenziale dei soggetti attivi, ma che si pone il problema di creare percorsi possibili in un blocco sociale che non si raggiunge ideologicamente o sul livello del ragionamento politicista e astratto, ma nell’organizzazione dei bisogni concreti.
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