Questa erbacea - che solo
generalizzazioni dettate da ignoranza possono assimilare alla cannabis
stupefacente - viene utilizzata da almeno 10mila anni.
Stiamo parlando della canapa industriale, quella impiegata per la produzione di un’infinità di articoli, tra cui carta, plastica biodegradabile, cosmetici, vernici, bioedilizia, ma soprattutto tessuti.
Con la legalizzazione delle sue colture – ora anche negli USA con la ratifica del Farm Bill 2018 – la Sativa è destinata a travolgere o per lo meno contenere l’attuale dominio del cotone la fibra più utilizzata per ogni tipo di abbigliamento.
Dieci milioni di acri sono attualmente coltivati a cotone, per un totale del 25,37% dei terreni agricoli fanno degli Stati Uniti il terzo produttore al mondo, dopo India e Cina.
Il 73% di questa fibra raccolto viene utilizzato per l’abbigliamento, che a sua volta rappresenta il 90% dell’utilizzo del settore da parte dell’industria tessile: il profitto generato equivale a 385,7 miliardi di dollari.
A scapito però dell’ambiente.
Perché il cotone viene coltivato in monocolture intensive e insterilisce il suolo: la sua coltivazione ha sostituito la vegetazione autoctona sul 2,4 per cento delle terre coltivate del mondo. Per farlo crescere si utilizzano il 16 per cento di tutti gli insetticidi prodotti al mondo: sono loro gli stragisti colpevoli di aver fatto precipitare le popolazioni di impollinatori e la biodiversità nel suolo.
Non basta: il cotone è quasi sempre geneticamente modificato, perciò produce un enzima che indugia nel terreno ben dopo la maturazione della pianta, diminuendone la biodiversità. La sua irrigazione richiede 8mila litri di acqua per chilogrammo, il 16% degli insetticidi utilizzati al mondo e il 6% dei pesticidi.
Per converso la produzione di canapa richiede meno di un terzo dell’acqua, decisamente meno pesticidi, meno insetticidi e produce il 220% in più di fibre. I produttori di abbigliamento più attenti al problema della sostenibilità - che per il tessile abbigliamento rappresenta una piaga gigantesca (è il secondo settore più inquinante subito dopo quello degli idrocarburi) - stanno avviandosi su questa strada. Con la collezione Levi’s Wellthread x Outernown propone capi in denim di “canapa cotonizzata”: lo fa e ne sbandiera la “scelta consapevole”.
È realistico aspettarsi che una fibra come questa rafforzi l’agricoltura rispettosa dell’ambiente e pratiche sostenibili legate al tessile abbigliamento? Di certo è auspicabile. La canapa industriale porrà rimedio a tutti i problemi di sostenibilità posti dall’industria del tessile abbigliamento? Si tratta solo di una parte di un problema complesso e gigantesco.
Secondo Coldiretti in ogni caso ci sono in Italia almeno 4mila ettari coltivati a canapa da 2mila aziende agricole, nate soprattutto negli ultimi due anni. Il Consorzio nazionale per la tutela della canapa industriale stima un giro d’affari nel 2018 di 150 milioni di euro dietro al quale ci sono 12.000 posti di lavoro.
Di certo l’azione della Presidente Casellati ieri si è perfettamente incastrata con le spericolate dichiarazioni rilasciate a questo proposito ieri in Senato da un leader che vorrebbe divenire al più presto capo del governo di questo Paese: semplificazioni brutali, che creano ulteriore confusione dove ci sarebbe bisogno di chiarire. Inqualificabile.
Stiamo parlando della canapa industriale, quella impiegata per la produzione di un’infinità di articoli, tra cui carta, plastica biodegradabile, cosmetici, vernici, bioedilizia, ma soprattutto tessuti.
Con la legalizzazione delle sue colture – ora anche negli USA con la ratifica del Farm Bill 2018 – la Sativa è destinata a travolgere o per lo meno contenere l’attuale dominio del cotone la fibra più utilizzata per ogni tipo di abbigliamento.
Dieci milioni di acri sono attualmente coltivati a cotone, per un totale del 25,37% dei terreni agricoli fanno degli Stati Uniti il terzo produttore al mondo, dopo India e Cina.
Il 73% di questa fibra raccolto viene utilizzato per l’abbigliamento, che a sua volta rappresenta il 90% dell’utilizzo del settore da parte dell’industria tessile: il profitto generato equivale a 385,7 miliardi di dollari.
A scapito però dell’ambiente.
Perché il cotone viene coltivato in monocolture intensive e insterilisce il suolo: la sua coltivazione ha sostituito la vegetazione autoctona sul 2,4 per cento delle terre coltivate del mondo. Per farlo crescere si utilizzano il 16 per cento di tutti gli insetticidi prodotti al mondo: sono loro gli stragisti colpevoli di aver fatto precipitare le popolazioni di impollinatori e la biodiversità nel suolo.
Non basta: il cotone è quasi sempre geneticamente modificato, perciò produce un enzima che indugia nel terreno ben dopo la maturazione della pianta, diminuendone la biodiversità. La sua irrigazione richiede 8mila litri di acqua per chilogrammo, il 16% degli insetticidi utilizzati al mondo e il 6% dei pesticidi.
Per converso la produzione di canapa richiede meno di un terzo dell’acqua, decisamente meno pesticidi, meno insetticidi e produce il 220% in più di fibre. I produttori di abbigliamento più attenti al problema della sostenibilità - che per il tessile abbigliamento rappresenta una piaga gigantesca (è il secondo settore più inquinante subito dopo quello degli idrocarburi) - stanno avviandosi su questa strada. Con la collezione Levi’s Wellthread x Outernown propone capi in denim di “canapa cotonizzata”: lo fa e ne sbandiera la “scelta consapevole”.
È realistico aspettarsi che una fibra come questa rafforzi l’agricoltura rispettosa dell’ambiente e pratiche sostenibili legate al tessile abbigliamento? Di certo è auspicabile. La canapa industriale porrà rimedio a tutti i problemi di sostenibilità posti dall’industria del tessile abbigliamento? Si tratta solo di una parte di un problema complesso e gigantesco.
Secondo Coldiretti in ogni caso ci sono in Italia almeno 4mila ettari coltivati a canapa da 2mila aziende agricole, nate soprattutto negli ultimi due anni. Il Consorzio nazionale per la tutela della canapa industriale stima un giro d’affari nel 2018 di 150 milioni di euro dietro al quale ci sono 12.000 posti di lavoro.
Di certo l’azione della Presidente Casellati ieri si è perfettamente incastrata con le spericolate dichiarazioni rilasciate a questo proposito ieri in Senato da un leader che vorrebbe divenire al più presto capo del governo di questo Paese: semplificazioni brutali, che creano ulteriore confusione dove ci sarebbe bisogno di chiarire. Inqualificabile.
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