L’Umbria consegna l’immagine di un governo all’opposizione del paese. Non un “nuovo inizio”, ma un nuovo capitolo di una “morte lenta”, incapace di invertire l’onda sovranista che avanza nel Paese.
La
dura replica della storia rispetto a un’alleanza e a un governo
senz’anima, nato nel Palazzo, è nel primo voto del paese reale.
Sono i
numeri di un tracollo e di uno spostamento a destra senza precedenti
quelli della prima regione rossa espugnata.
Un ribaltamento totale della
sua storia e delle sue radici. Eccoli, i tre dati del voto: il
centrodestra vince raggiungendo quasi il 60 per cento, con oltre venti
punti rispetto al centrosinistra; solo la Lega, che più o meno conferma
il dato delle europee, prende più di Pd e M5s messi assieme; all’interno
del centrodestra Lega e Fratelli d’Italia, la destra “sovranista”, sono
pressoché autosufficienti, quasi al 50 per cento.
E non è irrilevante
il risultato di Giorgia Meloni, l’unico partito che cresce (dal 6,5 al
10) rispetto al voto del 26 maggio.
Sono
le cifre di uno sfondamento, peraltro con una candidata “debole” come
Donatella Tesei, nell’ambito di una competizione vissuta come una sfida
di Salvini contro “tutti”.
Che il leader della Lega vince come quando,
ai bei tempi, Silvio Berlusconi riusciva a far eleggere anche dei
“fantocci”, trasformando ogni competizione in un plebiscito su di sé.
E
questo è un elemento che apre una riflessione (e suscita un brivido) sul
voto dell’Emilia Romagna, la madre di tutte le battaglie a gennaio.
L’Umbria è un voto politico, con buona pace della banalizzazione
preventiva da parte di un presidente del Consiglio che prima lo ha
paragonato alla provincia di Lecce e poi è stato costretto a metterci la
faccia a Narni, all’ultimo momento utile.
Dicevamo, un voto politico:
non di generica “protesta”, ma un investimento su una alternativa
rispetto all’attuale governo e all’attuale alleanza, che in Umbria, si
misurava nel suo primo laboratorio reale.
È
vero, l’Umbria da anni non è più una regione rossa.
Dopo una vittoria
di misura nel 2014, il centrosinistra in questi anni ha perso le
principali città, da Perugia a Terni, da Orvieto a Foligno, ed è
all’opposizione nel 65 per cento dei comuni.
Ed è vero che lo scandalo
sulla sanità, peraltro denunciato proprio dai Cinque stelle, ha
rappresentato un handicap.
Ma è anche vero che molto spesso le nuove
linee di tendenza “nazionali” sono in grado di invertire quelle “locali”
quando sono convincenti e aprono una prospettiva.
Ecco, il punto
politico è che questa volta non è accaduto, anzi è accaduto l’opposto:
sessanta giorni di governo senza passione, identità e connessione
sentimentale, ritrovatosi assieme nell’improvvisata foto di Narni dopo
settimane di tregenda sulla finanziaria, tutto questo ha sepolto il
cosiddetto “modello Umbro”.
Basta
incrociare due dati.
Il primo: alle Europee del 26 maggio il
centrodestra, nel suo insieme, era al 51 per cento, il centrosinistra e i
Cinque stelle al 45, sei punti; questa forbice, è aumentata di 20
punti.
Il secondo: alle europee la somma di Pd (25%) e M5s (14%) era al
39%, ora è circa dieci punti in meno (Pd al 21,3%, M5s all’7,6%).
Dunque
la somma non fa il totale, come sempre nelle operazioni politiche che
non funzionano.
Il Pd più o meno tiene, considerata anche la scissione
subita; il Movimento conferma invece un declino inesorabile, che tanto
assomiglia a una crisi identitaria e strutturale che va ben oltre questa
tornata elettorale.
Guardate i dati.
Alle politiche, proprio in Umbria,
conquistò il 27.5 per cento, alle europee la metà (il 14), dopo cinque
mesi la metà delle europee (7,6) sotto la soglia psicologica del 10. In
un anno e mezzo (e il cambio di governo) ha perso tre quarti dei propri
voti.
Insomma, alle prime elezioni dopo
la crisi di agosto e la nascita del nuovo governo l’elettorato non è
rimasto a casa, ma è andato a votare quell’avversario politico, il cui
essere un “pericolo” è stato vissuto come un collante nel Palazzo ma
viene ancora vissuto nel paese come un vettore di cambiamento.
Nonostante non stia più al governo e al Viminale.
Il patto civico non ha
funzionato e, finora, non ha funzionato l’argine governativo tirato su a
Roma, con tutte le sue fragilità.
L’Umbria consegna l’immagine di un
governo all’opposizione del paese.
Non un “nuovo inizio”, ma un nuovo
capitolo di una “morte lenta”, incapace di invertire l’onda sovranista
che avanza nel paese.
È chiaro che il
Conte due va avanti. Ma ciò che è entrato in discussione, con la nota
del blog delle stelle, è il tentativo di trasformare l’alleanza che
sostiene Conte in una compiuta e strategica alleanza politica.
Sono
parole che chiudono una fase e terremotano l’impianto strategico su cui
ha puntato il Pd, destinate a rendere più complicata la gestione delle
prossime regionali in Calabria ed Emilia Romagna.
Ma destinate anche a
rendere più incerto il proseguo dell’attività del Conte due. Se il
governo non è l’incubatore di una prospettiva comune, di un lavoro
comune, della ricerca comune di una strada nuova, il rischio è che
diventi solo il litigioso terreno di forze il cui unico collante è il
tirare a campare “sennò arriva Salvini”.
Dice Renzi che “Conte non ha il
tocco magico” e l’alleanza non ha funzionato. Dice Di Maio che
l’esperimento è fallito.
Solo il Pd conferma la sua buona volontà
confermandosi il “partito della responsabilità”.
Alternative al rimanere
assieme per ora non ce ne sono, ma si entra in una situazione di
incertezza.
Nessun commento:
Posta un commento