Un lungo elenco di incidenti e lutti, infortuni e malattie. Oltre 1000 vittime stimate nell'anno, in crescita sul 2018. E il piano annunciato dal Governo ancora non vede la luce.
Giuseppe Sabato, 50 anni, travolto
da un albero mentre effettuava un intervento di manutenzione, in
Basilicata.
Loredana Guerra, 53 anni, investita da una rotoballa, in Friuli Venezia Giulia.
Kumar Barati Pudota, 25 anni, annegato in una vasca di liquami, nell’azienda dove lavorava, in Veneto.
Stefano Strada, 45 anni, rimasto folgorato mentre riparava un guasto in una cabina elettrica ad alta tensione, in Liguria.
Giuseppina Marcinnò, 65 anni, schiacciata da una pressa nello stabilimento di Monticelli - provincia di Piacenza, in Emilia Romagna - che a breve avrebbe lasciato per andare in pensione.
Sono gli ultimi morti sul lavoro in Italia - tre solo nel giorno della vigilia di Natale - ma ai loro potrebbero già essersi aggiunti altri nomi, l’elenco essersi allungato ulteriormente.
Le notizie di incidenti mortali di lavoratori e lavoratrici, giovani e più avanti in età, nelle fabbriche, nei campi, da Nord a Sud, “continuano a essere quasi quotidiane”, ha detto il 13 ottobre scorso, nel suo messaggio per la 69esima Giornata nazionale per le vittime degli infortuni sul lavoro, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
I numeri della mattanza.
Il 2019 - che nel primo semestre, con 482 infortuni mortali sul lavoro conteggiati dall’Inail, ha fatto segnare un record negativo rispetto ai tre anni precedenti - si chiude con 534.314 infortuni denunciati da gennaio a ottobre, dei quali 896 con esito mortale.
Dati parziali (per la relazione con i numeri complessivi bisogna aspettare giugno 2020), ma che consentono di delineare l’andamento del fenomeno. Rispetto ai primi dieci mesi - dunque lo stesso lasso di tempo - del 2018, quando si attestavano su 534.074, le denunce di infortunio presentate all’Istituto quest’anno sono state di più, mentre quelle con esito mortale sono state 49 in meno (nel 2018, 945).
Flessione “non rassicurante - avvertono dall’Inail - in quanto legata soprattutto agli “incidenti plurimi”, con cui si indicano gli eventi che causano la morte di almeno due lavoratori e possono influenzare l’andamento del fenomeno”.
Carta geografica alla mano, nei primi dieci mesi di quest’anno rispetto al medesimo periodo del 2018, le denunce per incidenti mortali risultano diminuite nel Nord-Ovest (da 260 a 232), nel Nord-Est (da 235 a 209) e al Sud (da 203 a 190) ma aumentate al Centro (da 174 a 185) e nelle Isole (da 73 a 80).
Più ammalati per lavoro. Cresconole denunce di malattia professionale protocollate dall’Istituto. Da gennaio a ottobre sono state 51.055, 1295 (pari al 2,6%) in più rispetto allo stesso periodo del 2018: quelle dei lavoratori italiani sono passate da 46.541 a 47.502 (+2,1%), quelle dei lavoratori comunitari, da 1.032 a 1.200 (+16,3%), mentre quelle dei lavoratori extracomunitari da 2.187 a 2.352 (+7,5%).
L’Osservatorio indipendente. Da dodici anni - dal 1 gennaio 2008, all’indomani della tragedia della ThyssenKrupp di Torino, “quando mi resi conto di quanto fosse difficile reperire sul web notizie sul disastro avvenuto” - Carlo Soricelli, tecnico metalmeccanico bolognese in pensione di 70 anni, da oltre 40 pittore e scultore, aggiorna il suo Osservatorio indipendente. Giorno dopo giorno, incidente dopo incidente.
Al 20 dicembre scorso i lavoratori morti erano 1382 - compresi quelli deceduti sulle strade e in itinere - di cui 686 sui luoghi di lavoro.
