Un Fondo che dovrebbe svolgere alcuni compiti caratteristici di una banca centrale – persino prestare alle banche – ma con mezzi limitati che non reggerebbero a un attacco speculativo in grande: solo una Bce senza assurdi vincoli può farlo. Però per l’Italia sarebbe un pericolo: perché allora non porre il veto? Il discorso che “bloccheremmo l’Europa” non vale: i tedeschi lo stanno facendo da anni sul completamento dell’unione bancaria.
di Carlo Clericetti
di Carlo Clericetti
(segue all'articolo: Esm, fermate quel mostro)
La vicenda del Fondo salva Stati – diventato di fatto ammazza-Stati e salva-banche – sarebbe grottesca se non fosse drammatica. Mostra, insieme, i contorcimenti della teoria economica dominante, specie nell’interpretazione che se n’è data in Europa; la necessità di ripararne in qualche modo la falla più macroscopica; l’asservimento della costruzione europea agli interessi di chi ha conquistato l’egemonia nell’Unione; la disastrosa inadeguatezza delle classi dirigenti italiane, tanto quelle politiche quanto quelle “tecniche”.
La teoria mainstream postula l’indipendenza delle banche centrali, che devono essere separate dalla politica perché – sottintende – le scelte politiche sono sempre “populiste” e dannose per l’economia. Ma in Europa si è fatto di più: si è vietato alla banca centrale – la Bce – di essere “prestatore di ultima istanza” degli Stati. Il fatto è che un organismo del genere è necessario. Tutte le banche centrali, se si scatena una crisi finanziaria, sotto forme più o meno esplicite svolgono quel compito. E lo ha fatto anche la Bce, con il “whatever it takes” di Draghi: anzi, è bastato dire, in modo credibile, che lo avrebbe fatto. Da allora gli attacchi speculativi sono cessati. Ma ora Draghi non c’è più, e Christine Lagarde non è Draghi. E il “partito tedesco” torna all’attacco per riportare le lancette dell’orologio a prima di quella frase.
Non ci sarebbe alcun bisogno dell’Esm, surrogato inadeguato di una banca centrale. L’Esm deve essere finanziato dagli Stati e in aggiunta raccoglie fondi sul mercato emettendo obbligazioni; quindi ha una potenza di fuoco limitata. Se davvero un paese grande come l’Italia entrasse in crisi, è improbabile che l’Esm riuscirebbe a supportarlo. La Bce, invece, ha “munizioni” infinite, visto che può stampare moneta, e questa è una differenza molto rilevante nel rapporto con i mercati: la speculazione indietreggia solo davanti alla possibilità di interventi illimitati (quelli che secondo i tedeschi non si devono fare). Se devono combattere contro un organismo che per contrastarli deve chiedere soldi in prestito, non c’è partita: gli speculatori hanno già vinto.
Perché, allora, ci si inventa un meccanismo così complesso, non trasparente (chi ne fa parte è tenuto alla segretezza, anche nei confronti dei Parlamenti dei propri paesi), privo di accountability democratica? Perché un Fondo salva Stati può prestare alle banche, avendole come controparti dirette senza la mediazione dello Stato di appartenenza? Non è questo il compito per cui sono nate le banche centrali?
E allora non si può evitare il sospetto che i paesi del blocco tedesco vogliano farsi una “Bce-2”, che può far comodo per gestire le condizioni critiche delle banche tedesche e su cui possano esercitare un controllo ancora maggiore (come è noto il direttore dell’Esm è il tedesco Klaus Regling), sulla base di regole ritagliate con precisione in modo che, se dovessero ricorrervi, potrebbero farlo senza alcun problema, com’è previsto per chi è in regola con i parametri europei di finanza pubblica, mentre se ne avessero bisogno i paesi mediterranei, e in specie l’Italia, dovrebbero accettare un commissariamento e – a giudizio dei “tecnici” dell’Esm – eventualmente anche la ristrutturazione del debito pubblico. Se quest’ultima decisione venisse imposta, non solo tutti i possessori di titoli pubblici italiani subirebbero perdite, ma soprattutto le nostre banche, che ne hanno per 400 miliardi, praticamente fallirebbero.
Ma il vero pericolo precede quella decisione. Quando entreranno in vigore quelle regole, la sola possibilità che quello accada spingerà gli investitori come minimo a richiedere un ulteriore premio di rischio, facendo aumentare il costo dell’indebitamento. Questo se va bene: se invece va male – come può benissimo accadere – gli investitori cominceranno a liberarsi dei nostri titoli pubblici, provocando appunto quello che l’Esm dovrebbe evitare, ossia una crisi finanziaria dell’Italia.
