Un senso di profonda insofferenza per il modo in cui viene “governato” il mondo si è radicato ovunque, non più solo fra le classi più emarginate.
Questo sentimento sta per raggiungere il suo punto di non ritorno. Movimenti sociali come Occupy Wall Street (con la sua scia di proteste in 951 città di 82 Paesi nel Nord e Sud del mondo), gli Indignados/15M in Spagna, Nuit Debout a Parigi, e altri più recenti processi di attivazione popolare – da Hong Kong all’Ecuador – dimostrano la determinazione e la forza unitaria di cittadini e cittadine contro la disparità sociale, il capitalismo finanziario e le forme di governo antidemocratico.
La rapida presa del movimento sul cambiamento climatico e l’imponente mobilitazione dei giovani degli scioperi globali dei Fridays for Future propongono forme nuove e nuove opportunità di attivismo, assai abile a smascherare con linguaggi inediti il fallimento dell’attuale sistema economico e finanziario. Anche il riscaldamento della Terra riproduce l’atroce schema delle disuguaglianze; a pagare il prezzo più alto dell’alterazione del clima sono i popoli che meno hanno contribuito a determinarla. La de-finanziarizzazione è la sola strada verso la giustizia finanziaria. Questo il messaggio inequivoco di un rapporto presentato all’Onu in settembre per costruire e rafforzare la resistenza alla penetrazione degli attori finanziari in territori della vita umana che appartengono al diritto universale.
Le
diseguaglianze sono la ferita che marca il nostro tempo: attraversano
le nostre vite, abitano le nostre città, le comunità con cui siamo in
relazione. Insieme all’instabilità geopolitica e alle guerre, sono la
principale questione politica del presente, e abbracciano dimensioni
che via via emergono, nello studio del fenomeno. Le diseguaglianze sono
di natura economica, sociale, di genere, di appartenenza etnica,
definiscono la possibilità di accesso ai servizi di salute e
istruzione. Ma sono anche di carattere territoriale, nella
divaricazione di opportunità fra città e aree rurali, o addirittura
marginali. Sono generazionali: la nostra generazione ha consumato
ingordamente per decenni, finendo per mangiarsi il pianeta, mentre i
nostri figli devono vedersela con la minaccia di una sopravvivenza di
breve termine, su questa terra.
“Se si diffonde la sensazione che i benefici del capitalismo siano
distribuiti in modo iniquo, il sistema è destinato a crollare”
commentava Alan Greenspan in un’intervista nel settembre 2007. Ci siamo, a questo crinale decisivo. Eppure
si tratta di un passaggio frenato dalla strana non morte del
capitalismo neoliberista, le cui fattezze delineano una globalizzazione
che mantiene tenacemente, come unica regola, la totale assenza di
regole.L’integrazione economica mondiale ha avuto un effetto decisivo sulle dinamiche della disuguaglianza, sia a livello nazionale che globale, soprattutto a causa della deregolamentazione finanziaria e dell’indebolimento della sovranità statale. Di questo circolo vizioso delle disparità, una forbice che si allarga e apparentemente naturalizza condizioni di emarginazione economica da un lato e concentrazione esasperata di ricchezza dall’altro, si occupa il rapporto Spotlight on financial justice. Understanding global inequalities to overcome financial injustice (qui per scaricare il rapporto), che è stato coordinato da Society for International Development (SID), Christian Aid e Debt Observatory in Globalization. Il rapporto è stato lanciato a New York il 26 settembre, in coincidenza con la discussione della Assemblea Generale delle Nazioni Unite sul finanziamento per la agenda dello sviluppo (Financing for Development, FfD).
Con lo sguardo fisso su cinque aree tematiche fondamentali nella agenda dei diritti – 1. Cibo e terra; 2. Salute; 3. Diritti delle donne; 4. Diritto alla casa; 5. Infrastrutture – il rapporto rintraccia le dinamiche dello squilibrio nella distribuzione delle risorse, con il preciso intento di rafforzare il superamento della tradizionale narrazione sulla “riduzione della povertà”, tanto cara alle Nazioni Unite e a larga parte della società civile.
