lunedì 23 dicembre 2019

L’industria del fossile sta cercando di comprare il movimento giovanile per il clima

 

dinamopress di Allen Brown
Pesanti tentativi dell’industria del fossile di manipolare il movimento globale per il clima. In questo articolo pubblicato dal sito indipendente “The Intercept” (Usa) pochi giorni prima della Cop25 il quadro della situazione
Lo stesso giorno in cui l’attivista sedicenne Greta Thunberg ha fatto un discorso memorabile al summit ONU sul clima a settembre, nel quale accusa i delegati di «rubare i miei sogni e la mia giovinezza con le vostre parole vuote» gli architetti della crisi climatica hanno invitato a cena un gruppo di giovani partecipanti selezionati del summit.

Gli amministratori delegati di multinazionali del fossile quali BP, Shell, e la norvegese Equinor stavano partecipando all’incontro annuale della “Oil and Gas Climate Initiative” (OGCI) a New York, che include leader dell’industria che vantano di essere impegnati a prendere azioni pratiche rispetto al cambiamento climatico. Sull’agenda all’ora di pranzo c’era un «esplorare le opzioni per un engagement di lungo termine» con giovani verso i quali il mondo dell’industria potesse avere fiducia. Student Energy, una no profit basata in Alberta, vicino alla regione canadese delle sabbie bituminose, ha aiutato a organizzare l’evento, che ha incluso un tempo specifico per gli studenti per mettere all’angolo gli amministratori rispetto alla loro mancanza di azione sul cambiamento climatico.
La tensione nella stanza era alta. La direttrice di Student Energy, la trentenne Meredith Adler, ha detto a “The Intercept”: «Tutta la discussione è iniziata con uno dei partecipanti che ha spiegato perché i giovani non hanno fiducia nelle multinazionali di petrolio e gas». Ma alla fine dell’incontro Adler ha twittato che era «molto colpita» dall’incontro. «Non credo che avessero tutte le risposte o che fossero sufficientemente forti ma stanno ascoltando per davvero», ha scritto.
Le domande degli studenti possono essere state dure, ma l’evento è stato una gigantesca opportunità di relazioni pubbliche per l’industria del fossile. Sono passati ormai i giorni in cui gli amministratori delegati delle multinazionali mettevano in discussione la stessa esistenza del cambiamento climatico. Oggi i leader dell’industria fingono un senso di urgenza climatica mentre spingono proposte di azione per il clima che permettano alle loro aziende di continuare a estrarre prodotti che emettono carbonio, anche nel futuro. Mettersi in stato di accusa davanti a una corte di studenti scettici è stata una opportunità per i capi del fossile per rafforzare la propria credibilità, in un’epoca in cui molti giovani attivisti ormai credono solo al cartello che portano con sé nelle manifestazioni.
I giovani attivisti del clima dicono che stanno percependo sempre più questo youthwashing che cresce di pari passo con la crescita del movimento, incluso durante la conferenza per il Clima annuale dell’ONU, conosciuta come COP25, che sta concludendosi a Madrid. Mentre giovane diviene sinonimo di attivista per il clima, le multinazionali e i politici stanno sempre più utilizzando i giovani per rappresentarsi come seri quando si parla di clima.
«L’uso di giovani nelle loro campagne sta diventando sempre più esplicito», dice Eilidh Robb, di 24 anni, membra della UK Youth Climate Coalition, che è stata coinvolta nello sforzo di spingere l’ONU ad adottare una policy di conflitto di interesse che impedirebbe ai membri dell’industria del fossile di esercitare influenza alla COP. «C’è una reale e pericolosa manipolazione dei giovani per il beneficio dell’immagine pubblica».
