lunedì 23 febbraio 2015

La sfida di Landini: non un partito, ma una "rivoluzione" alla Podemos.

Maurizio Landini si candida? Fonda un partito? Si butta in politica? Lascia la Fiom? Alt: informazione e dibattito politico corrono troppo, cercano scorciatoie laddove invece servono riflessione e approfondimento. Maurizio Landini non si candida, non fonda un partito, non si butta in politica, non lascia la Fiom. Nulla quaestio? Troppo rumore per nulla? No, con l'intervista di oggi al Fatto Quotidiano, Landini dice molto di più.


L'Huffington Post

E non sorprende che il rullo compressore dei media minuto per minuto non riesca coglierlo, impazzendo dietro viottoli che portano fuori strada. Il senso delle parole del segretario della Fiom si ritrova però nelle riflessioni di quelle reti sociali, movimenti, associazioni che - anche dialogando con Landini - sono già al lavoro in Italia per dar vita a quel "laboratorio sociale" citato nell'intervista al Fatto. Non un partito, ma nemmeno qualcosa di orizzontale alla 'centro sociale'. Qualcosa di organizzato. Tipo Podemos in Spagna.

Per mettere su qualcosa di simile in Italia ci vorrà del tempo, lo sanno tutti gli attori in campo, già impegnati in un percorso sul tema, fatto di incontri pubblici e assemblee. Lo sa Landini quando dice che "è ora di sfidare democraticamente Renzi" che applica "il programma di Confindustria senza che nessun italiano abbia potuto votarlo". Lo sanno i suoi interlocutori giovanissimi che già lavorano oltre il sindacato, non sentendosi rappresentati dalla Cgil, precari che tentano tra le difficoltà di dare vita a laboratori sociali nelle città metropolitane, centri di assistenza molto embrionali per chi lavora senza un contratto, chi non ha diritti, chi non pensa assolutamente che i diritti siano garantiti dal contratto a tutele crescenti del Jobs Act.
C'è tutto questo mondo dietro le parole di Landini. Non c'è l'orizzonte di una lista elettorale, non ci sono i quadri di un partito già bell'e formato, non c'è nemmeno un laboratorio sociale già pronto per l'uso. C'è un un'idea, più che un'idea: un pensiero. Che si poggia sul fatto che i tempi sono cambiati e il sindacato così com'è non basta più. Non funziona: perché se indice uno sciopero per chiedere che in fabbrica il sabato sia onorato come festa e non sacrificato sul lavoro, gli operai non seguono. Perché in una fase di crisi come questa, chi ha un lavoro, se lo tiene stretto e lavora anche i festivi, il giorno e la notte, lasciandosi sfruttare per non perdere il pane.
Se c'è bisogno del pane, alle rose nessuno ci pensa. Non sono fondamentali per campare. Ed è da qui che parte Landini: dal ruolo sgonfiato del sindacato oggi, anche della sua Fiom. Sgonfiato dalla crisi che riesce a infilare lavoro alleggerito dai diritti laddove prima non era consentito dagli stessi lavoratori. E se il sindacato non funziona più, c'è il rewind: si torna indietro, come quando si scendeva in piazza per conquistare il diritto di sciopero, per dire. Punto e a capo.
Naturalmente, c'è anche un po' di effetto Tsipras in tutta questa discussione. C'è l'esempio greco che parla di un partito alla lotta con l'Europa dell'austerity e non di un laboratorio sociale, ma che dice che con la forza del consenso e delle urne anche chi sembra debole in partita può spuntarla. E c'è l'esempio di Podemos, il movimento spagnolo nato dalle acampandas contro l'austerity, candidato a vincere le elezioni del prossimo autunno a Madrid, almeno stando ai sondaggi che lo registrano vincente su socialisti e conservatori. Ci può essere come punto di arrivo la lista e la candidatura, il partito e la rappresentanza democratica in Parlamento. Ma è un punto di arrivo. Per ora, le parole di Landini sono un sasso nello stagno della sinistra italiana. Non vogliono scuotere un dibattito politico fatto di battute e tweet, ma muovere in avanti una prospettiva storica che sembra tornata indietro agli anni delle lotte per i diritti nel mondo del lavoro.

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