venerdì 31 maggio 2019

Lavoro, liberiamoci dalla schiavitù

https://www.ilfattoquotidiano.it

ilva nuova 675
In riferimento al famigerato slogan Arbeit macht freiPrimo Leviaffermò: “L’ideologia ufficiale nazista credeva veramente che il lavoro fosse liberatorio (…) Se il fascismo avesse prevalso, l’Europa intera si sarebbe trasformata in un complesso sistema di campi di lavoro forzato e di sterminio”. Nell’odierno fascismo 2.0 sembra prevalsa la sinistra logica mercantile che associa lavoro a libertà e senza il primo non c’è possibilità di raggiungere la seconda.

Questo perché i cittadini sono succubi del salario essendo state stralciate attività che da sempre hanno mediato i rapporti umani come l’autoproduzione, lo scambio, la solidarietà e il dono. E se il lavoro non c’è? La recente “crisi” ha testimoniato come lieviti il tasso dei suicidi. La delocalizzazione, e soprattutto l’automazione, produrranno legioni di disoccupati. Buona parte del lavoro umano non servirà più. Se non saranno previsti strumenti come il reddito di cittadinanza, la riduzione dell’orario di lavoro, l’investimento in settori sostenibili come le energie alternative e soprattutto una redistribuzione delle ricchezze, allora l’unica prospettiva sarà prima il conflitto sociale e poi anche le guerre che ridurranno la popolazione e distruggeranno quelle infrastrutture che poi possono essere ricostruite.

Oggi ci sono persone che si uccidono o muoiono per il troppo lavoro e altre che fanno la stessa mesta fine perché di lavoro non ne hanno. Quindi una vera riforma sarebbe garantire una riduzione dell’orario di lavoro. Se i sindacati avessero seguito questa strada non ci troverremmo nell’odierna situazione disastrosa. Nemmeno l’uomo primitivo dedicava tanto tempo per garantirsi la sopravvivenza. Oggi si vive per produrre e non il contrario. “Il tempo libero” è sempre di meno perché sacrificato al “tempo da schiavi” che, i più “fortunati”, sono costretti a usare per garantirsi bisogni spesso effimeri.
Ma quale lavoro va creato? In nome del lavoro si rendono complici operai di crimini, si pensi alle quasi 700 tonnellate annue di polveri emesse da fabbriche come l’Ilva. Il dramma è che, a respirare l’aria di Taranto, sono i figli dei lavoratori e non quelli dei Riva. E’ triste assistere a scene di genitori o pseudo formatori che indirizzano tanti giovani verso studi che li porteranno a svolgere attività antitetiche alle proprie inclinazioni. Energia vitale spesa per mansioni ripetitivamente deliranti. Vite trascorse sotto un neon per raccogliere un salario gettato ai piedi come elemosina da quelli che un tempo si chiamavano padroni. Elemosina da spendere il fine settimana in mega centri commerciali di proprietà del solito pugno di Paperon de’ Paperoni.

Il recente studio della Oxfam è inquietante: i 62 uomini più ricchi del pianeta, godono di un patrimonio pari a quello dei 3,6 miliardi di individui più poveri. Questa immensa accumulazione ha creato un eccesso di offerta sulla domanda: se si accentra tanta ricchezza in poche mani, i cittadini, trasformati in consumatori, non hanno più possibilità di acquistare. Dinanzi a questa intrinseca contraddizione capitalista che vuole lavoratori sottopagati ma consumatori ricchi, invece di adottare politiche di redistribuzione si è preferito drogare l’economia. Così si sono diffuse carte di credito come se fossero tessere del tram.
Ma non è tutto. Le élite consapevoli che il lavoro altrui non potrà più garantire costanti e durevoli introiti si sono specializzate nellaspeculazione finanziaria. Oggi siamo giunti al punto che la finanza fa muovere una quantità di capitali 13, 14 volte maggiore di tutti i Pil del mondo messi insieme. E sono capitali che non puzzano neppure più del sudore dei lavoratori, queste ricchezze si accumulano con pochi click.

La repubblica non può più essere basata sul lavoro che non c’è, ma sulla libertà. Una libertà che è stata tolta sia ai lavoratori che ai disoccupati. Una libertà che signfica imparare a rinunciare al superfluo. Vorrei ricordare che il termine lavoro sia per il latino (labor) che per il greco (ponos) equivaleva a fatica, sofferenza.
Il binomio lavoro-consumo che ci ha imprigionati deve essere reciso anche perché il pianeta non sopporta più questa crescita che, a partire dalla rivoluzione industriale, ha fatto lievitare in maniera geometrica inquinamento e rifiuti.
Serve una rivoluzione. Ma attenzione a quelle violente e immediate sono sempre seguite delle controrivoluzioni o delle sostituzioni di élite con altre élite. L’unica vera rivoluzione credibile è quella sociale, una rivoluzione culturale che richiede del tempo perché si può realizzare solo tutti insieme. Diamoci da fare.

Nessun commento:

Posta un commento