Nel febbraio del 1968 Louis Althusser partecipa al seminario di Jean Hyppolite con una comunicazione sul rapporto tra Hegel
e Marx.
I punti intorno ai quali ruota il suo discorso sono tre:
1) la
lettura di Hegel (umanista) fatta da Feuerbach;
2) l’anti-umanesimo
della dialettica di Hegel;
3) la teleologia della dialettica hegeliana.
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Feuerbach ha avuto una grande influenza sui giovani radicali hegeliani. Li salvò dalle contraddizioni insolubili nelle quali erano immersi, fornendo loro una teoria dell’alienazione dell’uomo. Questa teoria ha avuto molto successo. Lukács la innestò sulle analisi sociologiche di Weber; e tale arrivò, tramite la Scuola di Francoforte, siano ad oggi.
Nell’Essenza del Cristianesimo, Feuerbach, dice Althusser, realizzò lo sforzo prodigioso di mettere fine alla filosofia classica tedesca, di buttar giù (più precisamente di «capovolgere») Hegel, l’ultimo dei filosofi, in cui si riassumeva tutta la sua storia, con un filosofia retrograda, in rapporto alla grande filosofia idealista tedesca.
Con Feuerbach, dice, dal 1810 si ritornò al 1750, dal XIX secolo al XVIII secolo.
Ottenebrato dalla sua ossessione per l’Uomo e per il Concreto, Feuerbach immise in Hegel e nel suo sistema qualcosa che non c’era: l’Uomo.
Il sistema hegeliano, dice Althusser, non poggia assolutamente sull’Uomo, né sulla sua testa, né sui suoi piedi. Dunque, non si tratta di capovolgere Hegel, di riportare in Terra ciò che lui aveva messo in Cielo.
Come aveva osservato Hyppolite, dice Althusser, nulla è più estraneo al pensiero di Hegel di questa concezione antropologica della Storia. Per Hegel, dice, la Storia è certamente un processo di alienazione, ma questo processo non ha l’uomo come Soggetto.
Il processo di alienazione, dice Althusser, non è, come lo vorrebbe tutta una corrente della filosofia moderna che «corregge» e «impoverisce» Hegel, proprio della Storia umana. Dal punto di vista della storia umana, il processo dell’alienazione è già da sempre incominciato. Ciò significa che, se si vogliono prendere le parole sul serio, in Hegel, la Storia è pensata come un processo di alienazione senza soggetto, o un processo dialettico senza soggetto. In Hegel l’uomo non è origine di niente. Di più. In Hegel è l’idea stessa di origine che è messa in questione.
Il Sistema (Logica), nota giustamente Gadamer (1971), non può iniziare con la distinzione tra sapere e saputo, tra identità e differenza, tra soggetto e oggetto, eccetera, in quanto, voler iniziare con una di queste distinzioni, significa presupporre sia l’identità che la differenza. Per non cadere in un regresso infinito, bisogna conquistare una posizione anteriore alla differenza tra sapere e saputo. Tuttavia, se si risale oltre la differenza tra sapere e saputo, si pone il problema di come avviare questo Sistema.
Già durante la sua vita, dice Gadamer, gli avversari di Hegel, e primo e più importante tra tutti Schelling, hanno discusso il problema di come nella Logica possa iniziare e andare avanti un movimento delle idee. Hegel, dice, risolve questo problema in maniera rigorosa.
Ora, si chiede Gadamer, se l’essere come l’immediato indeterminato deve porsi come il cominciamento della logica, può sembrare comprensibile che un essere così astratto sia il nulla, ma come si può comprendere poi che da questo essere e nulla inizi il processo verso il divenire?
Non si può immaginare il movimentano senza una forza e una resistenza, ma nell’essere immediato e indeterminato non c’è ancora alcuno sdoppiamento, alcuna differenza che consenta appunto il passaggio da A a B.
Allora, chiede ancora Gadamer, come inizia il movimento della dialettica a partire dall’Essere?
Non è per nulla persuasivo, dice Gadamer, che, quando si pensa l’essere che è nulla, si debba pensare anche il processo del divenire. Qui viene asserito un passaggio a cui manca quella comprensibilità che si riconosce come la necessità dialettica. Così si può certamente comprendere che dal pensiero del divenire si debba procedere al pensiero dell’esserci determinato. Ogni divenire è il divenire di qualcosa, che poi tramite il suo essere divenuto «c’è». È insito nel senso stesso del divenire che esso trovi la sua determinatezza in ciò che alla fine è divenuto. Cosa del tutto diversa è però il passaggio dall’essere e nulla al divenire. Si tratta proprio di un passaggio dialettico nel medesimo senso? Hegel stesso, dice, sembra segnalare questo caso come un caso speciale, quando osserva che essere e nulla sono solo diversi nell’opinare. Questo significa che entrambi, pensati puramente per se stessi, non sono distinguibili l’uno dall’altro.