“Dall’inizio dell’anno centoquarantuno sono morti nei campi schiacciati dai trattori, ma nessuno ne parla”, fa notare Soricelli, che nell’elenco delle vittime inserisce “tutte le persone che muoiono lavorando. Non posso e non voglio fare distinzioni valutando se abbiano o meno un’assicurazione o se, nel caso in cui la posseggano, sia con l’Inail o di altra tipologia. La questione è innanzitutto culturale” ed è drammatica. “Dal 2008 a oggi - va avanti a Soricelli - i numeri dei morti sul lavoro sono aumentati. Scorrendo i dati ufficiali dell’Inail mi sono reso conto che le cifre sono inferiori rispetto a quelle che registro io e che viene utilizzata la dicitura “con o senza mezzi di trasporto”, formula ambigua che non aiuta la comprensione, alimentando a mio avviso una informazione parziale su un fenomeno che, proprio per la consistenza dei numeri, meriterebbe attenzione diffusa e prioritaria”. T
enendo presente anche il sommerso e dunque i lavoratori in nero, calcolare il numero esatto di quelle che una certa retorica continua a definire “morti bianche” è impossibile.
Ma sulla base delle cifre ufficiali - dai dati Inail, come detto, risultano quasi 900 morti da gennaio a ottobre - si può affermare che si tratta di una vera e propria mattanza.
L’allarme di Landini, il monito di Mattarella. Di “strage”, il 13 ottobre scorso, hanno parlato il segretario della Cgil, Maurizio Landini, che ha fatto riferimento alle 17 mila persone morte sul lavoro in Italia negli ultimi dieci anni, e la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo. Mentre il capo dello Stato, sottolineando che “la sicurezza di chi lavora è una priorità sociale e uno dei fattori più rilevanti per la qualità della nostra convivenza”, si è soffermato anche sul calvario di chi resta segnato a vita da un infortunio e sul dolore e la sofferenza di chi sopravvive a un familiare morto sul lavoro. “Alla scomparsa di un congiunto - ha detto Mattarella - segue una grande sofferenza, anche economica e sociale della sua famiglia”.
Loredana Guerra, 53 anni, investita da una rotoballa, in Friuli Venezia Giulia.
Kumar Barati Pudota, 25 anni, annegato in una vasca di liquami, nell’azienda dove lavorava, in Veneto.
Stefano Strada, 45 anni, rimasto folgorato mentre riparava un guasto in una cabina elettrica ad alta tensione, in Liguria.
Giuseppina Marcinnò, 65 anni, schiacciata da una pressa nello stabilimento di Monticelli - provincia di Piacenza, in Emilia Romagna - che a breve avrebbe lasciato per andare in pensione.
Sono gli ultimi morti sul lavoro in Italia - tre solo nel giorno della vigilia di Natale - ma ai loro potrebbero già essersi aggiunti altri nomi, l’elenco essersi allungato ulteriormente.
Le notizie di incidenti mortali di lavoratori e lavoratrici, giovani e più avanti in età, nelle fabbriche, nei campi, da Nord a Sud, “continuano a essere quasi quotidiane”, ha detto il 13 ottobre scorso, nel suo messaggio per la 69esima Giornata nazionale per le vittime degli infortuni sul lavoro, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
I numeri della mattanza.
Il 2019 - che nel primo semestre, con 482 infortuni mortali sul lavoro conteggiati dall’Inail, ha fatto segnare un record negativo rispetto ai tre anni precedenti - si chiude con 534.314 infortuni denunciati da gennaio a ottobre, dei quali 896 con esito mortale.
Dati parziali (per la relazione con i numeri complessivi bisogna aspettare giugno 2020), ma che consentono di delineare l’andamento del fenomeno. Rispetto ai primi dieci mesi - dunque lo stesso lasso di tempo - del 2018, quando si attestavano su 534.074, le denunce di infortunio presentate all’Istituto quest’anno sono state di più, mentre quelle con esito mortale sono state 49 in meno (nel 2018, 945).
Flessione “non rassicurante - avvertono dall’Inail - in quanto legata soprattutto agli “incidenti plurimi”, con cui si indicano gli eventi che causano la morte di almeno due lavoratori e possono influenzare l’andamento del fenomeno”.
Carta geografica alla mano, nei primi dieci mesi di quest’anno rispetto al medesimo periodo del 2018, le denunce per incidenti mortali risultano diminuite nel Nord-Ovest (da 260 a 232), nel Nord-Est (da 235 a 209) e al Sud (da 203 a 190) ma aumentate al Centro (da 174 a 185) e nelle Isole (da 73 a 80).
