Dietro le forme del giusto quale è stato istituito, dell’ordinato quale è
stato imposto, dell’istituzionale quale è stato accettato, si tratta di
scoprire e di definire il passato dimenticato delle lotte reali, delle
vittorie effettive, delle disfatte che lasciano il loro segno profondo
anche se sono state dissimulate.
Ci si impone di ritrovare il sangue seccato nei codici […] le grida di guerra dietro la formula della legge e la dissimmetria delle forze dietro l’equilibrio della giustizia”. (Michel Foucault, “Bisogna difendere la società”)
Ci si impone di ritrovare il sangue seccato nei codici […] le grida di guerra dietro la formula della legge e la dissimmetria delle forze dietro l’equilibrio della giustizia”. (Michel Foucault, “Bisogna difendere la società”)
Continuando ad esplorare la dimensione
conflittuale del diritto penale come strumento di lotta ai movimenti,
riprendiamo la lettura – iniziata nel capitolo precedente – di Costruire evasioni. Sguardi e saperi contro il diritto penale del nemico, affiancando all’analisi dei Prison Break Project l’opera di Xenia Chiaramonte, “Governare il conflitto. La criminalizzazione del Movimento No Tav”, da poco edita da Meltemi.
Moltissimi i punti in cui i due lavori convergono e si integrano.
Costruire evasioni è una riflessione complessiva sul rapporto tra repressione e movimenti, che si articola nell’ approfondimento delle tecniche di costruzione del nemico pubblico e nell’analisi di cinque specifici dispositivi della repressione politica: l’associazione eversiva e sovversiva, il reato di devastazione e saccheggio, la finalità di terrorismo, le misure di prevenzione, la repressione economica.
Tecniche e dispositivi che in buona parte ritroviamo nelle forme della criminalizzazione mediatica e giudiziaria del Movimento No Tav, descritte da Xenia Chiaramonte in Governare il conflitto.
Costruire evasioni è una riflessione complessiva sul rapporto tra repressione e movimenti, che si articola nell’ approfondimento delle tecniche di costruzione del nemico pubblico e nell’analisi di cinque specifici dispositivi della repressione politica: l’associazione eversiva e sovversiva, il reato di devastazione e saccheggio, la finalità di terrorismo, le misure di prevenzione, la repressione economica.
Tecniche e dispositivi che in buona parte ritroviamo nelle forme della criminalizzazione mediatica e giudiziaria del Movimento No Tav, descritte da Xenia Chiaramonte in Governare il conflitto.
Le rappresentazioni mediatiche del
movimento contro la AV Torino-Lione, analizzate da Xenia sulle pagine di
sette diverse testate giornalistiche, ricadono infatti perfettamente
fra le modalità di fabbricazione del nemico esaminate dai Prison Break
Project.
Nello specifico:
– nominare il nemico sulla base di definizioni allarmanti e denigratorie,
– costruirne l’immagine di una soggettività intrinsecamente deviante e minacciosa per l’ordine sociale,
– sollecitare il moral panic alimentando la paura e l’ostilità dell’opinione pubblica nei confronti di un gruppo sociale fatto percepire come una minaccia.
Nello specifico:
– nominare il nemico sulla base di definizioni allarmanti e denigratorie,
– costruirne l’immagine di una soggettività intrinsecamente deviante e minacciosa per l’ordine sociale,
– sollecitare il moral panic alimentando la paura e l’ostilità dell’opinione pubblica nei confronti di un gruppo sociale fatto percepire come una minaccia.
Nell’esperienza No Tav le interazioni
fra narrazioni poliziesche, mediatiche, politiche, e giudiziarie si
alimentano a vicenda come in un sistema di vasi comunicanti, in un
contesto dove la criminalizzazione mediatica attinge da comunicati e
indiscrezioni della questura e nel contempo precede e prepara il terreno
per l’azione giudiziaria – preannunciando a volte con largo anticipo i
possibili capi di imputazione da attribuire.
È prassi inoltre che la narrazione criminalizzante di fonte poliziesca venga fatta propria, come un verbo assoluto, dalla Procura e dai giudici per le indagini preliminari, e da qui si riversi all’interno dei processi.
È prassi inoltre che la narrazione criminalizzante di fonte poliziesca venga fatta propria, come un verbo assoluto, dalla Procura e dai giudici per le indagini preliminari, e da qui si riversi all’interno dei processi.
Xenia Chiaramonte si sofferma a lungo
sullo studio del linguaggio della criminalizzazione giudiziaria, frutto
di due anni di ricerca passati negli studi del Legal Team e nell’aula
bunker delle Vallette.
