Trasmissioni
di approfondimento politico. Editoriali fiume. Tabloid che ospitano
eccelse firme del giornalismo, soprattutto sinistrese. Commentatori,
analisti, opinionisti à la page. Tutti impegnati nel sacro compito di spiegarci la politica, i fatti del mondo e le società in cui viviamo.
Tutti impegnati, a dire il vero, nell’ingannevole – ma, a ben considerare, soprattutto auto-ingannevole – missione di indirizzare e manipolare le coscienze di cittadini che, dall’alto del proprio sentimento elitario, erroneamente si considera sprovveduti e bisognevoli di illuminate menti raziocinanti.
Sui giornali, in televisione o – ultimo fronte della battaglia delle ideuzze – attraverso post e tweet sui social media.
Studi di settore e sondaggi, commissionati a più riprese, che si riducono a null’altro che doxa spacciata per scienza.
Scienza borghese e – per citare un caposaldo della letteratura operaista: Operai e Capitale –
talmente in crisi da non riuscire più a cogliere le dinamiche
intrinseche a quel mondo che essa stessa ha edificato.
Scienza borghese
assunta, ormai da più di quarant’anni – e qui risiede il vero paradosso
distorsivo – a paradigma teoretico anche dagli intellettuali di presunta
formazione marxista.
Ceto sociale ormai a sé stante. Nuova categoria kantiana del pensiero postmoderno, composta da insopportabili e boriosi parvenu che, pur di accreditarsi con autorevolezza presso
i loro padroni – i quali, aspetto non secondario, li ricompensano con
lauti stipendi – per gratificare il loro Ego tracimante e riempire una
tasca mai sazia, smerciano droga sotto forma di parole e concetti.
Parole e concetti con una composizione chimica talmente elevata, che l’altissimo livello di tossicità finisce con il conferire loro le caratteristiche metafisiche di un’allucinatoria e insindacabile Verità. Con il prevedibile e misero risultato che, al risveglio, l’illusione è svanita, il disorientamento è tanto, mentre l’ebbrezza egomaniaca ha lasciato il posto al cocciuto e incontestabile dato di fatto!
Insomma, i cosiddetti intellettuali di “sinistra” – o opinion leader che dir si voglia – al soldo della grande stampa e dell’informazione
mainstream, da anni hanno perso il rapporto con quello che,
comunemente, viene definito il mondo reale. Ed è per questo che, a
ridosso delle diverse tornate elettorali (il 26 Maggio ci saranno le
europee) non azzeccano più una previsione o un’analisi dei flussi di
voto.
Figurarsi, poi, se ci si può aspettare ponderate, solide e articolate riflessioni circa la mutata struttura sociale o la evidente riconfigurazione delle classi, in essa sussunte e agenti.
In altre parole, per intenderci, gli intellettuali alla Federico Rampini (ma ne potremmo citare altri: dai Gramellini alla Berlinguer, a Michele Serra) chiusi nella torre eburnea dei loro attici “culturali”, prima ancora che abitativi, sono da anni fallimentari nelle analisi sociali, politiche ed economiche, perché, invece di elaborare considerazioni scientifiche, che riflettano marxianamente la realtà – considerato che, per gran parte, si tratterebbe di intellettuali apparentemente di formazione marxista – fanno dei loro desideri soggettivi e delle loro contorte elucubrazioni “senza onestà” (mi sia consentita la citazione tolta a Pino Daniele: altro che economisti post-post-post marxian-modernisti!) per di più al soldo dei media padronali, lo specchio rotto entro cui rifrangere un “reale” scassato, certo, ma che si pretenderebbe di riaggiustare con la sola forza del pensiero.
Ma i fatti – come sappiamo bene – hanno la capoccia durissima. E, quindi, i risultati sono quelli che tutti conosciamo.
Così, per fare solo due esempi tra i più lampanti, tanto sulla
Brexit quanto per le precedenti elezioni in Usa, il fallimento delle
loro analisi e delle loro previsioni è stato clamoroso.
Negli Stati Uniti – come del resto in Uk – nulla capirono dell’esito che avrebbe prodotto il voto presidenziale, con l’elezione di Trump. I grandi politoligi, gli analisti e tutti i sondaggisti di sinistra, infatti, davano Hilary Clinton vincente.
Lì dove sarebbe bastato, invece, uscire dai ghetti intellettuali o dalle redazioni,
o dalle loro case sulla Fifth Avenue, o abdicare anche solo per un
attimo alle aspirazioni riformatrici/riparatrici del mondo – che, per
inciso, si dovrebbe, inspiegabilmente, piegare ai loro presuntuosi
voleri – recarsi un attimo nelle periferie di quell’America profonda,
proletaria e operaia (dai confini col Mexico alla Rust Belt) per capire
che la working class statunitense avrebbe votato Trump. Così come quella stessa working class britannica ha votato, a pieno diritto, per la Brexit.
E l’operaio italiano, con la tessera Fiom in tasca, vota Lega. Come vota Lega una parte dei ceti popolari meridionali.
Uno scandalo? Nient’affatto. Semplice, naturale riconfigurazione degli equilibri sociali e dei
rapporti di classe, nell’ambito del capitale e dei sui rapporti di
produzione: invariati ma ridisegnati su logiche finanziarie ben più hard
rispetto al passato.
Insomma, in poche parole, gli effetti della globalizzazione – che la stessa sinistra, negli anni ’90, aveva voluto mascherare da sorta di internazionalismo mercantile – e della conseguente finanziarizzazione dell’economia, con il trionfo assoluto del libero mercato, abbracciato con passione dai liberal
e baciato, seppur timidamente, sulle guance dalle sinistre sedicenti
radicali (che abiuravano progressivamente la Lotta di Classe in favore
dei soli, benché importanti, Diritti Civili), hanno prodotto nel tempo
l’inevitabile conseguenza: ceti popolari che non trovano più nella
“sinistra” alcun approdo o argine al loro progressivo impoverimento.
Trovando rifugio, invece, nell’illusione dei “porti chiusi” da quelle
destre dense di oscure pulsioni razziste, xenofobe, sessiste,
nazionaliste e demagogico-populiste. Capaci però di indirizzare e
declinare, a loro modo e con la loro cultura reazionaria, la rabbia
popolare.
Processi che, d’altra parte, si sono sempre verificati nel corso della Storia. Basterebbe rileggere Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, per fare solo un titolo.
Il
sottoscritto, per inciso, che è un signor nessuno, quella vittoria di
Trump l’aveva prevista con largo anticipo. Un anno prima, addirittura.
Sarebbe sufficiente, in altri termini,
esercitare il libero pensiero e un minimo di metodo scientifico,
accompagnato da un sano esercizio di critica e di oggettività
nell’approcciare alle variabili del mondo, per coglierne nessi profondi e
bruschi smottamenti.
Altrimenti, invece di fregiarsi dell’altisonante e tronfio titolo di intellettuali,
o di esercitare le altamente remunerative professioni di opinionisti ed
editorialisti, si potrebbe tornare – seguendo l’esempio del caro
vecchio Mao – alla terra. Che di questi tempi ha tanto bisogno di
braccia.
Se invece si insiste, un facile e piccolo consiglio a quegli intellettuali e opinion leader vorremmo darlo. Egregi signori, tornate per strada e nella realtà. Tornate a studiare. E fatevi un favore, specie se volete considerarvi di sinistra. Ritornate a leggere Marx!
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