Questa precisazione è importante. Tra opinare e opinato non c’è alcuna differenza – non bisogna lasciar alcun dubbio su ciò. Se Hegel parla della differenza tra essere e nulla come di una differenza che sta solo nell’opinare, non vuole certamente porre da una parte l’opinare e dall’altra parte «l’essere e il nulla» come suo opinato. Tra l’opinare e il realmente pensato e detto non c’è alcuna differenza. All’inizio della Logica, finché ci si trattiene presso l’essere e il nulla come l’indeterminato, non ha ancora avuto inizio il pensare che è il determinare. Il pensare vero e proprio segue quest’altro inizio. In ciò è implicito, dice Gadamer, che il senso del processo che conduce al divenire non può essere quello della progressiva determinazione dialettica. Se la differenza tra l’essere e il nulla dal punto di vista della determinatezza del pensiero è la loro completa indifferenziazione, la domanda di come dall’essere e dal nulla venga fuori il divenire non ha più significato. Poiché una tale domanda implica che ci sia un pensare che per così dire non avrebbe ancora iniziato a pensare. Essere e nulla, per il fatto che sono pensieri per il pensare, sono tanto poco determinazioni di esso che Hegel può dire espressamente che l’essere è il vuoto intuire, ovvero il vuoto pensare stesso, ed altrettanto il nulla. «Vuoto», dice Gadamer, non significa che qualcosa non è, quanto piuttosto che vi è qualcosa che non contiene ciò che propriamente dovrebbe essere, qualcosa a cui manca ciò che esso può essere. Il vuoto pensare è allora un pensare che non è ancora affatto ciò che è il pensare. «L’Essere passa nel nulla e il Nulla nell’Essere», dice, è allora una maniera di esprimersi insostenibile, poiché così si presupporrebbe un essere già esistente che sarebbe diverso dal nulla.
Ma se si legge Hegel attentamente, dice, si nota che neanche lui parla di un tale passaggio. Egli dice piuttosto che Ciò che è la verità non è né l’essere né il nulla, quanto piuttosto il fatto che l’essere nel nulla e il nulla nell’essere è già sempre stato: questo passaggio è sempre «perfetto». Diventa del tutto chiaro quel che con ciò si intende, se si vede come Hegel esamina nel divenire i momenti del sorgere e passare. Il concetto del divenire acquista determinatezza in quanto il divenire si determina come passaggio di qualcosa. È una falsa seduzione il voler pensare questa prima determinazione del divenire in base al presupposto della differenza di essere e nulla, e cioè a partire dall’essere determinato che Hegel chiama «esserci» (Dasein), a partire dall’esserci come passare o in vista dell’esserci come sorgere. Perché proprio l’essere a partire da cui, o verso cui scorrerebbe il movimento del divenire, «è» soltanto per il fatto che si determina questo scorrere verso di esso. Poiché essere e nulla guadagnano la loro realtà solo nel divenire, nel divenire stesso come mero passare «da – a» non si determina reciprocamente né l’uno né l’altro. La prima verità del pensiero è effettivamente: il divenire non si determina come sorgere e passare dalla differenza indicata tra essere e nulla, quanto piuttosto nel pensare la determinazione del divenire come passare vien fuori in esso questa differenza. In esso «diviene» l’essere ovvero il nulla.
Come sopravviene dunque il movimento all’Essere?
Nell’Essere, dice Gadamer, il movimento non c’è. L’Essere è il semplice indeterminato. Affinché ci sia movimento deve darsi il determinato, ovvero il questo e il quello. L’essere e il nulla non devono essere intesi come l’essente, che è già al di fuori del pensare. Chi domanda «Come entra in movimento l’essere?» dovrebbe ammettere di astrarre dal movimento del pensare in cui già si trova con il suo domandare.
Dunque, il passaggio dall’Essere all’esserci è già sempre stato. Non c’è altro modo di intendere il passaggio all’esserci che come un passaggio che precede il passaggio. Se questo passare è alienazione, essa è ciò che avvia, è l’avviamento stesso, dal quale qualcosa come il soggetto e l’oggetto, il pensare e il pensato, l’uomo e la natura, possono dispiegarsi.
Non è l’Uomo che è all’origine dell’alienazione, semmai è l’alienazione che è all’«origine» dell’uomo. All’origine – ma questa origine andrebbe sospesa – vi è sempre l’Assoluto, assoluto che si dilacera, entra in dialettica, si aliena.