Più ammalati per lavoro. Cresconole denunce di malattia professionale protocollate dall’Istituto. Da gennaio a ottobre sono state 51.055, 1295 (pari al 2,6%) in più rispetto allo stesso periodo del 2018: quelle dei lavoratori italiani sono passate da 46.541 a 47.502 (+2,1%), quelle dei lavoratori comunitari, da 1.032 a 1.200 (+16,3%), mentre quelle dei lavoratori extracomunitari da 2.187 a 2.352 (+7,5%).
L’Osservatorio indipendente. Da dodici anni - dal 1 gennaio 2008, all’indomani della tragedia della ThyssenKrupp di Torino, “quando mi resi conto di quanto fosse difficile reperire sul web notizie sul disastro avvenuto” - Carlo Soricelli, tecnico metalmeccanico bolognese in pensione di 70 anni, da oltre 40 pittore e scultore, aggiorna il suo Osservatorio indipendente. Giorno dopo giorno, incidente dopo incidente.
Al 20 dicembre scorso i lavoratori morti erano 1382 - compresi quelli deceduti sulle strade e in itinere - di cui 686 sui luoghi di lavoro.
“Dall’inizio dell’anno centoquarantuno sono morti nei campi schiacciati dai trattori, ma nessuno ne parla”, fa notare Soricelli, che nell’elenco delle vittime inserisce “tutte le persone che muoiono lavorando. Non posso e non voglio fare distinzioni valutando se abbiano o meno un’assicurazione o se, nel caso in cui la posseggano, sia con l’Inail o di altra tipologia. La questione è innanzitutto culturale” ed è drammatica. “Dal 2008 a oggi - va avanti a Soricelli - i numeri dei morti sul lavoro sono aumentati. Scorrendo i dati ufficiali dell’Inail mi sono reso conto che le cifre sono inferiori rispetto a quelle che registro io e che viene utilizzata la dicitura “con o senza mezzi di trasporto”, formula ambigua che non aiuta la comprensione, alimentando a mio avviso una informazione parziale su un fenomeno che, proprio per la consistenza dei numeri, meriterebbe attenzione diffusa e prioritaria”. T
enendo presente anche il sommerso e dunque i lavoratori in nero, calcolare il numero esatto di quelle che una certa retorica continua a definire “morti bianche” è impossibile.
Ma sulla base delle cifre ufficiali - dai dati Inail, come detto, risultano quasi 900 morti da gennaio a ottobre - si può affermare che si tratta di una vera e propria mattanza.
L’allarme di Landini, il monito di Mattarella. Di “strage”, il 13 ottobre scorso, hanno parlato il segretario della Cgil, Maurizio Landini, che ha fatto riferimento alle 17 mila persone morte sul lavoro in Italia negli ultimi dieci anni, e la ministra del Lavoro, Nunzia Catalfo. Mentre il capo dello Stato, sottolineando che “la sicurezza di chi lavora è una priorità sociale e uno dei fattori più rilevanti per la qualità della nostra convivenza”, si è soffermato anche sul calvario di chi resta segnato a vita da un infortunio e sul dolore e la sofferenza di chi sopravvive a un familiare morto sul lavoro. “Alla scomparsa di un congiunto - ha detto Mattarella - segue una grande sofferenza, anche economica e sociale della sua famiglia”.