Si sofferma inoltre sulle infinite distorsioni che hanno caratterizzato la pratica della procedura penale nel corso dei principali processi ai No Tav (il maxiprocesso e il processo per terrorismo), entrando nel merito dell’abuso delle misure cautelari in carcere, della valutazione della pericolosità sociale degli indagati sulla base del credo politico, delle schedature sulla vita personale dei militanti, dell’uso e abuso del concorso di persone nel reato.
Esamina l’ammissione abnorme di parti civili, con il conseguente lievitare pretestuoso dei risarcimenti richiesti e delle provvisionali fino a centinaia di migliaia di euro.
Esamina l’impatto simbolico dei processi tenuti nell’aula bunker del carcere delle Vallette, gli ostacoli scientificamente frapposti all’esercizio del diritto di difesa, il rigetto dei cd “testimoni irrilevanti” (quelli della difesa), le contraddizioni e omissioni nelle testimonianze degli agenti.
Descrive la messa in scena di una sistematica opera di decontestualizzazione dei fatti che cancella le ragioni sociali e ambientali della lotta. Decontestualizzazione che al contempo nega le violenze della polizia e della gestione dell’ordine pubblico, rimandando l’argomento ad altri procedimenti che si concludono invariabilmente con l’archiviazione.
Bisognerà dedicare in futuro adeguato spazio a tutti questi elementi, che qui mi sono limitata ad elencare, integrandoli con l’analisi dei Prison Break Project sulla storia, significati e implicazioni dei provvedimenti normativi applicati.
Bisognerà dedicare adeguato spazio al racconto delle controcondotte, che in Governare il conflitto emergono dalle 18 interviste ai militanti No Tav, e in Costruire evasioni si incontrano nei ‘sentieri tortuosi’, una panoramica sulle esperienze di autodifesa e resistenza.
Si sofferma inoltre sulle infinite distorsioni che hanno caratterizzato la pratica della procedura penale nel corso dei principali processi ai No Tav (il maxiprocesso e il processo per terrorismo), entrando nel merito dell’abuso delle misure cautelari in carcere, della valutazione della pericolosità sociale degli indagati sulla base del credo politico, delle schedature sulla vita personale dei militanti, dell’uso e abuso del concorso di persone nel reato.
Esamina l’ammissione abnorme di parti civili, con il conseguente lievitare pretestuoso dei risarcimenti richiesti e delle provvisionali fino a centinaia di migliaia di euro.
Esamina l’impatto simbolico dei processi tenuti nell’aula bunker del carcere delle Vallette, gli ostacoli scientificamente frapposti all’esercizio del diritto di difesa, il rigetto dei cd “testimoni irrilevanti” (quelli della difesa), le contraddizioni e omissioni nelle testimonianze degli agenti.
Descrive la messa in scena di una sistematica opera di decontestualizzazione dei fatti che cancella le ragioni sociali e ambientali della lotta. Decontestualizzazione che al contempo nega le violenze della polizia e della gestione dell’ordine pubblico, rimandando l’argomento ad altri procedimenti che si concludono invariabilmente con l’archiviazione.
Bisognerà dedicare in futuro adeguato spazio a tutti questi elementi, che qui mi sono limitata ad elencare, integrandoli con l’analisi dei Prison Break Project sulla storia, significati e implicazioni dei provvedimenti normativi applicati.
Bisognerà dedicare adeguato spazio al racconto delle controcondotte, che in Governare il conflitto emergono dalle 18 interviste ai militanti No Tav, e in Costruire evasioni si incontrano nei ‘sentieri tortuosi’, una panoramica sulle esperienze di autodifesa e resistenza.
Ma al momento mi interessa focalizzare
l’attenzione su un altro punto di condivisione fra gli autori, sia pure
con sfumature diverse, cioè la dimensione conflittuale del diritto.
I compagni del Collettivo Prison Break Project l’affrontano attraverso l’utilizzo strumentale della teoria di Jakobs :
I compagni del Collettivo Prison Break Project l’affrontano attraverso l’utilizzo strumentale della teoria di Jakobs :
“Nel nostro approccio critico,
l’utilizzo della teoria del diritto penale del nemico come chiave di
lettura unificante del variegato strumentario giuridico usato contro i
“nemici pubblici”, non legittima né normalizza, neppure indirettamente,
tale strumentario. Al contrario, essa ha il pregio di costringere tutti
noi a scegliere dove e soprattutto come schierarci, nel momento
stesso in cui ci svela schiettamente che il campo giuridico è, al pari
di quello politico, un campo di battaglia”.
Xenia invece, nell’analisi della
“questione criminale No Tav”, vede l’esplicarsi di un diritto penale di
lotta, un paradigma che non presenta i caratteri estremi del diritto
penale del nemico (la tortura, i rapimenti o gli internamenti
extralegali) ma si nasconde sotto la parvenza della normalità
stravolgendo le procedure del diritto penale dall’interno.
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