Un’indagine del Cnel sul fenomeno del
cosiddetto “Working poor”, ossia sui lavoratori a bassa remunerazione,
ben rappresenta l’involuzione del quadro sociale nel nostro paese. La
crisi economica ,la legislazione sul lavoro dei governi e la sudditanza
sindacale hanno sconvolto il senso stesso del salario, oggi sempre meno
sufficiente a vivere una vita dignitosa.
il sindacato è un'altra cosa di Sergio bellavita
Calano le ore lavorate pro
capite perché molti sono costretti ad accettare una riduzione d’orario
come unica alternativa al licenziamento, calano le retribuzioni orarie e
mensili. La gran parte di coloro che si ricollocano in un nuovo lavoro
trovano paghe orarie e retribuzioni mensili più basse. Essere in lavoro
Part-time, essere un precario, avere una bassa qualifica , essere del
sud ed essere donna significa pagare un prezzo doppio alla crisi,
soprattutto quando poi, e succede spesso, si è insieme tutto questo. Nei
primi anni del ventunesimo secolo abbiamo denunciato il rischio che il
lavoro perdesse dignità e valore. E siamo stati sconfitti. Non siamo
stati in grado di arrestare l’aggressione ai diritti ed alle tutele del
lavoro e il processo di spoliazione continua oggi imperterrito e
indisturbato, reso persino legale dal sistema costruito con l’accordo
del 10 gennaio che consente la contrattazione di restituzione. Il lavoro
povero è anche responsabilità diretta quindi della pochezza sindacale
di questi anni. E’ la forza brutale di un processo che non consente una
sua attenuazione ma che può e deve essere rovesciato. La linea politica e
sindacale, anche la più radicale, che in questi anni ha fronteggiato
quest’aggressione ha per lo più scommesso sulla difesa del sistema
sociale costruito dal dopoguerra ad oggi, incarnato nella Costituzione
repubblicana, nel contratto nazionale di lavoro e nello statuto dei
diritti dei lavoratori. Ed ha perso per due ragioni: la prima è quella
del logoramento e della perdita di credibilità di un sistema che non ha
evitato il precipitare della condizione del paese, la seconda perché non
esistono più margini per ritornare al passato senza una rottura
violenta di tutti i limiti alle politiche sociali oggi imposti. La
dimensione del conflitto che è necessaria per ricostruire un sistema
sociale intorno ai diritti del lavoro, dalle pensioni da lavoro ad una
legislazione di difesa sino ai contratti nazionali, è totalizzante. O
sei in grado di rompere ogni vincolo, da quelli della Ue sino ai dettami
Low cost del padronato, come condizione per ricostruire una politica
economica e sociale fondata sul lavoro, oppure semplicemente stai nel
processo di spoliazione. E rompere i vincoli significa per un paese
attrezzarsi a subire l’isolamento più bieco da parte delle altre
nazioni, significa metter in conto la fuga delle imprese, dei capitali e
di conseguenza l’adozione di un piano straordinario di intervento
pubblico in economia. Questa è la ragione di fondo per cui alla Grecia,
nonostante Tsipras abbia chiesto solo tempo e qualche parziale
riaggiustamento sul debito, non è concesso cambiare strada ne disfarsi
del memorandum. Questa è anche la ragione per cui larga parte della
sinistra politica e sociale ha fatto dell’opportunismo la sua bandiera.
Non si intende consentire ad un paese di riacquistare la piena sovranità
delle proprie scelte e tanto meno di uscire dalle politiche
neoliberiste. La decisione della BCE di non accettare più titoli di
stato ellenici è l’ennesimo atto violento, di guerra contro il
martoriato popolo greco. La storia pone nuovamente davanti ad un bivio, o
piegarsi o dichiarare guerra al capitale. O la rivoluzione sociale, in
una fase in cui sembra lontanissima, o la barbarie di un’umanità
costretta a guerreggiare per strapparsi lavoro e salario a condizioni
sempre più infime. Che fare quindi? Per restare sul terreno sociale in
primo luogo il sindacato è chiamato ad una linea ed una pratica
dichiaratamente anticapitalista, capitalismo e democrazia non stanno più
insieme, da un pezzo. Ciò significa uscire dai meandri del
sottogoverno, dalle secche di un’ostinata e inutile riverenza verso il
palazzo e le sue stanche liturgie. Bisogna tornare ad essere una forza
antisistemica, il cuore dell’opposizione sociale, allo scopo di
organizzare una propria pratica rivendicativa fuori da ogni accordo che
ingabbia le politiche rivendicative e che delimita e limita i diritti
dei lavoratori. Il potere contrattuale, che è potere politico, si
ricostruisce insieme alla battaglia sul piano politico generale, nelle
pratiche sui bisogni, dentro e fuori i luoghi di lavoro attraverso le
lotte sui contratti, contro i licenziamenti, sulle condizioni di lavoro,
in difesa dello stato sociale, nella appropriazione e l’autogestione di
fabbriche dismesse,di case e spazi. Nella ricostruzione delle case del
popolo quali luoghi di una nuova alfabetizzazione politica e sindacale,
di nuova coscienza di classe. Una vertenzialità che va oltre la legalità
formale, sempre più a difesa di privilegi e abusi. Anticapitalismo e
pratiche coerenti. Radicalità formale e radicalità sostanziale. Il tempo
di affidare la nostra rappresentanza alla politica istituzionale ed
alle burocrazie, per chi lo avesse fatto, è finito.
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