Che gli altri vogliano spingerci a questa roulette russa può suscitare qualche amara riflessione sulla “solidarietà” europea, ma si può capire: non è un problema loro. Quello che non si capisce è perché mai noi dovremmo accettarlo, visto che abbiamo la facoltà di porre il veto. Forse perché “non si può bloccare l’Europa”? Beh, i tedeschi bloccano da anni il completamento dell’unione bancaria, perché ritengono che potrebbe danneggiarli. Da notare che quest’ultima è una possibilità, e neanche tanto probabile, mentre il danno che ci farà questa struttura dell’Esm è praticamente una certezza. E noi non dovremmo fare come i tedeschi per qualcosa di ben più grave?
E qui veniamo alla disastrosa inadeguatezza della nostra classe dirigente. Che non è mai riuscita a incidere sui parametri che vengono presi in considerazione dalle regole europee, che non sono i soli rilevanti ai fini degli equilibri macroeconomici. Così come per le banche, dove è messo sotto accusa il rischio derivante dal possesso di titoli di Stato, ma nulla si dice riguardo ai derivati e ai titoli illiquidi e privi di un prezzo di riferimento credibile di cui sono imbottite le banche tedesche, francesi e olandesi. Ma già, i nostri governi erano troppo impegnati a mendicare decimali di “flessibilità” per poter distribuire mance agli elettori; in cambio, facevano passare tutto il resto.
Ma l’inadeguatezza emerge prepotente anche ora, quando si tratta un problema cruciale come quello dell’Esm come una questione di politica interna. Siccome ora è la destra che sbraita contro la firma dell’accordo, chi lo considera una sciagura viene tacciato di “sovranismo” e “populismo”: ma siamo impazziti? Salvini del resto deve solo tacere: c’era anche lui al governo mentre si arrivava a questo testo definitivo. E si sveglia ora?
I rischi di questa “riforma” sono stati denunciati non solo dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco e dal presidente dell’Abi Antonio Patuelli, ma anche da economisti assolutamente filo-europei, come Carlo Cottarelli, Giampaolo Galli, Lorenzo Codogno (ex direttore al Tesoro e ora a Londra dove ha fondato la società di consulenza strategica LC Macro Advisors), Alessandro Penati, persino la coppia “austeritaria” Alesina-Giavazzi. Ciò nonostante qualcuno di loro sostiene che dobbiamo comunque aderire, con un salto logico incomprensibile (per esempio Galli); Penati suggerisce di trattare contropartite sugli altri fronti: ma nessuna contropartita può bilanciare il rischio che l’accordo comporta. Il rischio, insomma, è ben chiaro a chiunque abbia una certa comprensione dei problemi: eppure continuiamo a lasciarci trascinare verso il precipizio.
Resta un’ultima speranza: l’accordo dovrà essere ratificato dal Parlamento. A deputati e senatori il compito di evitare all’Italia un errore che può essere fatale.
La vicenda del Fondo salva Stati – diventato di fatto ammazza-Stati e salva-banche – sarebbe grottesca se non fosse drammatica. Mostra, insieme, i contorcimenti della teoria economica dominante, specie nell’interpretazione che se n’è data in Europa; la necessità di ripararne in qualche modo la falla più macroscopica; l’asservimento della costruzione europea agli interessi di chi ha conquistato l’egemonia nell’Unione; la disastrosa inadeguatezza delle classi dirigenti italiane, tanto quelle politiche quanto quelle “tecniche”.
La teoria mainstream postula l’indipendenza delle banche centrali, che devono essere separate dalla politica perché – sottintende – le scelte politiche sono sempre “populiste” e dannose per l’economia. Ma in Europa si è fatto di più: si è vietato alla banca centrale – la Bce – di essere “prestatore di ultima istanza” degli Stati. Il fatto è che un organismo del genere è necessario. Tutte le banche centrali, se si scatena una crisi finanziaria, sotto forme più o meno esplicite svolgono quel compito. E lo ha fatto anche la Bce, con il “whatever it takes” di Draghi: anzi, è bastato dire, in modo credibile, che lo avrebbe fatto. Da allora gli attacchi speculativi sono cessati. Ma ora Draghi non c’è più, e Christine Lagarde non è Draghi. E il “partito tedesco” torna all’attacco per riportare le lancette dell’orologio a prima di quella frase.
Non ci sarebbe alcun bisogno dell’Esm, surrogato inadeguato di una banca centrale. L’Esm deve essere finanziato dagli Stati e in aggiunta raccoglie fondi sul mercato emettendo obbligazioni; quindi ha una potenza di fuoco limitata. Se davvero un paese grande come l’Italia entrasse in crisi, è improbabile che l’Esm riuscirebbe a supportarlo. La Bce, invece, ha “munizioni” infinite, visto che può stampare moneta, e questa è una differenza molto rilevante nel rapporto con i mercati: la speculazione indietreggia solo davanti alla possibilità di interventi illimitati (quelli che secondo i tedeschi non si devono fare). Se devono combattere contro un organismo che per contrastarli deve chiedere soldi in prestito, non c’è partita: gli speculatori hanno già vinto.
