Può
sembrare paradossale perché, a parole, in Italia sono tutti favorevoli
al riciclo dei rifiuti, per tante ragioni: fa bene all’ambiente e
contribuisce a tenere pulite le città, i territori e i mari; consente di
recuperare materiali da reimpiegare risparmiando materie prime ed
energia e quindi anche emissioni di gas serra; ha creato numerose
imprese e molti posti di lavoro; riduce il ricorso alle discariche e
agli inceneritori.
Una
recente norma, tuttavia, sta ostacolando seriamente il riciclo dei
rifiuti non consentendo i riconoscimento della qualifica di prodotto -
facendo cessare quella di rifiuto -per molti materiali generabili con
processi di trattamento dei rifiuti. È ovvio che se si blocca tale
riconoscimento, si blocca il riciclo perché non si fanno trattamenti di
riciclo di rifiuti per generare solo altri rifiuti da smaltire.
Con la modifica il comma 3 dell’art.184 ter del DLgvs 152/2006, introdotta nella legge n. 55 del 14 giugno 2019
di conversione del decreto “Sblocca cantieri”, in materia di cessazione
della qualifica di rifiuto (End of Waste), sono state, infatti,
congelate le attività di riciclo a tipologie di rifiuti, tecnologie di
trattamento e tipi di prodotto, previste e regolate oltre 20 anni fa,
bloccando le numerose attività e possibilità di riciclo che nel
frattempo sono cresciute, con grave ostacolo allo sviluppo dell’economia
circolare e alla gestione ambientalmente corretta di molti rifiuti .
L’elenco
è lungo e comprende diverse tipologie di rifiuti, tecniche di riciclo e
prodotti: dai rifiuti inerti da costruzione e demolizione per
realizzare aggregati riciclati ad alcune attività di riciclo degli
pneumatici, da alcuni trattamenti dei rifiuti da apparecchiature
elettriche ed elettroniche fino ai rifiuti da spazzamento stradale, da
alcuni trattamenti di rifiuti di imballaggio fino ad alcuni materiali
ottenuti da trattamenti intermedi. L’allarme è esteso e la critica delle
organizzazioni delle imprese del riciclo a tale disposizione è unanime.
Si
attende un nuovo intervento urgente del Parlamento per rimediare a tale
grave incidente normativo. La soluzione del problema, aperto da una
sentenza del Consiglio di Stato del febbraio dello scorso anno, è
abbastanza semplice e a portata di mano.
Basterebbe recepire l’art.6 della nuova Direttiva europea 2018/851
che prevede la possibilità di affidare alle Regioni, in assenza di
decreti nazionali - nel pieno rispetto sia delle condizioni, sia dei
criteri dettagliati, comuni per tutte le Regioni e non derogabili,
precisamente scritti in tale articolo - di integrare le autorizzazioni
caso per caso, relative alle attività di gestione dei rifiuti delle
quali sono titolari nel nostro ordinamento, anche della competenza in
materia di cessazione della qualifica di rifiuto.
Con
un nuovo provvedimento urgente si potrebbe sostituire la norma citata
con il testo dell’art.6 della nuova Direttiva e con l’istituzione di un
registro nazionale, accessibile e controllabile, dove siano raccolte
tutte le autorizzazioni regionali End of Waste.
Nell’elaborazione
di una nuova norma ambientale sarebbe bene consultare anche chi la deve
applicare: principio sempre valido, ma in questo caso imprescindibile
per evitare il rischio di nuovi errori.
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