Preoccuparsi della povertà, sia chiaro, è giusto e importante. Ma rivolgere l’attenzione soltanto all’estremo inferiore della scala sociale significa, di fatto, mantenere inalterata l’attuale distribuzione personale di reddito e di ricchezza, e non guardare alla correlazione fra povertà e ingiustizia, violazione dei diritti e politiche fiscali. Secondo l’ex Segretario al Lavoro americano Robert Reich, la disuguaglianza si è imposta con tale forza da far vacillare crescita economica e democrazia nel mondo occidentale – non solo negli Stati Uniti. In questo senso, la organizzazione del pensiero intorno alle disuguaglianze descrive con maggiore accuratezza i collegamenti tra povertà e prosperità, esigenze di sviluppo e politiche sociali. E impone un ragionamento sulle regole del gioco, la governance economica e una emergente tendenza che il rapporto analizza con metodo, ovvero l’incontrollata espansione del settore finanziario, anche nella arena della agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
La finanziarizzazione, secondo il rapporto, è una delle leve più irriducibili e incontrollate del circolo vizioso della disuguaglianza; dalla crisi del 2008 in poi, ha ulteriormente fagocitato l’economia e la politica stratificando in larga misura le disparità. Mentre l’1% più ricco della popolazione detiene il 47% della ricchezza globale, l’insicurezza alimentare è in costante aumento da quattro anni, e colpisce più di 820 milioni di persone. Più di un miliardo e mezzo di persone non hanno accesso ad una abitazione decente.
La situazione è deprimente, siamo di fronte a un gigantesco sistema di ingiustizia, c’è poco da dire. Eppure, non possiamo non cogliere in questa tempesta perfetta l’opportunità di una convergenza fra i diversi movimenti e mobilitazioni impegnate sui vari fronti del mondo. Basti pensare, mentre scriviamo, ai molti movimenti sociali presenti a Ginevra per la quinta sessione del negoziato volto a conseguire un trattato vincolante per le imprese in materia di diritti umani – a superamento della insufficiente e volontaria responsabilità sociale di impresa (vedi qui Business & Human Rights Resource Center). Oppure alla settimana della FAO dedicata al Comitato per la Sicurezza Alimentare (qui il draft report). Per non parlare dell’inedito e potente sinodo sull’Amazzonia voluto da Papa Francesco.
Un senso di profonda insofferenza per il modo in cui viene “governato” il mondo si è radicato ovunque, non più solo fra le classi più emarginate. Questo sentimento sta per raggiungere il suo punto di non ritorno. Movimenti sociali come Occupy Wall Street (con la sua scia di proteste in 951 città di 82 Paesi nel Nord e Sud del mondo), gli Indignados/15M in Spagna, Nuit Debout a Parigi, e altri più recenti processi di attivazione popolare – pensiamo a Hong Kong e all’Ecuador – dimostrano la determinazione e la forza unitaria di cittadini e cittadine contro la disparità sociale, il capitalismo finanziario e le forme di governo antidemocratico. La rapida presa del movimento sul cambiamento climatico e l’imponente mobilitazione dei giovani degli scioperi globali dei Fridays for Future propongono forme nuove e nuove opportunità di attivismo, assai abile a smascherare con linguaggi inediti il fallimento dell’attuale sistema economico e finanziario. Anche il riscaldamento della Terra riproduce l’atroce schema delle disuguaglianze; a pagare il prezzo più alto della alterazione del clima sono già oggi i popoli che meno hanno contribuito a determinarla. Viceversa, le società maggiormente responsabili del consumo delle risorse limitate del pianeta sono meno esposte alle conseguenze future delle loro azioni.
- la necessità di comprendere a fondo le dinamiche della finanziarizzazione, cercando di evitare forme di possibile – e magari involontaria – complicità che possono determinarsi, nella misura in cui la finanziarizzazione sa assumere tratti benevoli e insidiosi nel nome dello sviluppo sostenibile, spesso depoliticizzando i fenomeni di ingiustizia globale;
- la opposizione a ogni meccanismo decisionale che eluda i legittimi spazi pubblici e democratici, spesso nel nome di “opportunità finanziarie” per far avanzare il progresso, come si dà nel caso del paradigma globale delle grandi opere;
- l’importanza di ridefinire regole contro la liberalizzazione della finanza, a partire dal rafforzamento delle banche centrali e la affermazione di politiche come la tassazione sulle transazioni finanziarie, il superamento dei paradisi fiscali, la lotta ai flussi illeciti di denaro;
- l’urgenza di democratizzare la governance economica globale. Sul piano mondiale, nello scenario da terza guerra mondiale a pezzi che viviamo, e con il rischio crescente di de-civilizzazione, come la definisce Timothy Garton Ash, la giustizia sociale e i diritti umani e ambientali devono formare il nucleo di riferimento per la rifondazione delle istituzioni internazionali e per avviare la riforma della governance dell’economia. Questo implica anche la creazione di nuovi strumenti (ad es. il trattato vincolante per le imprese) e di nuove istituzioni in grado di regolamentare con rapidità ed efficacia l’entropia finanziaria che porta il mondo alla distruzione (organismi globali sulle regole di tassazione delle imprese, etc.).
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