Il dolore di chi resta: l’impegno di Paola.Aspetto, quest’ultimo, spesso dimenticato, anche nelle cronache trascurato, col risultato, come suggerisce l’impegno di Bazzoni, che chi muore sul lavoro finisce quasi con l’essere considerato un numero e non già una persona con una storia, progetti interrotti tragicamente, affetti che dovranno imparare ad addomesticare un dolore inimmaginabile. Paola Batignani ci sta provando. Suo marito, Alessandro Rosi, gruista di una ditta di Firenze, è morto il 9 agosto a 44 anni, schiacciato da una trave nelle acciaierie Arvedi di Cremona, dove era andato in trasferta. “Avevo 17 anni quando l’ho conosciuto, è stato il mio primo e unico amore”, racconta Paola ad HuffPost e non trattiene le lacrime quando ricorda il giorno del matrimonio, la nascita del figlio, Giulio, che oggi ha dieci anni, delle loro giornate “senza il buongiorno e il sorriso di Alessandro”, del loro primo Natale “senza il nostro punto di riferimento”, dei suoceri, la mamma e il papà di suo marito, “che dal 9 agosto vivono come se fossero stati condannati all’ergastolo”. Paola ha ricevuto supporto dall’Inail - “ma, mi creda, è una magra consolazione perché nessun riconoscimento economico potrà restituire la vita di una persona cara” - e sta seguendo l’iter del procedimento giudiziario che si è aperto per accertare cosa è successo esattamente nello stabilimento mentre suo marito stava lavorando “quel maledetto venerdì 9 agosto, per cui io vorrei cancellare tutti i venerdì”, dice con rabbia. Le indagini stanno andando avanti, ci vorrà tempo, ma Paola è fiduciosa. Vuole ottenere giustizia per Alessandro, “non mi capacito di come abbiano fatto quel giorno a non fermare l’attività dopo che Alessandro era morto” e intanto “per tenere sempre vivo il suo ricordo e fare in modo che la sua morte non sia stata vana”, ha fondato l’associazione “Agganciamoci alla vita”, che ha tra gli obiettivi la sensibilizzazione sulla necessità, per le aziende, di investire sul fronte della tutela dei lavoratori e la diffusione della cultura della sicurezza nei luoghi di lavoro. “Di questi morti, tranne occasioni sporadiche, non si parla, eppure è una tragedia. Non c’è una campagna politica per far comprendere la reale portata della questione. Anche per noi prima del 9 agosto il problema non esisteva e invece quello che ci è successo può capitare a chiunque. Questa battaglia mi dà la forza per andare avanti. Sopravvivo per far vivere mio figlio e per rendere onore e giustizia alla memoria di Alessandro, strappato alla vita perché il dio denaro comanda su tutto e la tutela dei lavoratori invece che un investimento è considerata una spesa”.
La battaglia di Maria. Come Paola, anche Maria Meo, che vive a Saviano, provincia di Napoli, in piena Terra dei fuochi, è una sopravvissuta. Suo padre Michele, scomparso nel 2010 a 58 anni è non è morto sul lavoro, ma di lavoro. È stato l’amianto che ha respirato sin da quando, giovanissimo, ha iniziato a lavorare come idraulico a farlo ammalare di mesotelioma pleurico, un tumore maligno che gli ha accorciato il respiro e i giorni portandoselo via nel giro di sei mesi. La battaglia di Maria, che oggi ha 36 anni e ha combattuto anche per la madre, per la sorella e il fratellino, è durata di più. Ci sono voluti quattro anni e un’azione in Tribunale contro l’Inail perché quella che ha ucciso suo padre fosse riconosciuta come malattia professionale. Nonostante la diagnosi fosse chiara e scritta nero su bianco, nonostante durante la malattia, l’Inail, ufficio infortuni sul lavoro, avesse riconosciuto a Michele la malattia professionale con una una indennità giornaliera e dopo la morte gli fosse stato assegnato un codice identificativo nel registro mesioteliomi della Regione Campania. “Non è stato un automatismo neppure il riconoscimento di orfani di caduti sul lavoro per l’inserimento nelle categorie protette ex art 18 legge 68 del ’99. Poco più di un anno fa ci siamo riusciti ma ancora non costato l’utilità, forse a causa della gestione provinciale di tali liste”, puntualizza Maria, che adesso vuole finalmente a laurearsi in giurisprudenza. Andare avanti dopo la morte del genitore, “in una famiglia monoreddito che come accade in tante altre situazioni aveva nel padre il suo riferimento principale”, e intanto portare avanti l’azione contro l’Inail “contro tutti che mi invitavano a desistere perché non ce l’avrei fatta”, stato tutt’altro che facile. Ma ora Maria può guardare avanti. “Lo devo a mio padre, come me appassionato di diritto e orgoglioso di aver vinto un concorso per cui agli inizi degli anni ’80 era stato assunto come dipendente al Ministero della Giustizia, che a mio avviso da morto non ha ricevuto dallo Stato il rispetto che avrebbe meritato. Possibile che si debba combattere così tanto e in questo modo per vedere riconosciuto un proprio diritto? - chiede Maria - chi lavora, anche nel rispetto dell’articolo uno della nostra Costituzione, deve essere tutelato. E ai familiari che sopravvivono non può essere riservato il trattamento che abbiamo subìto noi. Per anni abbiamo lottato contro un ambiente ostile, quasi sembrava che andassimo a chiedere un trattamento di favore e non quanto legittimamente ci spettava. Mio padre è morto per l’amianto respirato sul lavoro. Mi auguro che il modus operandi dell’Inail sia cambiato. Più volte, in questi anni, mi sono chiesta se nel nostro Paese si tutelino davvero i lavoratori”.
