lunedì 7 ottobre 2019

Economia circolare in 5 punti: il rifiuto diventa risorsa e si riduce lo spreco. “Ecco cosa deve fare l’Italia per mantenere il primato europeo”.

La circolarità è stata citata nel discorso del premier Conte nel giorno della fiducia ed è inserita nel programma di governo. 
Ma cosa significa? Nel sistema economico lineare alla fine del ciclo, il prodotto diventa rifiuto. 
Questo concetto viene ribaltato tramite un percorso che parte dalla produzione, passa per i comportamenti dei consumatori, ha il suo compimento nella gestione dei rifiuti e delle materie prime seconde, e ha il suo motore nell'innovazione. 
L’Italia viene collocata al primo posto tra le 5 grandi economie del continente: "Ma ora serve una governance".

 Risultati immagini per economia circolareEstrazione, produzione, consumo, smaltimento.
L’economia lineare funziona così: alla fine del ciclo, il prodotto diventa rifiuto.
Oggi invece, guardando al futuro, si parla di economia circolare: l’ha nominata il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, durante il suo discorso al Parlamento per chiedere la fiducia, è citata nel programma del nuovo governo giallorosso.
” È necessario promuovere lo sviluppo tecnologico e le ricerche più innovative in modo da rendere quanto più efficace la ‘transizione ecologica‘ e indirizzare l’intero sistema produttivo verso un’economia circolare, che favorisca la cultura del riciclo e dismetta definitivamente la cultura del rifiuto“, si legge al punto numero 7 del testo stilato da Pd e M5s.
Alla base dell’economia circolare c’è proprio questo concetto, che ribalta la concezione del modello lineare: l’obiettivo è creare un sistema in cui tutte le attività del ciclo produttivo siano organizzate per far sì che i rifiuti diventino nuove risorse.
La circolarità di un sistema economico si misura quindi nella capacità di utilizzare materiali in più cicli produttivi, per ridurre al minimo gli sprechi, e più essere applicata a tutti i settori dell’economia di un Paese.

L’Italia ha già oggi uno dei punti di forza nella circolarità, frutto di “una lunga tradizione come approccio e modo di fare impresa che si sposa con i principi dell’economia circolare”, spiega Roberto Morabito, direttore del Dipartimento sostenibilità di Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile). L’Agenzia coordina la Piattaforma italiana per l’economia circolare (Icesp) nell’ambito del pacchetto di misure introdotte dall’Unione europea nel 2015. E ha collaborato alla stesura del rapporto del Circular economy network sull’economia circolare in Italia del 2019, il primo che ha tentato di “misurare” la circolarità. L’Italia viene collocata al primo posto tra le 5 grandi economie europee, davanti a Regno Unito, Germania, Francia e Spagna. Anche se non mancano le criticità. Soprattutto, spiega Morabito, per quanto riguarda gli investimenti, pubblici e privati: “Serve una governance in grado di mantenere questo vantaggio di competitività italiano”, avverte. La valutazione del Cen si basa sui risultati raggiunti dai Paesi in 5 macro-aeree: produzione, consumo, gestione dei rifiuti, materie prime seconde, innovazione. Sono anche i 5 aspetti cardine dell’economia circolare.

 

Produzione: meno materia ed energia.

I processi di produzione incidono sull’approvvigionamento delle risorse, sul loro uso e sulla generazione di rifiuti durante l’intero ciclo di vita del prodotto. Per questo l’Eurostat ha sviluppato un indicatore che misura il rapporto fra il prodotto interno lordo (Pil) e il consumo materiale interno (Dmc), ovvero la quantità totale di materia prima direttamente consumata al livello nazionale. In questo modo è possibile calcolare qual è la produttività delle risorse in un Paese, quindi quanto Pil genera un chilogrammo di risorsa consumata.In questo senso, l’Italia si posiziona tra i primi Paesi europei per valore economico generato per unità di consumo di materia: nel 2017 il rapporto era di 3 euro di Pil per ogni kg, contro una media europea di 2,24 e valori tra 2,3 (Germania) e 3,6 (Regno Unito) in tutte le altre grandi economie europee. Il nostro Paese è favorito dall’essenza stessa del made in Italy, capace di creare valore economico a partire da asset immateriali: design, qualità dei materiali, immagine dei prodotti, innovazione, sartorialità. Per i produttori, il raggiungimento di target qualitativi più alti significa ripensare il processo produttivo, spesso in ottica green. Ciò che contraddistingue un produzione circolare è un ridotto impatto ambientale durante l’intero ciclo di vita del servizio e del prodotto che si offre.
Oltre alle materie prime, l’efficienza nell’utilizzo delle risorse vale anche in termini di energia utilizzata. Riduzione dell’impatto ambientale, contenimento delle emissioni atmosferiche, energia pulita: sono tutti concetti che definiscono la circolarità di un’economia. Quando si parla di produttività energetica, ci si riferisce quindi al consumo interno lordo di energia, anche in questo caso in rapporto al Pil. L’Italia ha la sesta miglior performance in Ue (dati 2016). Ma, in questo caso, altrettanto importante è la quota di energia rinnovabile utilizzata rispetto al consumo totale di energia, così come l’intensità delle emissioni di gas serra generate. La sfida per il futuro, in linea con gli accordi di Parigi, è infatti quello di continuare a fornire energia a numero crescente di persone riducendo le emissioni di Co2 del 45 per cento.