L’incontro dell’OGCI è stato un esempio particolarmente egregio di youthwashing. L’OGCI ha dato fondi a Student Energy e il direttore dell’operazione, Rhea Hamilton è nel consiglio dei direttori di Student Energy. Tra i partner ascoltati da Student Energy nel report annuale del 2018 ci sono Shell e Suncor, una delle più grandi produttrici di sabbie bituminose in Canada. Le multinazionali del fossile finanziano ogni anno la conferenza degli attivisti. Anche se, quando parlano, i leader di Student Energy spesso echeggiano i discorsi di Greta Thunberg, la gran parte dei membri, circa 40.000, è formata da persone che vogliono lavorare nell’industria dell’energia.
Student Energy è tra i gruppi di giovani che hanno ottenuto lo status di osservatori alla COP 25, cioè i loro membri possono avere accesso agli spazi del negoziato, parlare con le parti in causa e partecipare a eventi. La loro presenza agli incontri internazionali sul clima può solo crescere. Nel 2018 il Report di Student Energy ha notato che il gruppo ha visto un 73% di aumento in ambiti in cui partecipa.
L’anno prossimo, la multinazionale fossile BP ha promesso di mandare 50 studenti come delegati alla COP26. Il finanziamento raddoppierebbe le dimensioni della delegazione usuale del gruppo, secondo un comunicato stampa di BP. Nello spazio di una conferenza che serve come campo di battaglia per idee rispetto a dove dirigere la crisi climatica, BP pare percepire la presenza di Student Energy come benefica per se stessa.
Ma i finanziatori di Student Energy, alcune delle multinazionali tra le più responsabili della crisi climatica, non mostrano segnali cambiamento di rotta. La produzione di Suncor, che include soprattutto estrazione di sabbie bituminose, è quella con la peggiore produzione di carbonio delle 100 più grandi multinazionali al mondo e l’azienda ha spinto per nuovi oleodotti che le permetterebbero di continuare ad aumentare la produzione. Shell, la multinazionale all’undicesimo posto per emissioni di gas serra, programma di aumentare la produzione di combustibile fossile del 38% entro il 2030. BP, la quattordicesima per emissioni, aumenterà la produzione del 20%.
Le previsioni delle multinazionali si scontrano con le misure che gli scienziati dicono essere necessarie per raggiungere l’obiettivo delle Nazioni Unite di tagliare le emissioni di gas serra del 45% entro il 2030. Il ruolo della COP sarebbe spingere per quel risultato. Adler ha detto a “The Intercept” che Student Energy ha partecipato all’evento dell’OGCI al fine di sfidare l’industria di petrolio e gas, faccia a faccia. Ha detto che l’organizzazione segue dei principi di partnership che impediscono ai finanziatori di determinare influenza sulle attività del gruppo. Una larga proporzione dei membri dell’organizzazione vuole lavorare nell’industria delle rinnovabili, non per una industria del fossile, ha aggiunto, e l’anno prossimo diversificheranno le loro fonti di finanziamento in modo significativo.
Per quanto riguarda il finanziamento della Cop 26 da parte di BP, Adler ha detto che Student Energy non ha ufficialmente accettato i soldi. «Stiamo esaminando quelle che possono sembrare le implicazioni e se sono il partner giusto».
Per Taylor Billings, un portavoce della no profit Corporate Accountability, non c’è da sorprendersi che l’industria stia cercando un movimento giovanile con cui collaborare. Così viene spiegata la questione. «Se le zebre fossero a guida della marcia, le multinazionali del fossile e i governi del Nord del mondo scalpiterebbero per entrare allo zoo».

