Tanto si è detto e scritto in questi ultimi quattro mesi sulle donne
curde, in virtù di quello che accadeva a Kobane, in Rojava (Kurdistan
siriano). Si è dato spazio soprattutto alle immagini delledonne curde,
donne che solo in pochi conoscevano, per evidenziare la loro giovane
età, la loro bellezza e il fatto che avessero imbracciato un’arma.
Ma
questo non è che l’aspetto più superficiale di quanto sta accadendo in
quella parte di Medio Oriente. Sì, perchè le donne curde lì stanno
facendo una rivoluzione, ma in tutti gli ambiti della società. E
l’aspetto militare non è che uno fra questi, e non sarebbe nemmeno il
più importante se non fosse per il particolare momento, che vede la
necessità dell’autodifesa dagli attacchi che il popolo curdo subisce con
rinnovato vigore da ISIS come prima da altri gruppi, per esempio Al
Nusra, affiliato a Al Qaeda, ma anche da parte del regime di Assad.
Dietro i volti delle nostre donne,
dunque, c’è di più. Il loro coraggio e la loro determinazione hanno
aperto un varco che deve lasciare spazio a un’analisi più profonda del
processo cominciato diversi anni fa con la formazione di un partito
delle donne e delle unità femminili di difesa del popolo in seno al
movimento curdo, soprattutto in Nord Kurdistan (Turchia). Il Partito dei
lavoratori del Kurdistan e il suo leader Abdullah Öcalan, da 16 anni in
prigione sull’isola di Imrali, hanno cominciato questo processo, con un
paziente e sotterraneo lavoro tra le famiglie, le studentesse, le
lavoratrici, per riflettere sul ruolo delle donne e sulla loro
oppressione nella società tradizionale curda. Abbiamo studiato e
analizzato la posizione della donna nelle diverse epoche storiche e nei
diversi luoghi, per scoprire che la donna curda subiva una doppia
oppressione, come popolo e come genere. Questo lavoro ha portato a una
presa di coscienza delle donne, che si sono sempre più impegnate in
tutti i settori della società, fino a acquisire coraggio e fiducia in se
stesse e ad assumere un ruolo attivo.
Il punto di partenza delle donne,
addirittura, ha dimostrato di essere privilegiato rispetto a quello
degli uomini: a causa dell’oppressione di genere, l’assimilazione è
stata meno invasiva. Quando per diversi motivi le donne non hanno
studiato, non hanno imparato il turco o l’arabo, significa che non si
sono assimilate al sistema, e che gestiscono dal basso la propria
famiglia e il proprio villaggio autonomamente. Questo è il principio
dell’autonomia democratica, un principio molto femminile dunque, contro
l’ideologia dall’alto verso il basso dello stato-nazione.
Piano piano le donne sono arrivate a
contare di più, sia in famiglia, sia in politica, sia nell’economia e
nella società in generale. Si sono formate associazioni, cooperative,
perfino agenzie di stampa di donne, per rispondere con azioni concrete a
questa oppressione. Le donne si sono prese il loro posto anche nel
sistema rappresentativo: il modello dell’autonomia democratica, che è
quello che oggi i curdi stanno cercando di realizzare in Turchia come in
Siria, non prevede la riproposizione di un nuovo stato-nazione con il
suo portato di schiavitù e oppressione, bensì la realizzazione di
ciascuno con le sue peculiarità insieme agli altri, che siano gruppi
etnico-linguistici, religiosi, politici e di genere. Da qui il
meccanismo della co-presidenza di genere: ossia non un presidente e un
vice, ma due presidenti di cui un uomo e una donna. E in tutti gli
organismi rappresentativi funziona così, non solo per il genere ma anche
per le diverse componenti della società, musulmani, zoroastriani,
cristiani, ezidi, arabi, turcomanni.
Contro questo sistema si è scagliato IS,
lo Stato Islamico, che non tollera la diversità, e che vede la donna
come una minaccia da rinchiudere, salvo averne paura sul campo di
battaglia in quanto qualche religioso avrebbe interpretato che l’essere
uccisi da una donna non farebbe entrare in paradiso dopo la morte. Ma
anche il partito AKP di Erdoğan partecipa di questa ideologia, perché ha
un’idea completamente subalterna della posizione delle donne nella
società. Non a caso, tre donne curde sono state vittima di un brutale
assassinio due anni fa a Parigi: con l’attiva parte dei servizi segreti
turchi, sono state prese di mira in quanto donne, in quanto simbolo di
questa rivoluzione che è l’autonomia democratica.
A livello pratico, nell’attività
politica rivoluzionaria all’interno del movimento curdo, le donne hanno
trovato uno spazio di libertà che ha permesso loro di conquistare
rispetto e dignità e di affrancarsi dai ruoli subordinati tradizionali, e
hanno saputo dimostrare di valere quanto e anche più dei loro compagni
maschi. C’è ancora molto da fare ovviamente, perché la mentalità feudale
saldata alla modernità capitalistica è molto pervasiva, nessuna e
nessuno ne è totalmente immune, neanche le donne stesse.
Questo processo è ormai innescato, e
sarà molto difficile tornare indietro. Ma il modello che propongono e
per il quale queste donne hanno lottato e continueranno a lottare è la
potenziale soluzione ai problemi dei popoli in Medio Oriente, e forse
anche altrove. Autorganizzazione, partecipazione, autodifesa,
democrazia, ecologia: molte di queste donne, una volta che – si spera
presto – sarà finita la guerra, non vorranno tornare a vivere in un
mondo che le discrimina e le esclude, ma vorranno continuare su questa
strada: e questa è già una rivoluzione.
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