global project
25 / 2 / 2015
Oggi è stato un giorno importante per Kobane.
Stamane infatti nel palazzo del governo che svetta sulla città liberata ma distrutta, il primo ministro Anwey Muslim insieme con i rappresentati dei tre cantoni del Rojava si sono riuniti, per la prima volta dopo la fine della battaglia di Kobane, in una assemblea governativa per discutere della ricostruzione e del futuro della Siria. L'assemblea ha elaborato un piano programmatico in sette punti attraverso il quale si lanciano le linee guida del lavoro da svolgere nei prossimi mesi sia all'interno di Kobane e degli altri cantoni che nei paesi che sceglieranno di dare solidarietà e supporto alla ricostruzione.
I punti enunciati dall'assemblea sono i seguenti:
1. Creazione di un comitato che si occupi della documentazione sulla distruzione e sulle priorità per la ricostruzione.
2. L'apertura di uffici che sia a Kobane che negli altri due cantoni monitorino il processo di ricostruzione.
3. Lasciare che alcune aree della città non vengano incluse nella ricostruzione affinché restino come monito contro la barbarie della guerra e come memoria della resistenza.
4 . La diffusione di un appello internazionale finalizzato all'apertura di un corridoio umanitario attraverso la Turchia necessario per dare inizio al piano di ricostruzione
5. La stesura di un appello internazionale di sostegno ai combattenti e alle combattenti dello Ypg e Ypj.
6. L'organizzazione di una conferenza internazionale per la ricostruzione
7. La costruzione di un campo profughi dentro Kobane che permetta l'accoglienza delle migliaia di persone che ogni giorno passano il confine per tornare a casa .
Questo incontro e il documento che ha prodotto segnano l'inizio formale del processo di ricostruzione. Come si legge nei punti questo lavoro se da una parte mobilita i tre cantoni e la comunità curda tutta, dall'altra non può prescindere da una mobilitazione internazionale che sia all'altezza dell'impresa compiuta dalla resistenza in questa città, che oltre a proteggere se stessa dall'invasione dell'Isis, ha impedito che i territori sotto il controllo del Daesh arrivassero alle pendici dell' Europa.
Questo è il motivo per cui un mancato interesse da parte della comunità internazionale nella ricostruzione di Kobane, al netto di tutta la retorica spesa quotidianamente contro il fondamentalismo islamico, non sarebbe altro che la scrittura dell'ennesimo capitolo della storia dell'ipocrisia occidentale a proposito del terrorismo.
Quella che oggi appare solo come un cumulo di detriti, macerie e cadaveri, prima dell'arrivo del Daesh era una città viva e piena di attività, una città in cui gli abitanti stavano cominciando a sperimentare un modello di vita collettiva e partecipazione finalizzato alla sottrazione totale dalle logiche oppressive dello Stato e del capitalismo. La guerra ha creato attorno a questa sperimentazione una zona di emergenza, che deve lasciare nuovamente il posto alla prosecuzione del lavoro collettivo della comunità del cantone autogovernato.
È tempo di trasformare le parole in solidarietà vera e concreta perché Kobane non ha tempo da perdere.
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