Youthwashing alle Nazioni Unite

L’ONU ha fatto ben poco per eliminare le opportunità di youthwashing alle sue conferenze. Dal 2015 il board ha organizzato una competizione video mondiale, nel quale i partecipanti mandano i propri film a tema attivismo climatico. Premio dell’anno: un viaggio interamente finanziato alla COP 25.
Ma tra le varie agenzie ONU che finanziano il progetto c’è pure la Fondazione BNP Paribas, che è fondata da una banca che ha speso più di 50 miliardi in investimenti nel fossile tra il 2016 e il 2018. In risposta, 29 organizzazioni che lavorano sul tema del clima con giovani hanno inviato una lettera di protesta agli organizzatori delle Nazioni Unite.
«Questo tentativo delle multinazionali di catturare una iniziativa di empowerment giovanile non è solo fastidiosa, ma di tipo criminale», dice la lettera, facendo notare che BNP Paribas è il quinto più grande finanziatore di fossili in Europa. Le organizzazioni hanno chiesto all’ONU di «terminare immediatamente la propria partnership con BNP Paribas per assicurare che il coinvolgimento di giovani rimanga libero dall’influenza di grandi inquinatori e dei loro finanziatori […] Non siate responsabili della corruzione del nostro coraggio e della nostra azione» hanno scritto i firmatari.
L’ONU non ha dato valore alla lettera. «Condividiamo le vostre visioni sul bisogno di decarbonizzare il mondo e per quella finalità anche di decarbonizzare gli investimenti di istituzioni finanziarie appena possibile», ha detto Niclas Svenningsen, il direttore per le Nazioni Unite della Global Climate Action. Comunque, ha aggiunto, «crediamo che sia anche importante aprire il dialogo e guardare a come soggetti di diversi settori stiano effettuando la transizione del proprio modello di business».
Per molti la risposta è scontata. Quando si parla di youthwashing «il più grande esempio e più egregio sono le Nazioni Unite» dice Jonathan Palash-Mizner, il coordinatore di Extinction Rebellion Giovani USA, di 17 anni, che sta partecipando alla COP 25. Dice che gli spazi per i giovani all’ONU sembrano quasi la tavola per i bambini al ristorante, con i partecipanti che hanno poco potere decisionale.
Nel frattempo «vai a ogni negoziato e ogni negoziatore invocherà Greta Thunberg», dice Sarah Dobson, una membra di 23 anni del Youth Climate Coalition UK  «È imbarazzante perché non saranno mai all’altezza di quella visione»
Dobson si è impegnata in uno sforzo giovanile che dura da tempo, finalizzato a mettere fine ai conflitti di interesse nella COP. L’agenzia YOUNGO, che è la sezione ufficiale giovanile dell’ONU, impedisce alle proprie branche di entrare in partenariato con aziende che «siano in conflitto con gli interessi dei giovani». Il gruppo ha spinto per anni per una policy che mantenga chiunque abbia lavorato per una azienda del fossile fuori da conferenze sul clima e richieda l’accesso a tutti gli incontri tra l’industria del fossile e le nazioni in negoziato o rappresentanti ONU.
Fanno l’esempio della convenzione della Organizzazione Mondiale della Sanità sul controllo del tabacco, che stabilisce che le parti in causa «devono essere avvisate di qualunque sforzo della industria del tabacco per mettere in difficoltà o colpire i tentativi di controllare il tabacco» e che si deve proteggere l’accordo da «interessi commerciali e altri interessi mascherati della industria del tabacco.»
YOUNGO ha spinto per fare una policy sul conflitto di interesse all’incontro di giugno, in cui la logistica della Cop è discussa – ma con l’opposizione di USA, UE e altri delegati dal nord del mondo, ha perso.
Così, alla COP 25 iniziata a Madrid, una schiera di rappresentanti dell’industria fossile andava su e giù per i corridoi assieme ai negoziatori che decideranno la forma del più importante accordo internazionale sul clima.
Leaders di BP, Shell, Total, e Suncor hanno tutti ricevuto l’accredito per presenziare alla conferenza attraverso la Associazione Internazionale del mercato delle emissioni, governata dall’industria, che ha lo status di osservatore. Altre delegazioni hanno invitato rappresentati di Chevron, Petrobas e altre multinazionali del fossile. Nel mentre, tra i principali sponsor della COP 25 c’era la multiutility Endesa, il più grande emettitore di carbonio in Spagna. L’industria del fossile ha cercato di impedire un accordo forte sul clima fin da quando l’ONU ha iniziato a negoziare sulla questione nel 1990. Quest’anno la lobby dell’industria si è concentrata soprattutto in una sezione dell’accordo conosciuta come Articolo 6, che include le regole per il mercato di emissioni di carbonio.
Nel complesso il sistema del mercato internazionale di carbonio ha fallito nel ridurre in modo significativo le emissioni anche dove si è attuato. Invece di forzare tagli attraverso regole il mercato permette alle compagnie di investire in progetti di compensazione che, in molti casi, si è scoperto hanno davvero un misero impatto reale. Il modo in cui il mercato del carbonio è strutturato determina la differenza rispetto a quanto l’industria del fossile dovrà pagare. Alla COP, come afferma Dobson, «le multinazionali sono letteralmente ovunque».