La (lunga) strada ancora da fare. Se lo chiedono, tra gli altri, anche Bazzoni e Soricelli. La risposta è che la strada da compiere è ancora lunga e l’azione della politica e delle istituzioni ancora deficitaria. “Il Governo Conte II, che pure aveva promesso di impegnarsi - sospira Bazzoni - non ha fatto nulla. Ho letto che la ministra Catalfo voleva assumere altri 150 ispettori del lavoro, ma credo sarebbe meglio puntare su nuovi tecnici della prevenzione dell’Asl - in Italia ce ne sono circa 2000 con circa 4 milioni di aziende - che dipendono dalle Regioni, non dal Ministero del lavoro. Come si fa a potenziare la sicurezza se mancano i controlli? E il Testo unico, approvato 11 anni fa, pur essendo una legge ottima, manca dei decreti attuativi. Mattarella fa bene a definire “una priorità sociale la sicurezza di chi lavora”, ma purtroppo al Governo non c’è lui e in Italia si continua a morire sul lavoro e di lavoro”. “Dall’estrema destra all’estrema sinistra, passando per i Cinque Stelle, nessuno ha mai fatto davvero nulla per fermare la strage silenziosa dei morti sul lavoro. Le Commissioni, alla Camera e al Senato, sono lì a scaldare le sedie - è il duro j’accuse di Soricelli - la politica non riesce a cogliere l’importanza di questa battaglia o non ha sufficiente coraggio per portarla avanti. Eppure la sicurezza è un tema che sta a cuore ai lavoratori italiani. Mi risulta che il Governo voglia avviare una campagna informativa sul tema, speriamo lo faccia. Sarebbe ora”.
Il piano del Governo. Il 13 ottobre, la sottosegretaria al Lavoro, Francesca Puglisi, ha annunciato “l’impegno di dotare il nostro Paese del piano strategico per la sicurezza nei luoghi di lavoro”. Due mesi dopo, a che punto siamo? “Il tavolo tecnico sta lavorando per elaborare proposte per il piano strategico, insieme ai sindacati, alle organizzazioni datoriali e a tutti gli attori della rete di prevenzione, con il coinvolgimento di Inps, Inail, Inl, dell’Arma dei Carabinieri e dei Vigili del fuoco coinvolti nei controlli, e delle Regioni, l’altra parte fondamentale visto che agisce sui controlli a livello territoriale mediante le Asl”. L’intento è “portare avanti un lavoro coordinato tra i diversi attori, in modo che nessuno agisca individualmente. Quello che serve, a mio avviso, è un cambio di governance territoriale di controllo, per scongiurare il rischio che ciascuno guardi al proprio pezzo tralasciando l’insieme - spiega la sottosegretaria - Serve un cambio di prospettiva, i controlli devono essere effettuati non solo con intento sanzionatorio, pure necessario, ma occorre un supporto alle imprese per garantire il miglior benessere di lavoratori e lavoratrici per prevenire incidenti e malattie del lavoro”. Altro fronte sul quale si pensa di intervenire è il sistema dei subappalti, “che - aggiunge Puglisi - influisce negativamente sulla sicurezza. I rischi per i lavoratori aumentano man mano che ci si allontana da chi ha vinto l’appalto. Quindi si sta pensando a una sorta di patente a punti sul rispetto degli standard di sicurezza per chi partecipa alle gare”. Poi, prosegue il sottosegretario, “considerato che quasi il 50 per cento degli incidenti si verifica nel settore agricolo, l’Inail ha stanziato risorse per il rinnovo del parco macchine in modo da aiutare i piccoli coltivatori diretti”. Ancora, il Governo intende lavorare lungo tre direttrici: potenziare la formazione, per diffondere sempre più la cultura della sicurezza, dare piena attuazione ai decreti attuativi del Testo Unico - “con i doverosi aggiornamenti” - e irrobustire gli organici delle Asl preposti ai controlli. “L’Inl effettuerà trecento nuove assunzioni, ma il lavoro da fare complessivamente è tanto. Non è possibile - conclude Puglisi - che, negli ultimi quindici anni i morti sul lavoro non siano calati. Diminuiscono gli incidenti, ma il numero dei decessi resta pressoché invariato. È inaccettabile”.
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