 

Consumo: ruolo dei cittadini e sharing.

Centrale nello sviluppo di un’economia circolare efficiente è anche il ruolo dei cittadini: in particolare, la scelta di modelli di consumo che promuovano una maggiore autosufficienza delle materie prime, aumentino il ciclo di vita dei prodotti e diminuiscano la produzione di rifiuti. Secondo i dati Eurostat, i consumi di materia hanno registrato un calo di circa il 16% nell’ultimo decennio in Europa (2008-2017): l’Italia ad oggi si colloca al quinto posto. Allo stesso modo, anche se più lentamente, è diminuito anche il consumo finale di energia nel Vecchio Continente. Il dato è peggiore se ci si concentra sul consumo domestico, quindi dei cittadini: dal 2007 al 2016 la diminuzione si aggira solamente intorno all’un per cento.Lo sviluppo dell’economia circolare può essere favorito anche dalla sharing economy: quindi utilizzare prodotti e servizi anziché possederli. In Italia questo modello è ancora un’eccezione e si sta sviluppando soprattutto nei trasporti e nel settore degli imballaggi. Ma anche la raccolta di vestiti usati può essere un modo per evitare lo spreco di risorse: ad oggi, infatti, la maggior parte degli indumenti a fine vita finiscono in discarica. L’Italia ha un elevato consumo di prodotti tessili, ma ancora un basso tasso di raccolta e riutilizzo. Un altro metodo che possiede il consumatore per ridurre la produzione di rifiuti è quello della riparazione: in questo caso il ciclo di vita di un prodotto viene prolungato reimpiegandolo per la stessa finalità per la quale era stato concepito.

Gestione rifiuti: metro della circolarità

La gestione dei rifiuti è il metro per misurare il funzionamento di un’economia circolare. Il primo obiettivo è produrne di meno e meno pericolosi. È la parte legata alla prevenzione, che dipende in gran parte da una maggiore efficacia dei processi di produzione e da una maggiore consapevolezza del consumatore sulle possibilità per allungare il ciclo di vita di un prodotto (gli aspetti analizzati nelle precedenti schede). Per misurare quanto si è vicini a questo obiettivo, un indicatore è quello che misura la quantità di rifiuti urbani prodotti per numero di abitanti. Si tratta dei rifiuti generati dalle famiglie, dalle attività commerciali, dagli uffici e dalle istituzioni pubbliche. L’Italia, spiega il rapporto sull’economia circolare in Italia del 2019, ha valori storicamente in linea o leggermente superiori alla media Ue.Il secondo obiettivo in una gestione dei rifiuti circolare riguarda il loro riutilizzo o il riciclaggio dei materiali che lo compongono. Se non è possibile, il passaggio successivo è il recupero di alcune parti, anche se per scopi diversi da quello originale. L’altra opzione può essere la conversione in energia termica o elettrica. Tutto questo serve a ridurre al minimo la parte di rifiuti destinata allo smaltimento. Nel dicembre 2015 la Commissione europea ha presentato un piano d’azione sull’economia circolare adottato nel maggio 2018: tra gli obiettivi ci sono il 65% di riciclaggio dei rifiuti urbani entro il 2035, il 70% per il riciclaggio dei rifiuti d’imballaggio entro il 2030, la riduzione del collocamento in discarica a un massimo del 10% dei rifiuti urbani entro il 2035 e l’obbligo di raccolta differenziata per i rifiuti organici entro il 2023 e per i rifiuti tessili e i rifiuti domestici pericolosi entro il 2025.La percentuale di riciclaggio dei rifiuti urbani fornisce un significativo indice riguardo la capacità di un sistema di consumo e di produzione di convertire in una nuova risorsa i rifiuti generati dai consumatori. L’Italia è migliorata nell’ultimo decennio, raggiungendo nel 2016 il livello medio dell’Ue, come racconta il rapporto sull’economia circolare in Italia, ma resta ancora indietro rispetto ai livelli già oltre il 60% raggiunti in Germania. Se si considerano invece tutti i rifiuti, il tasso di riciclaggio italiano è stato finora superiore alla media Ue e a quello dei grandi Paesi europei.