Le multinazionali del #Makethefuture

Lo youthwashing è proliferato ben oltre gli incontri ONU. Robb fa l’esempio dell’incontro del Primo Ministro Justin Trudeau con Greta, a settembre, tenutosi prima che partecipasse a una marcia di Fridays for Future in cui è stato contestato dagli attivisti canadesi che l’hanno definito un criminale del clima. Trudeau ha cercato fortemente di dipingersi come una persona seria rispetto al clima, ma l’anno scorso il suo governo ha comprato l’oleodotto Kinder Morgan, un progetto fortemente contestato, di alta produzione di carbonio, fondamentale per mantenere redditizia l’industria canadese delle sabbie bituminose.
Ovviamente, i più fastidiosi esempi di youthwashing coinvolgono l’industria del fossile. Quest’anno BP ha sponsorizzato la conferenza annuale “One Young World” anche nominata come la “Davos dei giovani” e ha pagato la partecipazione di 30 studenti che fanno ricerca sul tema della energia a bassa emissione di carbonio. All’iniziativa di ottobre, il direttore di BP e i suoi economisti principali si sono dati i turni sul palco. «Ma diciamolo – sono direttore strategico a BP, una delle aziende di petrolio e gas più grandi al mondo. Cosa sta facendo qui BP? Non siamo parte del problema? No, credo veramente che non lo siamo» – così l’economista Spencer Dale ha arringato il pubblico. «Aziende come BP possono essere e devono essere parte della soluzione».
Shell invece ha lanciato una campagna #MaketheFuture, suggerendo che sta costruendo un futuro migliore piuttosto che distruggerlo. La campagna promuove Shell come guida della tecnologia a basso contenuto di carbonio e include immagini di giovani così come post sui social network sul fatto che l’azienda finanzierebbe l’ingegneria giovanile e programmi scientifici.
Anche la Coalizione di estrema destra Co2, fondata coi soldi dell’industria fossile di Kochs e ora governata da uno che prima era tra i consiglieri di Trump e che sosteneva che le emissioni di Co2 sono buone per la terra, sta cercando di reclutare giovani. Dopo aver lottato per ottenere supporto da giovani membri del partito repubblicano, il gruppo si dice che cerchi di intercettare giovani ancora alle superiori nella ricerca di «raggiungerli un po’ prima».
«Hanno praticamente una quantità infinita di denaro da spendere per muovere qualunque soggetto sia resistente alla loro agenda», dice il ragazzo di 26 anni Julian Brave NoiseCat, vicepresidente del think tank progressista Data for Progress. In realtà il gigante delle sabbie bituminose Suncor era anche tra i partners fondatori del primo Student Energy Summit Indigeno, tenuto lo scorso gennaio – una opportunità per l’azienda di raggiungere due gruppi di popolazione associate con la resistenza alla industria fossile (giovani e indigeni, ndr) in una volta sola. Altri fondatori della conferenza giovanile indigena includono Enbridge, TC Energy e LNG Canada, tutte aziende che hanno l’intenzione di trarre profitto dagli oleodotti di sabbie bituminose che sono state fermate finora da coalizioni di attivisti indigeni. Adler, di Student Energy, ha detto che, fino a poco tempo fa, c’era solo l’industria del fossile che mostrava interesse nel finanziare i programmi del gruppo: «la realtà è che c’erano ben poche organizzazioni interessate ai giovani fino a solo un anno fa»
Ora che la COP 25 si chiude, con tutti i punti nevralgici non risolti, Thunberg è stata nominata dal magazine “Time” persona dell’anno. In un discorso all’ONU nello stesso giorno ha dichiarato che multinazionali e politici hanno cooptato le sue parole.
«Quelle frasi sono tutto quello su cui si concentra la gente. Non ricordano i fatti, le vere ragioni per le quali ho detto quelle parole all’inizio», ha dichiarato. «Penso ancora che il pericolo più grande non sia l’inazione – il vero pericolo è quando politici e amministratori delegati fingono di fare una azione reale mentre, nei fatti, nulla sta venendo compiuto al di fuori di un intelligente conteggio economico e relazioni pubbliche creative».
Il rischio vero, conclude Dobson, è l’annacquare un potente movimento giovanile. «Per le multinazionali prendere le nostre immagini, prendere i simboli del nostro movimento e usarli per validare le loro stesse attività senza prendersi cura dello sforzo che mettiamo nella costruzione di questo movimento popolare» – dice – «dà l’illusione che i giovani abbiano venduto i loro valori per sostenere le attività di questo orribile business».

Nessun commento:

Posta un commento