mercoledì 25 dicembre 2019

Educare alla liberazione.

Un incontro di Non una di meno a Reggio Emilia ripercorre storia e obiettivi della "pedagogia degli oppressi" lanciata negli anni Sessanta dal pedagogista brasiliano Paulo Freire. Un metodo intersezionale che è oggi ancora più attuale.

 
jacobinitalia.itFranca Marielli 

Il Brasile è il luogo in cui è nata la pedagogia degli oppressi di Paulo Freire, il noto pedagogista che, in una conferenza tenuta durante una visita a Reggio Emilia, pronunciò queste parole:
«La libertà deve trovare ostacoli per diventare libertà; per lottare per la libertà dobbiamo perderla, mantenendo sempre vivo il suo ricordo almeno nell’immaginazione. Io so quello che ha significato per me; stando in carcere ho capito e ho amato la libertà soprattutto quando mi hanno messo per qualche giorno in una cella di un metro di altezza e sessanta cm di larghezza. Io non pensavo che in Brasile esistessero appartamenti come quello ma nell’esercito ce ne sono ancora. C’è un’altra cosa che ho colto completamente ed è una questione filosofica. Per essere liberi dobbiamo andare oltre l’immaginazione, oltre i nostri sogni e i nostri sentimenti. Devono essere create condizioni materiali per ottenere la libertà. Mentre mi trovavo in quella cella potevo immaginare il mondo esterno,  potevo volare con l’immaginazione ma ero chiuso lì dentro. Per essere libero dovevo sfondare la porta o qualcuno doveva aprirla per me, altrimenti non avrei potuto esserlo. Ma potevo ancora sognare. La stessa cosa vale per alcune società o persone: dobbiamo sognare ma dobbiamo anche lottare per concretizzare i nostri sogni»
.
Il 21 novembre scorso Non Una Di Meno Reggio Emilia ha ospitato, nel portico davanti alla Casa Comune delle Donne Marielle Franco (temporaneamente inagibile perché minacciata di chiusura), Helena Freire (nipote di Paulo), in Italia per una serie di incontri sulla figura di Paulo Freire insieme all’educatrice brasiliana Vanessa Marques.
Qualche mese fa, con Thais Bonini e un gruppo di educatrici di San Paolo e Salvador, Non Una Di Meno aveva stretto un rapporto di sorellanza e confronto politico sui temi della repressione in Brasile e in Italia, sulle azioni oppressive e discriminatorie che colpiscono in modo particolare le donne e le soggettività «non conformi», sulle minacce al sistema educativo pubblico ispirato ai principi dell’uguaglianza e dell’autodeterminazione.
L’incontro con Helena e le altre compagne brasiliane è stato per noi l’occasione per sottolineare come il processo di radicale cambiamento che ci riguarda come femministe e transfemministe non possa avvenire senza coinvolgere in modo prioritario l’educazione e la formazione, a partire da un approccio intersezionale che ci vede solidali e «intersecamente» coinvolte e coinvolti nei molteplici processi di liberazione dall’oppressione.
Helena ci ha ricordato che Paulo Freire ha iniziato a lavorare in ambito educativo negli anni Cinquanta, occupandosi principalmente delle questioni legate ai rapporti tra le persone e proponendo una forma di educazione intesa come pratica di libertà e liberazione.
La sua attenzione si è rivolta in particolare ai popoli nativi riconoscendo il diritto/bisogno di un’educazione anticoloniale che non fosse il frutto della cultura imposta dai colonizzatori: uno degli aspetti fondamentali del suo approccio è stato, non a caso, la valorizzazione delle parole rappresentative dell’esperienza di vita, per favorire un apprendimento della lingua fondato sulla consapevolezza della propria condizione di povertà ed esclusione.
L’alfabetizzazione degli adulti che, grazie a questo approccio esperienziale, avveniva in pochi giorni, si può annoverare tra le sue azioni più significative: la sua metodologia di alfabetizzazione ha avuto un grande impatto in Brasile, perché negli anni Sessanta il diritto di voto veniva riconosciuto solo a chi sapeva leggere e scrivere.
Abbiamo ripercorso insieme a Helena le connessioni tra la pedagogia degli oppressi, l’attività di Paulo Freire e il femminismo. Freire fu criticato dalle femministe perché si rivolgeva alle persone utilizzando solo il genere maschile ma in seguito, accogliendo questa critica, iniziò a utilizzare un linguaggio non più neutro ma sessuato. Ci furono femministe come bell hooks che si ispirarono ai suoi insegnamenti pur rivolgendogli delle critiche.
