L’ex
ministro Calenda, dopo aver passato un pomeriggio con i lavoratori
dell’Embraco di Torino, ha dichiarato di aver ripetuto per trent’anni le
c..te del liberismo economico.
È un atto di consapevolezza da apprezzare, ma ancora insufficiente per due ragioni.
La prima è che queste c..te non le hanno solo ripetute l’ex ministro, gli influencer economici, i mass media.
Esse sono state non solo parole, ma materia viva, quella con la quale sono state definite ed imposte le politiche economiche dal 1989 ad oggi.
L’austerità figlia dei trattati UE liberisti, che oggi anche Draghi da dimissionario chiede di superare.
E, se guardiamo direttamente in casa nostra, le privatizzazioni, i tagli alla spesa pubblica sociale, la precarizzazione del lavoro dal pacchetto Treu al Jobsact, le controriforme delle pensioni fino alla legge Fornero; e poi la disoccupazione di massa, le ingiustizie sociali, la redistribuzione della ricchezza a favore dei più ricchi.
Tutto questo è stato prodotto dalle c..te liberiste diventate dottrina di governo.
E chiunque criticasse o si opponesse a queste c..te veniva accusato di essere ideologico, così esse sono diventate anche il senso comune di una società bloccata, incapace di affrontare i suoi drammatici problemi sociali e ora anche ambientali perché paralizzata.
Paralizzata da trent’anni di c..te.
Ed ecco allora la seconda ragione per cui l’ammissione di Calenda va apprezzata ma non basta. Perché non solo il liberismo ha guastato politica e società, ma ha reso necessaria un’alternativa radicale ad esso. Non basta auspicare come Calenda il ritorno ad un liberalismo più democratico e compassionevole.
Questa possibilità non esiste e la speranza in essa ha distrutto gran parte delle sinistre in Europa. Il liberismo non è solo lo stupido pensiero unico dominante, ma il coagulo di interessi, affari, poteri. Che non molleranno la presa sulla politica e sulla società senza venire sconfitti e rovesciati.
I lavoratori dell’Embraco, come quelli della Whirlpool e tante e tanti altri hanno sperimentato sulla propria pelle le politiche liberiste di reindustrializzazione, anche quelle di Calenda. Ora se si vuole davvero abbandonare il mondo delle banalità e delle false promesse, bisogna realizzare quelle politiche che il liberismo bollava come impossibili o sbagliate, a partire da quelle definite con la parola proibita: nazionalizzazioni.
Ora deve tornare in politica ciò che da trent’anni la politica europea ha espulso: l’alternativa al mercato ed al capitalismo, il pubblico, il socialismo.
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