Per Hegel, dice Althusser, il processo di alienazione non «comincia» con la Storia (umana) poiché la Storia stessa si avvia a cosa fatte. Resta allora la formula: la Storia è un processo senza soggetto. Questa categoria del processo senza soggetto, che bisogna senz’altro sradicare dalla teleologia hegeliana, rappresenta senza dubbio, dice, il più alto debito storico che lega Marx a Hegel.
So bene che, dice Althusser, alla fine, in Hegel c’è un soggetto a questo processo di alienazione senza soggetto. Ma è un soggetto davvero strano sul quale si dovrebbero fare importanti osservazioni: questo soggetto è la stessa teleologia del processo: è l’Idea nel processo di auto-alienazione che la costituisce come Idea.
Se vogliamo cercare ciò che tiene il posto del «Soggetto» in Hegel, dice Althusser, occorre cercarlo nella natura teleologica di questo processo, nella natura teleologica della dialettica: il Fine è già là nell’Origine. È anche per questo, dice, che in Hegel non c’è origine né (ciò che non è mai se non il fenomeno) inizio. L’origine, indispensabile per la natura teleologica del processo (poiché essa non è che il riflesso del suo Fine), deve essere negata nel momento in cui è affermata, perché il processo di alienazione sia un processo senza soggetto.
In Hegel, l’inizio – che non è un inizio; se fosse tale si cadrebbe nel cattivo infinito – è l’indeterminato. Indeterminato vuol dire che non c’è alcuna posizione, dunque nessuna opposizione. Non c’è forza e contro forza, spinta (trieb), pulsione e repulsione. Non c’è processo, non c’è storia, non ci sono soggetto e oggetto. L’inizio è assoluto – è libero. Una libertà che non ha cognizione di se stessa, perché c’è perfetta coincidenza e presenza a sé del presente. Nessuna dilazione o attesa, promessa, preghiera. Non c’è soggetto.
Non bisogna pensare questo inizio nei termini di una accadimento temporale, ma bisogna pensarlo nei termini di ciò che è sempre già accaduto, o di ciò a partire da cui – ma, come si intuisce, questa espressione è inadeguata, perché presuppone già dato il tempo o il punto a partire dal quale questo «a partire da» parte – il tempo o la storia sono sempre in ritardo o in anticipo.
L’assoluto si dilacera, si sdoppia – si aliena – a partire non da una forza o da un urto, ma piuttosto da una spinta interna, né sincronica né diacronica, forse anacronica. Il travaglio dello sdoppiamento del medesimo in sé e nell’altro da sé – nel sé e nella sua negazione (determinata) – si conclude (finisce) nella negazione di ciò che, essendo determinato, negava il sé, limitandone la libertà. Il toglimento di questo limite – negazione della negazione – si conclude con il ripristino della libertà assoluta, arricchita del travaglio della negazione determinata.
Alla fine si ritrova quell’assoluto che era all’inizio. Chi porta il peso del travaglio è l’alienato, chi diventa corpo e carne, e dunque storia e cultura, è ancora l’alienato.
La teleologia non si aggiunge dall’esterno. La teleologia si dispiega nella dilacerazione: il medesimo diventa unità di sé e di se stesso differito.
Ora, dice Althusser, può cominciare a chiarirsi lo strano statuto della Logica di Hegel, ovvero della scienza del processo di alienazione senza soggetto, il concetto del processo di auto-alienazione. Il soggetto di questo processo senza soggetto è il processo stesso.
L’origine, indispensabile alla natura teleologica del processo, in quanto in un processo teleologico ciò che si trova alla fine è ancora l’origine; l’origine, in un processo senza soggetto, deve essere negata nel momento stesso in cui è affermata. Questa esigenza implacabile, dice Althusser, (affermare e nello stesso tempo negare l’origine), è stata assunta da Hegel in modo cosciente nella sua teoria dell’inizio della Logica: l’Essere è immediatamente non-Essere. L’inizio della Logica è la teoria della natura non originaria dell’origine.
Nella teleologia, dice Althusser, risiede il vero soggetto hegeliano. Togliete, se possibile, la teleologia, resta questa categoria filosofica che Marx ha ereditato: la categoria del processo senza soggetto. Ecco il debito principale positivo di Marx nei confronti di Hegel: il concetto del processo senza soggetto. Tale concetto sostiene tutto quanto Il Capitale. Marx ne era perfettamente cosciente.
Prima di concludere il suo intervento al seminario di Hyppolite, Althusser assesta un colpo allo strutturalismo, ripetendo ciò che era già stato detto nel 66, in un importante colloquio a Baltimora, al quale aveva partecipato ancora una volta Jean Hyppolite.
Althusser, Lenin e la filosofia, 1968
Gadamer, L’idea della logica Hegeliana, in La dialettica di Hegel, 1971
* da http://www.coku.it
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