Alcuni nuclei tematici nell’opera di Freire richiamano importanti capisaldi del pensiero femminista: il fatto che la genesi dell’educazione sia radicata nell’incontro-scontro con le condizioni materiali di vita delle persone e nella presa di coscienza di esse  (il «partire da sé» del femminismo); la concezione dell’educazione come atto dialogico e relazionale che promuove la liberazione delle soggettività oppresse dalle logiche predatorie del neoliberismo e dalle catene delle economie estrattiviste; la nozione di scienza e conoscenza aperte alle necessità popolari (che richiama la costruzione «dal basso» del sapere femminista); la progettazione comunitaria e partecipativa che contrappone la partecipazione ai processi decisionali riguardanti la vita delle comunità all’instaurarsi di dispositivi di controllo, manipolazione, dominazione (tratti caratteristici del sistema patriarcale e sessista) che portano alla negazione di diritti e libertà.
Particolarmente interessanti e significative sono state le testimonianze di due componenti del gruppo brasiliano, che hanno raccontato le loro storie dentro il regime di Jair Bolsonaro: una giovane studentessa che ha sofferto per il clima fortemente repressivo  instaurato nel sistema scolastico ed educativo brasiliano al fine di cancellare ogni forma di differenza rispetto al modello militaresco imposto agli studenti; uno sceneggiatore e regista le cui opere sono sistematicamente oggetto di censura da parte del regime. Nei loro racconti abbiamo colto diversi punti in comune tra Jair Bolsonaro e Matteo Salvini, a partire dall’utilizzo aggressivo e mistificatorio dei social network.
In Brasile il percorso scolastico è costruito e certificato soprattutto in base alla meritocrazia; la preparazione scolastica ha come unico obiettivo quello di superare le prove di valutazione, tanto che non si parla più di processo di apprendimento. Questa situazione non è nata con Bolsonaro, la metodologia di insegnamento in vigore oggi esisteva da tempo e i precedenti governi di sinistra non sono riusciti ad affrontare il problema del processo di valutazione e a modificarlo in profondità. Anche la sinistra, infatti, aveva scelto di creare un sistema di valutazione «oggettivo» per misurare la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento, tanto da generare un’inversione di marcia nel pensiero e nell’azione pedagogica. Il governo di Bolsonaro ha portato agli estremi questa metodologia, fino a renderla un’educazione di stampo paramilitare.
Helena Freire nel suo lavoro pone il tema del superamento del curriculum, costruito in Brasile in modo decisamente eurocentrico, cosa che comporta che dalla cultura proposta all’interno delle scuole sia esclusa la mescolanza che caratterizza la popolazione brasiliana. Helena sta lavorando per promuovere un curriculum diversificato che contenga tutte le matrici brasiliane, bianche, indigene e africane e che parta da una cosmo-visione maschile e femminile.
È un punto di vista che combacia con il nostro femminismo intersezionale che riconosce il diritto all’autodeterminazione e l’esistenza di forme molteplici di oppressione come, ad esempio, quelle subite dalle donne nere. Ogni 20 novembre in Brasile si celebra la festa della «coscienza nera», ma è evidente che un tema così importante per la vita del Paese non possa essere relegato a una sola giornata all’anno.
Movimenti di donne nere, in particolare indigene, si stanno rendendo protagonisti, insieme a tanti altri movimenti, di forme di resistenza sempre più forti, con pratiche sempre più decise di lotta. Politici come Bolsonaro e Salvini rafforzano questi gruppi di resistenza e spesso è a partire dai movimenti studenteschi che prendono avvio le lotte per una trasformazione radicale dell’intera società, in particolare dalla scuola.
Helena Freire attinge al patrimonio di pensiero della pedagogia degli oppressi per comunicarci che la resistenza all’oppressione e alla violenza prevaricatrice è un atto da annunciare, qualcosa che si riferisce a una situazione/azione, non soltanto un atto di denuncia. Annunciarsi come educatrici e come donne è un concetto che trae ispirazione da Paulo Freire e dalla pratica della libertà e della liberazione. La resistenza stessa deve essere praticata attraverso la ricerca della democrazia e della libertà, che non sono mai acquisite una volta per tutte. Prima che si determinasse l’attuale situazione politica in Brasile è successo qualcosa che non si è stati capaci di vedere: che la libertà dichiarata non era vera libertà e che la pratica della democrazia non avveniva realmente.
*Franca Marielli è attivista di Non una di meno Reggio Emilia.

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