Serrande abbassate, questa mattina, nei 55 punti
vendita a marchio Mercatone Uno, nota catena della grande distribuzione
di mobili, in tutta Italia. È l’amara sorpresa che si sono trovati
davanti i circa 1.800 dipendenti (e i clienti, ancora numerosi) del
gruppo, che senza alcun preavviso da parte della proprietà, si sono
recati normalmente a lavoro, trovando però chiusi centri commerciali e
magazzini, dal Piemonte alla Puglia.
La società che aveva acquisito i 55 punti vendita dello storico marchio emiliano, dal Nord al Sud del Paese, nell'agosto del 2018, aveva annunciato un piano di rilancio. Poi la domanda di ammissione al concordato preventivo in continuità, garantendo la tenuta occupazionale fino al 30 maggio. Ma la sentenza di venerdì, con la quale il tribunale fallimentare di Milano ha decretato il fallimento della holding, ha fatto scattare una chiusura surreale, con i lavoratori che hanno appreso il tutto attraverso il tam tam sui social. «Un vero affronto alla dignità di chi si guadagna da vivere con il lavoro – dichiara Francesco Iacovone dell’esecutivo Cobas – una volta erano le fabbriche a lasciare gli ignari lavoratori fuori dai cancelli incatenati. Ora siamo passati al commercio. Quanto accaduto questa notte ci rappresenta un settore in crisi evidente e conferma che non sono certo le liberalizzazioni a tenere in piedi i consumi che ono in costante crollo verticale.».
«Una vertenza che impatta su oltre 1800 lavoratori diretti e su un indotto di una decina di migliaia di persone – prosegue il rappresentante sindacale – e che ci conferma i dati che vedono salire la disoccupazione e le ore di cassa integrazione. A nulla servono i proclami di un Governo che fa propaganda anche in silenzio elettorale ma che non è in grado di risolvere i problemi concreti delle imprese e dei lavoratori.»
«La modalità con la quale i dipendenti hanno appreso di questo loro dramma personale e familiare – prosegue il rappresentante sindacale – è la rappresentazione plastica di quanto avviene nella nostra società, dove ormai si saltano a piè pari i corpi intermedi e si veicolano le informazioni sui social network. Questa è una mostruosità che sta creando danni difficilmente arginabili.» – conclude Iacovone
La società che aveva acquisito i 55 punti vendita dello storico marchio emiliano, dal Nord al Sud del Paese, nell'agosto del 2018, aveva annunciato un piano di rilancio. Poi la domanda di ammissione al concordato preventivo in continuità, garantendo la tenuta occupazionale fino al 30 maggio. Ma la sentenza di venerdì, con la quale il tribunale fallimentare di Milano ha decretato il fallimento della holding, ha fatto scattare una chiusura surreale, con i lavoratori che hanno appreso il tutto attraverso il tam tam sui social. «Un vero affronto alla dignità di chi si guadagna da vivere con il lavoro – dichiara Francesco Iacovone dell’esecutivo Cobas – una volta erano le fabbriche a lasciare gli ignari lavoratori fuori dai cancelli incatenati. Ora siamo passati al commercio. Quanto accaduto questa notte ci rappresenta un settore in crisi evidente e conferma che non sono certo le liberalizzazioni a tenere in piedi i consumi che ono in costante crollo verticale.».
«Una vertenza che impatta su oltre 1800 lavoratori diretti e su un indotto di una decina di migliaia di persone – prosegue il rappresentante sindacale – e che ci conferma i dati che vedono salire la disoccupazione e le ore di cassa integrazione. A nulla servono i proclami di un Governo che fa propaganda anche in silenzio elettorale ma che non è in grado di risolvere i problemi concreti delle imprese e dei lavoratori.»
«La modalità con la quale i dipendenti hanno appreso di questo loro dramma personale e familiare – prosegue il rappresentante sindacale – è la rappresentazione plastica di quanto avviene nella nostra società, dove ormai si saltano a piè pari i corpi intermedi e si veicolano le informazioni sui social network. Questa è una mostruosità che sta creando danni difficilmente arginabili.» – conclude Iacovone
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