Europee 2019, gli italiani hanno votato senza ragionare. E lo pagheranno amaramente Di tutto ci faremo una ragione. Chi inneggia e chi piange, ma pochi ragionano perché quando si è ubriachi o in crisi di astinenza, la ragione è la prima a morire.
A sangue freddo, viene in mente il detto latino:
Quos perdere vult, deus demandat – Quelli che gli dèi vogliono distruggere, prima li fanno impazzire”.
Ecco le ragioni.

La Lega ha fatto il pieno e parrebbe la vincitrice, ma così non è perché gli Italiani hanno votato Lega, credendo di votare per il governo italiano, senza tener conto che si votava per l’Europa. La vittoria della Lega, infatti, è “inutile” in Europa e paradossalmente è una condanna perché relega la Lega non solo ai margini per i prossimi cinque anni, ma subirà un trattamento più rigoroso, uguale e contrario alla sua prosopopea strafottente. Già a urne aperte i nuovi capi del nuovo Parlamento Europeo, hanno messo le mani avanti: niente accordi con i “sovranisti” e Orbán ha in corso una procedura di espulsione dal PPE che ora è una mossa obbligata. I “sovranisti” sono stati fedeli a se stessi: ognuno sovrano nel proprio Paese, ma senza nulla. Salvini è crocifisso sulla “flat tax”, a sua volta inchiodata sul “debito pubblico”. Sarebbe stato meglio per lui prendere 10 punti percentuali in meno e forse avrebbe contato di più.

Il M5S paga l’atto di suicidio con la cicuta che ha bevuto nel caso Diciotti, salvando Salvini dal processo e condannando se stesso all’estinzione. Chi si contenta gode. Hanno rinnegato con leggerezza principi e valori insuperabili insieme alla loro manifesta incompetenza e vanagloria. Sono stati un fuoco di paglia, utili a scalzare Renzi e poco di più. Non hanno saputo “fare politica”, non scegliendo il meglio del meglio tra le intelligenze della Società Civile come supporto per i vari Di Maio, Toninelli, Bonafede, Grillo: si sono illusi della loro vanagloria e si sono appesi ai balconi con proclami fuori luogo e decenza. Se riusciranno ad attestarsi tra il 10% e il 15%, devono leccarsi le dita. Peccato, potevano essere il mitico «apriscatole», sono rimasti il pesce in barile. Il cambio di casacca “a sinistra” nell’ultimo miglio non ha convinto me e non ha convinto nessuno. O si è e ci si fa.
Il Pd non ha nulla da festeggiare perché il suo risultato non è merito suo, ma conseguenza di diverse congiunzioni astrali e una incognita. In primo luogo queste elezioni sono state un sospiro di sollievo per respingere il renzismo ancora più lontano dal bosco ceduo del Pd che il cedevole Zingaretti non sa ancora gestire e governare. In secondo luogo, la cicuta bevuta dai 5Stelle e la paura delle sbruffonate rosarianti di Salvini hanno indotto qualcuno a tornare a votare Pd, per metterlo alla prova. In terzo luogo – e questa è l’incognita – parte del successo Pd lo si deve a Calenda e a Pisapia che nulla hanno da spartire col Pd di altri tempi, quello che una volta aveva un programma di sinistra con ideali di sinistra con sullo sfondo Gramsci, Berlinguer, De Gasperi, la Resistenza e l’antifascismo.
Senza Calenda, uomo e pensiero di Confindustria e senza Pisapia, noto sinistrorso da salotto imbottito, il Pd di Zingaretti avrebbe preso la metà scarsa del bottino del 26 maggio 2019. Ora Renzi e Calenda possono pensare di spolpare il Pd e di dare corpo, se ne hanno la forza, a un «macronino mignon» in italica terra.
La vittoria è la condanna della Lega: in Italia non può andare con Berlusconi che è ingestibile e impresentabile e, cosa più verosimile, moribondo. Non può buttare all’aria il governo perché non gli conviene, visto che ha vinto non avendo nemmeno un programma europeo o uno straccio di qualsiasi programma. Salvini cavalca l’onda, non i programmi che non sa nemmeno cosa siano.