Le materie seconde e l'End of Waste


Le materie prime seconde sono i materiali derivati dal recupero e dal riciclaggio dei rifiuti, oppure dall’insieme dei residui di lavorazione delle materie prime. È il momento in cui il rifiuto, invece che terminare il proprio ciclo di vita – come succede nell’economia circolare – viene reintrodotto all’inizio della catena produttiva. L’uso di materie prime secondarie, spiega il rapporto sull’economia circolare, può aiutare a migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento, ridurre l’utilizzo di risorse naturali e di conseguenze l’impatto sull’ambiente. Il ricorso a materie secondo rispetto alle materie prime può contribuire alla circolarità non solo di un’economia nazionale, ma anche a livello europeo, per esempio. Le materie seconde infatti possono essere importate ed esportate, esattamente come avviene per le materie prime.Nel settore delle materie seconde – quindi proprio nel riutilizzo di sfridi di lavorazione e rifiuti – l’Italia si colloca al terzo posto, dietro Francia e Regno Unito. I dati raccolti nel rapporto sull’economia circolare mostrano infatti che il sistema produttivo italiano è capace di valorizzare il materiale riciclato e che quindi ne esiste una domanda. Ma, allo stesso tempo, non siamo in grado di soddisfare questa domanda mediante una maggiore valorizzazione dei rifiuti sul nostro territorio.Dal punto di vista normativo, una delle maggiori criticità ad oggi è rappresentata dalla normativa sulla cessazione della qualifica di rifiuto (End of Waste), ovvero il processo di recupero al termine del quale un rifiuto non viene più definito tale, ma diventa appunto materia prima seconda da poter mettere in commercio. Riguarda materiali come il polverino da pneumatici, il pastello di piombo, le plastiche miste, la carta da macero, il pulper (scarto dell’industria cartaria), ma anche il vetro sanitario, la vetroresina, i rifiuti da spazzamento stradale, gli oli alimentari esausti, le ceneri da altoforno, i materiali tessili e i residui da acciaieria. Nella legge di conversione del decreto Sblocca cantieri approvata dal Senato a luglio, per regolare l’End of Waste ci si rifà al decreto ministeriale del 5 febbraio 1998. Che però non è mai stato aggiornato. Il governo nei giorni scorsi ha annunciato un emendamento al decreto sulle crisi aziendali che per il rilascio delle autorizzazioni rimanda direttamente alla direttiva europea 98/2008. Nella relazione che accompagna l’emendamento a prima firma Moronese si sottolinea come “nel contesto dell’economia circolare, l’istituto dell’End of Waste deve trovare massima diffusione in quanto rappresenta una misura concreta per realizzare ‘una società del riciclo e recupero'”. Secondo Unicircular però il meccanismo autorizzativo previsto sarà “particolarmente lungo e complesso”.



Innovazione: motore della transizione.


Un altro elemento fondamentale è l’innovazione: di fatto, il motore che permette la transizioni verso la circolarità. L’innovazione, attraverso la ricerca e lo sviluppo, permette di realizzare prodotti di alta qualità, riutilizzabili, riciclabili e di migliorare l’impatto dei processi produttivi. L’indice di eco innovazione, così come calcolato nel rapporto sull’economia circolare in italia, tiene conto di cinque dimensioni: input di eco-innovazione, attività di eco-innovazione, risultati di eco-innovazione, efficienza delle risorse e risultati socio-economici (occupazione e crescita).
L’attività di eco-innovazione riguarda la conoscenza generata da aziende e ricercatori sull’eco innovazione, quindi brevetti, pubblicazioni accademiche e copertura mediatica. L’Italia ha buone performance invece soprattutto nel campo dell’efficienza delle risorse, dove è davanti a Francia, Regno Unito e Spagna. Ma è carente per quanto concerne gli input, quindi gli investimenti: risulta al 16esimo posto in Ue. Il rischio quindi è che il nostro Paese viva di rendita, interrompendo però la transizione verso un’economia circolare.Roberto Morabito, direttore del Dipartimento sostenibilità di Enea, suggerisce la necessità di “dotarsi di una strategia nazionale sinergica sull’economia circolare”, come già hanno fatto Austria, Belgio, Francia, Grecia, Regno Unito, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Slovenia e Spagna. Ma anche, sul modello di Germania e Regno Unito, dotarsi di “un braccio tecnico, ovvero di un’agenzia nazionale per l’uso efficiente delle risorse. Un’agenzia servirebbe per tre ragioni: dare supporto alle imprese, alle istituzioni e fare formazione verso il cittadino. Enea è stata candidata (e si è candidata) per svolgere questo ruolo ed è pronta a dare la sua disponibilità”, spiega Morabito.
In qualità di coordinatore della Piattaforma italiana per l’economia circolare, Enea ha individuato le filiere italiane rispetto alle quali in cui c’è più margine di azione. In questo senso, promuove e sviluppa nuove tecnologie nell’ambito dell’eco-innovazione: “Ad esempio, un impianto pilota per il recupero di materie prime seconde, in particolari metalli critici da rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Ci sono buone possibilità che nell’immediato futuro venga realizzato un primo impianto basato su questa tecnologia di tipo idrometallurgico, sostenibile”, racconta Morabito. È in programma inoltre la realizzazione di una piattaforma tecnologica ad uso delle imprese “per lo sviluppo di tecnologie per il recupero di prodotti complessi a fine vita (telefoni cellulari, pannelli fotovoltaici, lampade a fluorescenza). Ma anche – conclude Morabito – lo sviluppo di nuovi compositi a matrice polimerica con fibre di basalto per la realizzazione di componenti per l’industria automobilistica, che potrebbero avere una riciclabilità totale”.

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