“Senza competizione, non c’è efficienza. Senza efficienza, non c’è risparmio.
Senza risparmio, non c’è investimento. Senza investimento, non c’è
futuro. E senza concorrenza, purtroppo, non c’è alcuna speranza di non
ritrovarsi presto con un paese fottuto”.
ilfattoquotidiano.it Salvatore Cannavò
Era questo l’efficace attacco di un articolo del Foglio del 23 giugno 2017 in cui il direttore, Claudio Cerasa,
se la prendeva con il “partito dell’AC” cioè dell’AntiConcorrenza che
affligge il sistema italiano.
In questi giorni, soprattutto nel
dibattito molecolare dei social network, questa fede liberale e
neoliberista del quotidiano fondato da Giuliano Ferrara sta tenendo banco.
Perché Il Foglio,
per effetto di un contenzioso fiscale su cui indaga la Guardia di
Finanza, potrebbe vedersi bloccare i contributi
pubblici che garantiscono circa un terzo del suo bilancio e, sostiene
la sua direzione, potrebbe addirittura essere costretto a chiudere.
Non ce lo auguriamo proprio.
Anche se come la pensa questo giornale (Il fatto quotidiano) sul finanziamento pubblico lo si
ricava già dalla citazione sotto la testata.
E anche se come la pensa il Foglio lo rivelò il suo fondatore Giuliano Ferrara alla trasmissione Report: “Con il trucco della famosa Convenzione per la giustizia, un trucco nel senso che non era un vero partito”.
Il punto che ci interessa, invece, è discutere se si possa invocare il libero mercato, la concorrenza,
la libertà dei capitali privati quando in gioco ci sono le vite degli
altri e chiedere il sostegno pubblico se a ballare è la propria, di
vita. Solo il 22 dicembre scorso, il quotidiano dedicava un’intera delle
sue voluminose pagine a un pezzo contro “La Repubblica dei salvataggi”
criticando il modo in cui il governo affronta i casi di Alitalia, Ilva o Whirlpool.
“Il mercato non si può sfidare in eterno” recitava il sommario e nel suo articolo Stefano Cingolani
scriveva dei “soldi dei contribuenti e dei risparmiatori nelle aziende
fallite”.
Per aggiungere che “se di sostegno pubblico c’è bisogno,
allora deve servire ad aumentare il capitale, razionalizzare, chiudere
gli istituti incapaci di risanare”.
Volendo essere impietosi, basterebbe rivolgere questa frase contro lo stesso Foglio o contro quelle strutture che, con il finanziamento pubblico,
reggono in piedi il conto economico e non certo la propria
ricapitalizzazione (ci asteniamo dai giudizi sulla proprietà del
quotidiano, perché abbiamo già dato).
A sostegno del Foglio, in questi giorni, quello che più ha fatto discutere è Mattia Feltri:
“Bisognerebbe capire (non è difficile) che per un liberale lo Stato
finanzia partiti, giornali, musei, teatri e tanto altro, per il bene
della democrazia. Potete non essere d’accordo, ma chi ci vede
contraddizione è un po’ somaro”, ha scritto il giornalista della Stampa su Twitter.
Guia Soncini, che del Foglio è
collaboratrice, gli ha risposto sempre sullo stesso social: “Si vede che
quello su cui scrivevamo, e che prendeva sfrenatamente per il culo
tutte le lagne del scìnema itagliàno che voleva finanziamenti, era un
giornale illiberale”.
Fare i liberisti con i soldi degli altri garantendo la propria
roccaforte e mandando al macero il resto è facile.
Ma sulla lunga
distanza non regge. E senza eccessive filippiche sullo
Stato-interventista sarebbe però il caso di riflettere sui tempi in cui
viviamo, in cui il libero mercato non ce la fa, annaspa
e crea voragini ovunque.
Mentre è proprio lo Stato a essere chiamato a
intervenire, sostenere, lenire, ripulire, rimpiazzare,
aiutare: i giornali e la cultura, ma anche aziende maciullate da
“capitani coraggiosi”.
Magari è il momento di rifletterci: non perché si
rischia la chiusura, ma perché è giusto.
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domenica 29 dicembre 2019
Stampa & soldi pubblici. ‘Il Foglio’ e quei liberisti con i soldi altrui.
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