Perché, allora, ci si inventa un meccanismo così complesso, non trasparente (chi ne fa parte è tenuto alla segretezza, anche nei confronti dei Parlamenti dei propri paesi), privo di accountability democratica? Perché un Fondo salva Stati può prestare alle banche, avendole come controparti dirette senza la mediazione dello Stato di appartenenza? Non è questo il compito per cui sono nate le banche centrali?
E allora non si può evitare il sospetto che i paesi del blocco tedesco vogliano farsi una “Bce-2”, che può far comodo per gestire le condizioni critiche delle banche tedesche e su cui possano esercitare un controllo ancora maggiore (come è noto il direttore dell’Esm è il tedesco Klaus Regling), sulla base di regole ritagliate con precisione in modo che, se dovessero ricorrervi, potrebbero farlo senza alcun problema, com’è previsto per chi è in regola con i parametri europei di finanza pubblica, mentre se ne avessero bisogno i paesi mediterranei, e in specie l’Italia, dovrebbero accettare un commissariamento e – a giudizio dei “tecnici” dell’Esm – eventualmente anche la ristrutturazione del debito pubblico. Se quest’ultima decisione venisse imposta, non solo tutti i possessori di titoli pubblici italiani subirebbero perdite, ma soprattutto le nostre banche, che ne hanno per 400 miliardi, praticamente fallirebbero.
Ma il vero pericolo precede quella decisione. Quando entreranno in vigore quelle regole, la sola possibilità che quello accada spingerà gli investitori come minimo a richiedere un ulteriore premio di rischio, facendo aumentare il costo dell’indebitamento. Questo se va bene: se invece va male – come può benissimo accadere – gli investitori cominceranno a liberarsi dei nostri titoli pubblici, provocando appunto quello che l’Esm dovrebbe evitare, ossia una crisi finanziaria dell’Italia.
Che gli altri vogliano spingerci a questa roulette russa può suscitare qualche amara riflessione sulla “solidarietà” europea, ma si può capire: non è un problema loro. Quello che non si capisce è perché mai noi dovremmo accettarlo, visto che abbiamo la facoltà di porre il veto. Forse perché “non si può bloccare l’Europa”? Beh, i tedeschi bloccano da anni il completamento dell’unione bancaria, perché ritengono che potrebbe danneggiarli. Da notare che quest’ultima è una possibilità, e neanche tanto probabile, mentre il danno che ci farà questa struttura dell’Esm è praticamente una certezza. E noi non dovremmo fare come i tedeschi per qualcosa di ben più grave?
E qui veniamo alla disastrosa inadeguatezza della nostra classe dirigente. Che non è mai riuscita a incidere sui parametri che vengono presi in considerazione dalle regole europee, che non sono i soli rilevanti ai fini degli equilibri macroeconomici. Così come per le banche, dove è messo sotto accusa il rischio derivante dal possesso di titoli di Stato, ma nulla si dice riguardo ai derivati e ai titoli illiquidi e privi di un prezzo di riferimento credibile di cui sono imbottite le banche tedesche, francesi e olandesi. Ma già, i nostri governi erano troppo impegnati a mendicare decimali di “flessibilità” per poter distribuire mance agli elettori; in cambio, facevano passare tutto il resto.
Ma l’inadeguatezza emerge prepotente anche ora, quando si tratta un problema cruciale come quello dell’Esm come una questione di politica interna. Siccome ora è la destra che sbraita contro la firma dell’accordo, chi lo considera una sciagura viene tacciato di “sovranismo” e “populismo”: ma siamo impazziti? Salvini del resto deve solo tacere: c’era anche lui al governo mentre si arrivava a questo testo definitivo. E si sveglia ora?
I rischi di questa “riforma” sono stati denunciati non solo dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco e dal presidente dell’Abi Antonio Patuelli, ma anche da economisti assolutamente filo-europei, come Carlo Cottarelli, Giampaolo Galli, Lorenzo Codogno (ex direttore al Tesoro e ora a Londra dove ha fondato la società di consulenza strategica LC Macro Advisors), Alessandro Penati, persino la coppia “austeritaria” Alesina-Giavazzi. Ciò nonostante qualcuno di loro sostiene che dobbiamo comunque aderire, con un salto logico incomprensibile (per esempio Galli); Penati suggerisce di trattare contropartite sugli altri fronti: ma nessuna contropartita può bilanciare il rischio che l’accordo comporta. Il rischio, insomma, è ben chiaro a chiunque abbia una certa comprensione dei problemi: eppure continuiamo a lasciarci trascinare verso il precipizio.
Resta un’ultima speranza: l’accordo dovrà essere ratificato dal Parlamento. A deputati e senatori il compito di evitare all’Italia un errore che può essere fatale.
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